il ricordo di se’ ( parte II )



Ricordati di te stesso, idiota!
(Gurdjieff, nascosto dietro le quinte, a Orage che sta parlando sul palco)

Se non possiamo controllare la macchina, siamo la macchina.
Robert Earl Burton

Dopo aver acquisito dimestichezza con gli esercizi precedenti, si possono fare tentativi con esercizi che richiedono maggiore impegno. Ad esempio, molti trovano più difficile ricordarsi di sé quando sono in compagnia di altre persone. Fino a quando svolgono gli esercizi in solitudine riescono a mantenere una sufficiente concentrazione su se stessi, ma nel momento in cui devono prestare attenzione a ciò che fa o dice un'altra persona piombano nel sonno più completo.

Facciamo un esempio. Quando laviamo i piatti di norma non occorre un notevole grado di concentrazione, questa è infatti un'attività prevalentemente meccanica, il corpo la compie quasi da solo, tanto che la maggior parte del tempo possiamo permetterci di pensare a tutt'altro fantasticando con la mente. Un po' come accade quando si guida su un'autostrada senza traffico: si può pensare ad altro o parlare con il passeggero, eppure la parte più meccanica del nostro cervello continua a guidare senza problemi.
Se vogliamo svolgere l'esercizio di ricordo di sé mentre stiamo lavando i piatti dobbiamo portare l'attenzione su di noi oltre che sulle consuete azioni necessarie a lavare i piatti ( attenzione divisa ). Dal momento che tali azioni non ci impegnano mentalmente o emotivamente, ma solo fisicamente, l'esercizio risulterà relativamente - relativamente alla dimestichezza che abbiamo acquisito con tali esercizi - semplice. Dovremo infatti impiegare molte energie per dirigere l'attenzione verso l'interno, ma relativamente poche per fare sì che il nostro corpo continui a lavare i piatti.
Se invece stiamo ascoltando una persona che parla siamo molto impegnati a livello mentale, e spesso lo siamo anche a livello emotivo. Se poi siamo noi a parlare, l'impegno è totale. In tali frangenti dividere l'attenzione fra esterno e interno diventa complesso. Sarà sufficiente provare per accorgersi di quanto sia difficile. Se mentre il nostro interlocutore parla noi ci sforziamo di ricordarci di noi, inevitabilmente perdiamo alcuni frammenti del suo discorso. Se la paura di perdere parte di ciò che sta dicendo l'altro è molta, saremo costretti a smettere di fare sforzi per il ricordo e farci assorbire completamente da ciò che dice ( identificarci ).
L'unico modo per migliorare consiste nel provare e riprovare instancabilmente, magari cominciando con i dialoghi al telefono - in quanto la presenza fisica dell'interlocutore è fonte di ulteriore disturbo per il ricordo di sé. Se possiamo guardare in faccia l'altra persona, e lei può guardare noi, siamo molto più coinvolti e identificati con la situazione che si sta svolgendo, mentre al telefono il numero di sensi interessati all'esperienza è minore.
Provando ci accorgeremo che nel momento in cui la mente deve comprendere il significato delle parole dell'altro, o deve pensare alla risposta da dare, perde la capacità ricordarsi di sé: o fa una cosa, o fa l'altra. Non siamo abituati a dividere l'attenzione perché siamo sempre vissuti nell'identificazione completa con la nostra mente. Nessuno ci ha mai detto che possiamo essere un'"entità esterna" che osserva la mente al lavoro.
Riusciamo a osservare il corpo che lava i piatti, ma ci è difficile osservare la mente mentre compie un ragionamento. Nell'istante in cui la mente deve rispondere, la nostra coscienza, che magari fino a un attimo prima era riuscita a restare presente, e quindi divisa, si riidentifica al cento per cento con la mente pensante.
Questo è dovuto al fatto che noi possediamo ancora uno scarso controllo sulla nostra mente e sulle nostre emozioni, mentre ne abbiamo uno molto maggiore sul corpo fisico. Controllo e identificazione sono inversamente proporzionali: meno siamo identificati - cioè meno siamo coinvolti - con qualcosa, più ne abbiamo il controllo.

Un buon esercizio in preparazione al ricordo di sé in compagnia di altre persone può essere svolto mentre si guarda la televisione. In questo caso si è meno coinvolti perché ci si esercita in solitudine, ma allo stesso tempo si lavora sulla disidentificazione dalla mente, cioè sul ricordarsi di sé mentre la mente segue i dialoghi di un film o di una qualsiasi trasmissione. All'inizio non è semplice nemmeno questo, ma in ogni caso è preferibile cominciare a compiere questo genere di sforzi davanti alla tv, uno strumento con il quale non dobbiamo interagire in maniera attiva, che buttarsi subito nel mezzo di una conversazione dove il coinvolgimento è decisamente maggiore e il ricordo di sé diviene un'impresa titanica.

Altra possibilità è quella di sforzarsi di ricordarsi di sé mentre si legge. Ci si accorgerà presto che nei momenti in cui si porta l'attenzione verso l'interno si perde il significato di ciò che si sta leggendo. Più precisamente: una parte di noi è ancora capace di svolgere una funzione automatica di lettura, ma la mente che deve comprendere il significato non riesce a lavorare in due direzioni contemporaneamente: o si ricorda di sé, o afferra il significato. E' consigliabile esercitarsi inizialmente con letture poco impegnative dal punto di vista del significato.

Ricordarsi di sé ogni volta che si inizia a parlare a qualcuno costituisce un altro buon esercizio. Appartiene alla categoria degli esercizi "istantanei". Il momento in cui parleremo ci coglierà sempre di sorpresa. Sul lavoro qualcuno ci farà una domanda e la risposta uscirà da noi meccanicamente. Solo al termine della conversazione ci accorgeremo di non esserci ricordati di noi quando abbiamo pronunciato le prime parole.
Risulta interessante analizzare cosa accade in questo caso. Per esempio, decidiamo fermamente che ci ricorderemo di noi tutte le volte che rivolgeremo la parola a qualcuno durante le prossime tre ore. Non dobbiamo ricordarci di noi durante l'intera conversazione, il che costituirebbe già il passo successivo, ma solo al momento di pronunciare le prime parole. Nonostante il nostro fermo proposito, quando qualcuno ci interpellerà, le parole usciranno dalla nostra bocca come se fossero attirate dalle parole del nostro interlocutore, come se fossero una conseguenza inevitabile delle sue parole. Ciò dimostra che la nostra risposta in realtà non è mai pensata, ma è solo frutto di una reazione meccanica alla domanda dell'altro, o all'evento che abbiamo commentato.
Il nostro parlare è sempre una reazione meccanica all'avvenimento esterno, perché noi, come coscienza, veniamo bypassati dalla nostra mente. La coscienza osservatrice ( il testimone ) e la mente razionale sono due cose completamente diverse. Non riusciamo a frenare la reazione meccanica della nostra mente, non ci ricordiamo nemmeno di farlo, perché il nostro parlare è un meccanismo che funziona nello stesso modo da decenni, e tutti intorno a noi ne sono ugualmente schiavi, pertanto non abbiamo un valido metro di paragone. Notiamo un evento esterno e reagiamo meccanicamente, pensando o parlando senza aver realmente pensato in maniera cosciente, cioè con tutto il nostro essere in stato di presenza.
Possiamo veramente accorgerci che i nostri pensieri e le nostre parole sono meccanici - cioè reazioni meccaniche a stimoli sensoriali esterni – solo quando proviamo a fermarli coscientemente per mezzo di tali esercizi. Altrimenti questa rimane una teoria come tante.
Le conseguenze del parlare in stato di sonno anziché in stato di ricordo di sé sono sotto i nostri occhi tutti i giorni: i rapporti sociali su questo pianeta sono semplicemente disastrosi; e si va dal rapporto di coppia ai rapporti internazionali fra gli Stati.

opera di Pavel Surma, dal sito http://art.gothic.ru/art_e

Un altro buon esercizio consiste nel pensare "Io sono" non meno di una volta ogni ora, per tutto il giorno. Questo serve a permeare di ricordo di sé l’intera giornata. Sarebbe meglio accompagnare il pensiero con un'inspirazione (pensando "Io") e un'espirazione (pensando "sono").
Ricordarsi di sé ogni volta che si pronuncia la parola "Io" costituisce un esercizio molto avanzato e difficile da mettere in pratica. Purtuttavia a un certo grado del cammino sarà possibile eseguirlo e la sua efficacia è assicurata.
Anche mentre si mangia ci si può ricordare di sé. L’esercizio consiste nel rimanere presenti dal momento in cui si porta il cibo alla bocca a quando si inghiotte il boccone. Portare la propria attenzione sulla masticazione condiziona in maniera notevole l’assimilazione delle sostanze nutritive da parte dell’organismo; la presenza fa sì che cogliamo con maggiore profondità i sapori, estraiamo molta più energia dagli alimenti e di conseguenza percepiamo molto prima il senso di sazietà.
Ricordarsi di sé mentre si mangia spesso risulta difficoltoso per la presenza di altre persone che ci rivolgono la parola. In tal caso la buona regola di “non parlare con la bocca piena” può venirci in aiuto per consentirci di svolgere il nostro esercizio prima di dover rispondere a qualcuno.
Un contributo al ricordo di sé viene dato dallo sforzo di compiere delle semplici operazioni invertendo il lato con cui si compie l’azione. Per esempio, possiamo sforzarci di mangiare per una settimana con la mano sinistra invece che con la destra (o viceversa per chi è mancino) portando il cibo alla bocca con la mano sinistra e tagliando il pane con la mano sinistra. Lavarsi i denti, farsi la barba o depilarsi con la sinistra è un altro buon metodo per costringersi a rimanere presenti durante queste attività.

All'interno di una scuola esoterica è possibile esercitarsi fra allievi, e questa è in effetti la soluzione migliore. Risulta infatti più semplice ricordarsi di sé mentre si ascolta o si parla con qualcuno che sappiamo si sta a sua volta sforzando di ricordarsi di sé. Questo permette di acquisire una certa sicurezza 'in famiglia', e sarà poi meno complicato fare sforzi quando ci si sposta all'esterno della scuola.

concentrare lo sforzo

Una importante raccomandazione è necessaria: concentrare tutto lo sforzo durante il tempo che si è deciso di dedicare all'esercizio e non cercare di ricordarsi di sé anche al di fuori di questo tempo. Per quanto riguarda la prima serie di esercizi, se ad esempio decidiamo di ricordarci di noi tutte le volte che ci alziamo da una sedia, dobbiamo decidere in anticipo per quanto tempo fare sforzi in questa direzione.
Possiamo farlo per tutta la mattina, o durante le ore di lavoro in ufficio, o solo nel percorso dall'ufficio a casa, o esclusivamente dal momento in cui varchiamo la soglia di casa fino all'ora di cena, oppure possiamo decidere di fare sforzi per le prossime due ore indipendentemente da dove ci troveremo.
E' importante stabilire un limite di inizio e fine. Non è di alcuna utilità fare sforzi indiscriminati per tutto il giorno, perché si perde in capacità di concentrazione e l'esercizio non risulta altrettanto efficace. A meno che non si stiano praticando esercizi che per la loro natura richiedono un'estensione illimitata (ad es. l'esercizio dell'"Io sono"). Dobbiamo avere molta pazienza e procedere per gradi, non dobbiamo farci prendere dall'ansia di voler fare tutto subito. Questa risulta a lungo andare la tecnica migliore per svegliarsi. Sono consigli che nascono dalla mia esperienza diretta.

Per quanto concerne gli esercizi di "ricordo di sé prolungato" vale lo stesso principio. Se decidiamo di ricordarci di noi mentre spazziamo il pavimento non dobbiamo fare alcun tentativo né prima né dopo. Se decidiamo di farlo per il tempo in cui viaggiamo sull'autobus, dal momento in cui scendiamo dobbiamo interrompere gli sforzi.
Tuttavia nel breve tempo in cui decidiamo di concentrare gli sforzi tutta la nostra energia deve essere veicolata in quel tentativo. Se decidiamo di compiere sforzi per due ore, dobbiamo considerare quelle due ore come le ultime due ore della nostra vita. Sprecheremmo le nostre ultime due ore di vita per vagare con l'immaginazione da un pensiero all'altro senza alcuno scopo?
Qualunque cosa succeda in quelle due ore noi ci ricorderemo di noi stessi! Questo deve essere l'atteggiamento. Sforzi prolungati per troppe ore lungo la giornata non portano a nulla. Sforzi concentrati ma potenti portano inevitabilmente al risveglio.

Approdare a un nuovo stato di coscienza significa anche entrare consapevolmente in una nuova dimensione: la quarta dimensione. Questa dimensione è stata esaurientemente descritta da poeti, scrittori e chiaroveggenti, e la letteratura in merito è vasta (si vedano Arthur E. Powell e P.D. Ouspensky fra tutti). Penetrare in questa dimensione è come conquistare una fortezza nemica: dobbiamo organizzare dei raid mirati e potenti. Non possiamo combattere tutto il giorno con tutte le nostre truppe, perché ci esporremmo eccessivamente al fuoco nemico e dopo una settimana saremmo esausti. Attacchi di poche ore, ma portati regolarmente tutti i giorni, prima o poi ci consentiranno inevitabilmente di aprire una breccia nel muro nemico. Una volta aperta una breccia nella quarta dimensione, sarà più semplice penetrarvi le volte successive.

Fonte:Officina Alkemica

Uomo: insieme di cellule o altro?

Molte persone ignorano totalmente l'anatomia sottile degli esseri viventi, per molti il corpo umano è un sofisticato insieme di apparati e cellule che adempiono al loro compito prestabilito. Questa visione meccanicistica dell'essere umano è alla base della medicina moderna. Per la scienza medica è impensabile e assurdo considerare il corpo attraverso un punto di vista energetico ed emozionale. Anche il concetto di anima non viene preso in considerazione, poiché attualmente non dimostrabile con le attuali leggi scientifiche. Le stesse leggi che partono da presupposti dogmatici, ai quali lo scienziato razionale si affida con totale fede. Il realtà scienza e religione utilizzano le stesse metodologie comportamentali, affidandosi entrambe ad assiomi dati per certi.

Questo approccio, anche se determina la maggior parte delle scoperte utili alla vita dell'uomo, ha profonde carenze per quanto riguarda l'interazione che ogni essere rappresenta con l'ambiente circostante. Immaginare un uomo costituito di atomi e molecole, privo di un corpo energetico in grado di interagire con Tutto, è come vedere il mondo attraverso gli occhi di Truman (Personaggio del film “The Truman Show”). Significa ignorare le molteplici interazioni che l'essere manifesta attraverso la continua co-creazione che compie nella propria vita. Ogni essere è parte integrante di un campo energetico globale, nel quale interagisce con la propria bioenergia, veicolo primario per lo scambio di informazioni.

Riprendendo l'esempio della malattia, in questo modo si poterebbe affermare che non è altro che il frutto di uno squilibrio del campo energetico, influenzato dalla nostra percezione dell'essere, la nostra completezza e auto realizzazione e da una serie di fattori esterni (patogeni). Tali patogeni hanno la capacità di innescare il processo della malattia se il corpo energetico umano si trova in condizioni di squilibrio e deficit. Un esempio lampante di tale fenomeno è rappresentato dallo stress, al quale oggi molti luminari attribuiscono la maggior parte delle malattie “autoimmuni” o inspiegabili. Per autoimmuni si intende un complicato meccanismo che condiziona l'armonia del nostro sistema immunitario, che non riconosce più il corpo come entità da preservare. Se immaginiamo i continui attacchi psichici che subiamo durante il corso della giornata, stress lavorativo, traffico, vita frenetica, mancanza di affetto e tempo libero, è facile comprendere come queste influenze possano avere un ruolo fondamentale per la nostra salute.

Certo questo lo dicono in tanti, ho scoperto l'acqua calda direte voi! Il punto invece è che questa acqua calda non è del tutto scoperta, poiché dietro le abusate parole come "stress" e "cause non ancora identificate", si celano tutti i limiti di una medicina che non vuole allargare gli orizzonti della ricerca a tutto quello che non è visibile ai cinque sensi, ma può essere percepito con una maggiore integrazione fra i nostri emisferi cerebrali. Il pensiero crea la materia, il pensiero influenza il nostro campo energetico, rende il nostro corpo protetto o non protetto da attacchi esterni, a seconda di come noi indirizziamo tali pensieri. Un nuovo modo di concepire la malattia sta venendo alla luce spontaneamente, fra qualche anno i medicinali di sintesi saranno considerati superati e nocivi, semplicemente perché non si può curare l'uomo come un auto o un elettrodomestico, si deve necessariamente considerare l'essere nella sua totalità.

Questo articolo rappresenta un semplice spunto di riflessione, non esaustivo riguardo al problema, per il quale non basterebbero migliaia di pagine per avere un'idea molto più ampia. In nessun caso si critica la medicina e le ricerche che hanno portato l'uomo a raggiungere un benessere sempre maggiore, vuole solo evidenziare i suoi limiti, imposti spesso da un sistema economico interessato al profitto piuttosto che alla salute. Immaginando una medicina che si preoccupi davvero dell'uomo e apra le porte alle nuove sensazionali scoperte in ogni campo, l'uomo avrebbe il diritto di vivere in un paradiso terrestre qui e ora.

Articolo correlato: Medicine e terapie..., Freenfo, Aprile 2008
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6/7 resisto

Tutto procede secondo quanto mi aspettavo, la consapevolezza di esistere si solidifica facendo da coesione fra la mia anima e il mio corpo… divento puro spirito, intorno a me si manifesta un giardino fiorito…
il risveglio dei miei fratelli mi dona la stessa gioia di un bosco di querce, stare vicino a loro e come ristorarsi in quel bosco!!
Alcuni sono germogli, altri solidi e centenari…questi hanno visto passare sopra le loro chiome e sotto le loro fronde centinaia di lune e centinaia di uomini e donne. La sapienza della consapevolezza di essere una quercia si avverte solo andando sotto di esse…!! Per le signore che poggiano i loro occhi su queste sette note vorrei dire che il tempo di buttar giù la maschera è al termine… la femmina senza il trucco è molto più bella, ha solo riconosciuto se stessa, non ha più bisogno di manifestazioni tribali per presentarsi agli altri…
Lasciamo alla libera interpretazione femminile il pensiero che vien fuori

“vedendo un bosco dove alcuni alberi sono truccati o hanno le chiome dipinte... noi abbiamo le donne in testa!!”

Basta con le eterne lolite… qui si tratta della pura essenza dell’essere. Fate voi …

Quello che necessita capire è che dopo la tv bisogna eliminare il quotidiano… termine pesante e poco luminoso, nutrirsi di un quotidiano al mattino fieri di avere la notizia in tasca non è importante, ci appesantisce. le informazioni le conteniamo noi, solo avendo gli occhi aperti ti rendi conto che appena ti alzi puoi scrivere un libro di emozioni, se sei consapevole della tua vita, di quello che fai e che accade attorno a te… fermiamoci qualche attimo vicino all’edicola e guardiamo la facce di chi si nutre di “quotidiano” alcuni fieri altri abituati al gesto o alla dose!!

Non ci costa nulla provare cosa succede senza…
Mi permetto qualsiasi cosa…
Sono capace di fare tuttooooo

L'Innominabile

Nelle scuole misteriche il simbolo iconografico, o l'immagine, ricopre un ruolo fondamentale, proprio perchè Dio non parla attraverso parole, o lunghi discorsi, ma parla attraverso Immagini, o Simboli universali. La parola è un mezzo d'espressione fortemente limitato, escludendo un ifinità di motivi complessi ma che possono essere facilmente intuiti, basterà pensare solo al fatto che ad oggi esistono approssimativamente 6,912 linguaggi diversi nel mondo [1] e che una data parola sarebbe limitata solo ad una tra le tante lingue parlate nel mondo (escludendo eventuali linguaggi extraplanetari..). è interessante notare riguardo ciò, come il linguaggio utilizzato dalla tribu dei Pirahã sia uno dei linguaggi piu "innominabili" sulla faccia della terra sul quale attualmente, i nostri linguisti sono incespicati. Il linguaggio dei Pirahã non include le proposizioni secondarie ed il tempo passato, non include neppure parole per i numeri, per i colori e per il tempo. [2]

Foto di un Kalachakra Mandala. Questo Mandala è la rappresentazione cosmografica delle dimensioni interne, esterne, ed alternative della realtà.. [continua]

Aracne



«La dea del Tritone aveva seguito con attenzione il racconto delle Muse, elogiando il canto e giustificandone l'ira. Ma poi, tra sé: "Lodare va bene, ma anch'io voglio essere lodata,non lascerò che si disprezzi la mia divinità impunemente!". E s'impegnò a perdere Aracne di Meonia, che (l'aveva udito)non voleva riconoscerle il primato nell'arte di tessere la lana. Non per ceto o stirpe lei era famosa,ma per maestria d'arte. Suo padre, Idmone Colofonio,tingeva imbevendola con porpora di Focea la lana;morta era invece la madre, una popolana come il marito. Ma Aracne, malgrado fosse nata da famiglia umile e nell'umile Ipepe abitasse, con la sua maestria s'era fatta un gran nome nelle città della Lidia. Per ammirare la meraviglia dei suoi lavori, avvenne che le ninfe del Timolo lasciassero i loro vigneti e che quelle del Pactolo lasciassero le loro acque. E non solo era un piacere ammirare i tessuti finiti,ma la loro creazione, tanta era la grazia del suo lavoro.Sia che iniziasse a raccogliere la lana grezza in matasse o, filandola con le dita, un dopo l'altro ne ammorbidisse con largo gesto i bioccoli simili a nuvolette, sia che ruotasse il fuso levigato con lievi tocchi del pollice o con l'ago ricamasse, era chiaro che l'ammaestrava Pallade. Ma lei lo negava e indispettita dal carisma della maestra:"Che gareggi con me!" diceva. "Se vince, starò alla sua mercé".
Vecchia si finge Pallade, di falsa canizie spruzza le tempie e in più si sostiene a un bastone come se avesse le membra inferme.Poi prende a parlare: "Non tutto è male da evitare in tarda età: più s'invecchia e più cresce l'esperienza. Ascolta il mio consiglio: aspira pure ad essere la migliore fra i mortali nel tessere la lana, ma inchinati a una dea, e di ciò che con arroganza hai detto chiedi in ginocchio venia: se l'invochi, non ti negherà il perdono". Con sguardo torvo Aracne sospende la tessitura e trattenendo a stento le sue mani, il volto acceso d'ira, senza riconoscerla replica a Pallade in questi termini:"Una demente, ecco quello che sei, rimbambita dalla vecchiaia:vivere troppo a lungo nuoce, eccome! Queste chiacchiere propinale a tua nuora o a tua figlia, se per caso ne hai una! Io so cavarmela benissimo da sola e perché tu non creda d'aver frutto coi tuoi moniti, sappi che la penso come prima. Perché non viene qui? Perché non accetta la sfida?". E allora la dea: "E' venuta!", dice; lascia l'aspetto di vecchia e si mostra come Pallade. Di fronte alla dea si prostrano le ninfe e le giovani di Lidia: soltanto lei non si sgomenta, ma sussulta, questo sì, e suo malgrado un rossore improvviso le accende il volto per subito dopo dileguarsi, così come ai primi cenni dell'aurora il cielo s'imporpora e in breve tempo, quando sorge il sole, poi si sbianca. Si ostina nel suo proposito e per insensata brama di gloria corre alla sua rovina: la figlia di Giove infatti non rifiuta, non l'ammonisce più, più non rinvia la gara. Senza indugio si sistemano ognuna dalla propria parte e col filo sottile tendono entrambe un ordito. L'ordito è avvinto al subbio, il pettine separa i fili, con l'aiuto delle dita la spola affusolata inserisce la trama che, passata attraverso i fili, è compressa con un colpo dai denti intagliati nel pettine. Lavorano entrambe di lena e, fermata la veste intorno al petto, muovono esperte le braccia con tant'arte da non sentir fatica. Impiegano, per tessere, la porpora tinta nei bronzi di Tiro e colori a sfumature così tenui da distinguerle appena, come l'arcobaleno che dipinge, quando la pioggia rifrange il sole, con una grande parabola un lungo tratto di cielo, ma non permette a chi guarda, benché risplenda di mille colori diversi, d'individuare il passaggio dall'uno all'altro, tanto i contigui s'assomigliano pur differendo ai margini. Filamenti d'oro sono intessuti nell'ordito e sulla tela prendono forma storie remote. Pallade effigia il colle di Marte nella cittadella di Cècrope e l'antica contesa sul nome da dare alla contrada. Dodici numi, e Giove in mezzo, siedono con aria grave e maestosa su scanni eccelsi: ciascuno ha come impressa in volto la propria identità; l'aspetto di Giove è quello di un re. Poi disegna il dio del mare, mentre colpisce col lungo tridente il macigno di roccia e da questo squarciato fa balzare un cavallo indomito, perché la città gli venga aggiudicata. A se stessa assegna uno scudo, un'asta dalla punta acuminata, un elmo e l'egida per proteggere il capo e il petto; e rappresenta la terra che percossa dalla sua lancia genera l'argentea pianta dell'ulivo con le sue bacche; e gli dei che guardano stupefatti; infine la propria vittoria. Ma perché la rivale comprenda da qualche esempio cosa dovrà aspettarsi per quella sua folle audacia, aggiunge ai quattro angoli altrettante sfide, vivaci nei colori, ma nitide nei tratti minuti. In un angolo si vedono Ròdope di Tracia ed Emo, ora gelidi monti, un tempo esseri mortali, che avevano usurpato il nome degli dei maggiori. Dall'altra parte la sorte pietosa della madre dei Pigmei: avendola vinta in una gara, Giunone impose che diventasse una gru e s'azzuffasse col suo popolo. Poi effigia Antigone, che una volta osò competere con la consorte del grande Giove e che dalla regale Giunone fu mutata in uccello: né Ilio né il padre Laomedonte poterono impedire che, spuntatele le penne, come candida cicogna applaudisse sé stessa battendo il becco. Nell'angolo che rimane Cìnira, perdute le figlie, abbraccia i gradini di un tempio, già carne della sua carne, e, accasciato sulla pietra, si staglia in lacrime. Contorna tutti i margini con rami d'ulivo, emblema di pace,e con la pianta che le è sacra conclude l'opera sua.
Aracne invece disegna Europa ingannata dal fantasma di un toro, e diresti che è vero il toro, vero il mare; la si vede che alle spalle guarda la terra e invoca le compagne, e come, per paura d'essere lambita dai flutti che l'assalgono, ritragga timorosa le sue gambe. E raffigura Asterie che ghermita da un'aquila si dibatte, raffigura Leda che sotto le ali di un cigno giace supina; e vi aggiunge Giove che sotto le spoglie di un satiro ingravida di due gemelli l'avvenente figlia di Nicteo; che per averti, Alcmena di Tirinto, si muta in Anfitrione; che trasformato in oro inganna Dànae, in fuoco la figlia di Asopo, in pastore Mnemòsine, in serpe screziato la figlia di Cerere. Effigia anche te, Nettuno, mentre in aspetto di torvo giovenco penetri la vergine figlia di Eolo, mentre come Enìpeo generi gli Aloìdi, e inganni come ariete la figlia di Bisalte; te, che la mitissima madre delle messi dalla bionda chioma conobbe destriero, che la madre con serpi per capelli del cavallo alato conobbe uccello e Melanto delfino. Ognuno di questi personaggi è reso a perfezione e così l'ambiente. E c'è pure Febo in veste di contadino, e le volte che assunse penne di sparviero o pelle di leone, e che in panni di pastore ingannò Isse, figlia di Macareo. C'è come Libero sedusse Erìgone trasformandosi in uva, come Saturno in cavallo generò il biforme Chirone. Lungo l'estremità della tela corre un bordo sottile con fiori intrecciati a viticci d'edera.
Neppure Pallade o Invidia avrebbero potuto denigrare quell'opera. Ma la bionda dea guerriera si dolse del successo, fece a brandelli la tela che illustrava i misfatti degli dei e, con in mano la spola fatta col legno del monte Citoro, più volte in fronte colpì Aracne, figlia di Idmone. La sventurata non lo resse e fuor di senno corse a cingersi il collo in un cappio: vedendola pendere n'ebbe pietà Pallade e la sorresse dicendo: "Vivi, vivi, ma appesa come sei, sfrontata, e perché tu non abbia miglior futuro, la stessa pena sarà comminata alla tua stirpe e a tutti i tuoi discendenti". Poi, prima d'andarsene, l'asperge col succo d'erbe infernali, e al contatto di quel malefico filtro in un lampo le cadono i capelli e con questi il naso e le orecchie; la testa si fa minuta e così tutto il corpo s'impicciolisce; zampe sottili in luogo delle gambe spuntano dai fianchi; il resto è ventre: ma da questo Aracne emette un filo e ora, come ragno, torna a tessere la sua tela. Tutta la Lidia è in fermento, nelle città di Frigia si diffonde l'eco della vicenda e in ogni luogo non si parla d'altro».

(Ovidio Publio Nasone, “Metamorfosi”, libro VI).






Un’analisi esoterica del mito di Aracne impone una riflessione sulla natura della nostra mente. È lei la grande filatrice, colei che con variegati arazzi colora il nostro mondo interiore. La nostra mente tesse l’abito della nostra coscienza. Un abito che si compone di idee, pensieri, sogni, bugie, convinzioni, inganni, pregiudizi, infatuazioni, speranze, ambizioni, interrogativi, soluzioni, giudizi, invenzioni… Oltre a ciò, la mente codifica i nostri sentimenti in pensieri, per renderli a noi stessi comprensibili. Inutile sottolineare l’estrema importanza della mente: senza di essa il nostro mondo interiore sarebbe vuoto e silenzioso, e la nostra vita non avrebbe senso.



Tutto nell’universo è mente-coscienza. La materia non esiste, è solo un’illusione: sondandone le profondità non si trova altro che il vuoto. E non lo dico con l’intento dualistico e quasi denigratorio di certe dottrine, anzi. L’Ermetismo insegna che il mondo è l’immagine visibile del Dio invisibile. Tuttavia, dobbiamo relativizzare le nostre convinzioni riguardanti la materia: essa è appunto un’immagine che si manifesta a noi per comprendere il Dio nascosto. Ma è un’immagine di origine mentale-coscienziale, come lo siamo noi stessi.

Esistono in noi due sfere mentali: la prima appartenente al nostro Io particolare (ed è la “mente umana”), simbolizzata nel mito ellenico dalla mortale Aracne. La seconda connaturata al Super-Io (ed è la “Mente Cosmica”), rappresentata dall’immortale Atena.
La prima ha la pretesa di sostituirsi alla seconda, ed infatti è ciò che accade in ogni essere umano, poiché Aracne tesse tele belle quanto o più di Pallade, almeno se osservate con occhi inconsapevoli di una coscienza che deve ancora formarsi. In altre parole le “trame” ordite dalla mente egoica si esprimono con un linguaggio più immediato e diretto di quanto non facciano quelle della mente noumenica; ed è facile che un essere “giovane” (interiormente parlando) comprenda meglio e prima questo linguaggio rispetto a quello più sottile e sfuggente della Mente Superiore.
Ci si accorgerà, tuttavia, che l’abile tessitrice che dimora nel nostro cranio è simile ad un ragno che tesse la sua ragnatela (attenzione alla cabala fonetica dei due termini in corsivo); ma è anche il moscerino che immancabilmente cade nella trappola… poiché non siamo forse noi stessi i primi a rimanere imprigionati nei disegni della nostra mente?
Simboli che si ritrovano presso un grande maestro dell’Ermetismo quale fu Tolkien, penso a Frodo nella tana di Shelob: tana che guardacaso è una caverna oscura, come lo è metaforicamente il cranio umano nel mito platonico. E Shelob altri non è che la mente di Frodo…



Abbiamo detto “ci si accorgerà” che la tessitrice è simile ad un ragno. Questa “presa di consapevolezza” è rappresentata, nel racconto di Nasone, dal finale, in cui Atena (la nuova sfera mentale raggiunta dall’Iniziato) trasforma Aracne nell’insidioso invertebrato. Sarebbe meglio dire che Atena rende manifesta la natura precedentemente occulta di Aracne, “rivelandoci” cosa si celasse realmente dietro l’apparenza dell’aggraziata fanciulla.
Già, perché in mancanza di questa intuizione finale (i toni “violenti” del racconto vogliono proprio sottolineare la natura radicale di questa presa di consapevolezza), non avremmo saputo distinguere e discernere fra la mortale e l’immortale, fra Aracne e Pallade dentro di noi.

Ma in cosa consiste realmente questa discernita? Essa ci viene intrinsecamente spiegata, direi fin troppo “visivamente”, dai soggetti delle tele di Atena e di Aracne. La prima sceglie di rappresentare l’episodio in cui la Pace e la Sapienza (simbolizzate dall’ulivo) trionfano sull’impeto bellicoso (il cavallo di Poseidone) per dare nome all’Acropoli; ed altri episodi in cui viene punita l’ambizione di sostituire la volontà egoica inferiore alla volontà divina. L’Iniziato infatti consacra il proprio spirito (Acropoli) alla Pace e alla Sapienza, affidandosi con fiducia alla volontà della Provvidenza che muove il mondo.
La tela di Aracne (che pure appare bella a tutti i presenti, poiché incapaci di comprendere al di là dell’apparenza) ritrae, a ben vedere, tutti episodi i cui protagonisti vengono “ingannati” da apparenze mendaci, o comunque esempi che insegnano a guardare oltre l’aspetto delle cose.
La mente, in altre parole, “veste” ogni cosa con apparenze diverse, e non ci presenta nulla per ciò che è intimamente.
In quasi tutti gli episodi istoriati dalla filatrice, si parla di Dei che si uniscono a mortali sotto mentite spoglie. Infatti, ogni cosa, ogni componente della realtà che viviamo, che ci circonda e di cui siamo fatti, è Divinità che comunica con noi; ma il filtro della mente trasforma e deforma questa semplice realtà, dandoci impressioni, senza lasciarci scorgere l’Essenza.

Impiccandosi, ovvero appendendosi, sospendendosi, Aracne compie il gesto di legarsi ad una “trave” superiore, morendo alla propria inferiorità. Ovvero, se imparassimo ad affidarci alla prima filatrice, la glaucopide Atena, la Sapienza della nostra coscienza onnisciente, vedremmo finalmente le cose per quello che sono.Vedremmo Zeus oltre il cigno, Zeus oltre la pioggia d’oro, Zeus oltre il toro, Zeus oltre il satiro…


La mente che mente

«Le intuizioni e i concetti costituiscono gli elementi della nostra conoscenza, così non possono esserci concetti senza intuizioni e intuizioni senza concetti.» (Kant)

La lettura è da molti anni una mia grande passione, il modo per entrare nei reami della conoscenza, attraverso gli occhi di grandi scrittori. L’uomo che cerca la verità o qualsiasi altra cosa stimoli il proprio interesse, deve necessariamente fare dell’esperienza altrui, una tappa fondamentale per accrescere la propria conoscenza. Pian piano si delineano sentieri sempre più affascinanti, un viaggio nel paese delle meraviglie del mondo. Un romanzo può catturare i nostri sensi e trasportare la nostra mente attraverso luoghi ed emozioni lontane. Un testo scientifico apre la nostra mente ad una conoscenza più grande, un testo classico lascia indelebile una traccia nel nostro modo di pensare.

A poco a poco la conoscenza accresce in noi, il percorso spesso si concentra in una direzione, altre volte spazia fra diversi tipi di informazione. Tutto si mescola nella nostra mente, contribuisce a creare la nostra personale visione della realtà, crea i presupposti per costruire la nostra personalissima verità. Questa ricerca è necessaria per comprendere meglio le sfaccettature dell’esistenza e i segreti nascosti dell’universo, contribuisce a rinforzare un pensiero in modo autonomo e indipendente. Il questo caso la nostra parte razionale è sempre all’opera per discernere il bene e il male, secondo la nostra personale visione della vita, i nostri valori e le nostre tradizioni.

Alla lunga tuttavia, questo approccio può essere limitato, sembra quasi costretto in una stanza con poche finestre, dalla quale è molto difficile evadere. Non si è mai certi dell’autenticità del nostro pensiero, crediamo di possedere idee nostre, ma spesso tali convinzioni derivano da una memoria collettiva che agisce sulla nostra mente, consciamente o inconsciamente. La parte razionale cristallizza il pensiero e lo fortifica fino a creare delle convinzioni talmente radicate da non poter mai essere messe in discussione. La mia esperienza è sempre stata di cercare un compromesso fra la mente razionale e mondo delle percezioni. L’uomo ha il privilegio di possedere doti superiori rispetto agli animali, anche se ha in qualche modo dimenticato le attitudini più semplici e istintuali proprie dei nostri amici “inferiori”.

Aprirsi alle percezioni permette di acquisire una conoscenza molto diversa da quella costruita dalla mente, l’esperienza diretta diventa il veicolo per accrescere la nostra consapevolezza. Il corpo è chiamato a partecipare in ogni sua parte a questo processo. A volte alcune grandi verità possono essere spiegate e comprese solo se si riesce ad applicare tutte le nostre potenzialità, l’integrazione fra corpo, anima e mente. Questo approccio consente di avere una visione più ampia, permette di entrare in reami invisibili, è in grado di colmare le nostre ricerche in modo ancora più efficace. “Sentire” l’ambiente circostante, provare a vivere secondo le leggi della percezione, porta a sviluppare in noi delle doti in grado di comprendere a fondo ogni piccolo particolare della manifestazione del creato.

L’universo è composto di forme visibili e di forme non visibili, la materia per molti è una forma di energia cristallizzata, che vibra a frequenze più basse. Tali frequenze siamo abituati a percepire poiché simili alla nostra configurazione energetica. Modificando tale configurazione possiamo integrare le nostre capacità e spingerci oltre, varcare l’uscio della stanza della mente per accedere a mondi ancora da scoprire. L’esperienza diretta come strumento di ricerca, la consapevolezza come fine per la nostra esistenza.

Questo approccio olistico dell’uomo e delle sue potenzialità, permette di agire secondo logiche più universali, permette l’apertura del cuore e l’accoglienza dell’Amore universale nella nostra vita. Un cammino che accelera verso il ricongiungimento dell’Uno, sfruttando a pieno ogni nostra caratteristica latente. La mente a volte mente, le percezioni posso essere ingannevoli, ma nulla potrà essere più veritiero dell’utilizzo di queste facoltà in sinergia perfetta fra loro, l’interazione fra ragione e cuore, l’unica via per la vera scoperta della natura dell’uomo. Giusta o sbagliata che sia, sarà sempre dettata dalla nostra esperienza diretta, unica vera alleata fedele nel cammino evolutivo. La ricerca della verità dentro di noi come porta d’accesso alla verità assoluta, la strada maestra verso la vera Conoscenza.

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5/7 senso del fiuto

il sette risponde… a questo punto siamo ponti per uno dei tagli più importanti…
nell’esistenza di un uomo arrivano dei momenti in cui bisogna: sfrondare, gettare la zavorra, chiudere una porta per aprirne un'altra e si deve farlo bene!!
per catturare gli elefanti gli indiani scavano una grossa buca, poi prendono una foglia, la sfregano sul sesso femminile e la fanno odorare al grosso pachiderma, il quale non si può certo esimere dal ubbidire al richiamo di Eros.
tutto quello che fa è seguire i suoi istinti naturali… andare a tappare quel forellino è la cosa più importante della sua vita, ma non si accorge che quel tappeto erboso dove poggia il piede è una trappola, cade nel buco, e la sua concupiscenza viene soddisfatta con le catene.
questa è la meravigliosa identica cosa che accade a noi…
se siamo arrivati a leggere fin qui siamo caduti nel buco… siamo dentro,
quindi siamo costretti a proseguire…
(personalmente è stata una delle esperienze più belle della mia vita)
non è difficile e non fa uscire il sangue, NON FA MALEEE!!!

spegnere la tv…. fine delle trasmissioni… non esiste più niente che mi unisce alla scatola in plastica, nienteeeee

uno svezzamento che mi restituisce il silenzio… il libro… le persone con le quali vivo.
loro sono liberi di fare quello che vogliono, io ormai sono in catene e la tv non mi appartiene più!!
io non partecipo più all’ipnosi…
SPEGNERE, fate un funerale fate quello che volete, sentitevi anche dei beoti se continuate a subirla qualche volta, ma stop!!

penso e medito la vita!! la ascolto!! respiro!!

volooooooo

Intenzioni e controintenzioni


Prima di avventurarsi nel processo del pensare, l’Io dimora nel silenzio, e lì esprime intenzioni.

Considerando l’immenso potere energetico che l’Io possiede sin dal momento del concepimento, non esiste ragione al mondo perché un’intenzione non divenga istantaneamente funzionante realtà.
L’intenzione pura però, purtroppo, viene tradotta in pensiero e questo solo passaggio la riduce, poiché la mente non è in grado di elaborare un pensiero che corrisponda ad un evento che non gli appartiene: emettere intenzioni.
Ciò che chiamiamo comunemente intenzioni sono in realtà ormai pensieri articolati e formati dalla struttura limitata del linguaggio.
Procedendo in tal modo, quando il processo del pensare definisce un’intenzione, immediatamente per associazione ne elabora un’altra in genere diametralmente opposta o quanto meno diversa dalla prima. Ecco il motivo per cui un’intenzione non si palesa producendo istantaneamente l’effetto cui era preposta.
Sappiamo però che un’intenzione totalmente scevra da controintenzioni agisce sempre. Cristo diceva: “Se comanderai all’albero di sradicarsi e di trapiantarsi in mare, egli lo farà”. Già. Il fatto è che pochissime intenzioni sono così pulite da agire istantaneamente.
Le prime controintenzioni le troviamo proprio nell’individuo che concepisce l’intenzione primaria. Il suo personalissimo ego, frustrato, con una bassa autostima agisce ogni volta contro le intenzioni dell’Io.
L’ego, quell’ammasso di contraddizioni, quel ricettacolo di immondizia che sono i condizionamenti ricevuti, esige di controllare e dominare a scapito della totalità dell’Essere.
L’ego è una struttura illusoria, vestita però di una corazza molto robusta, a cui sono stati dati, negli anni, quasi la totalità dei poteri. L’ego avvolto in un manto di ermellino crede di essere il re e invece non è nemmeno il mantello!
E se per caso in un momento di disattenzione dell’ego, l’Io esprimesse l’intenzione pura, ecco che subito l’ego, che non avrebbe avuto tempo di fornire un’intenzione contraria, insinuerebbe il dubbio.
L’ego è l’individuo a cui è stato fatto credere di valere poco, e che ha imparato a non stimarsi.
L’individuo quando era bambino “vedeva” e “sentiva”, ma ogni volta che comunicava quanto vedeva e sentiva al di là della normale vista e del normale udito veniva immediatamente considerato bugiardo da genitori, nonni e insegnanti.
Così ha imparato a tacere, a fingere, a mentire e a perdere col tempo queste qualità.
Può succedere in alcuni casi che l’ego, investito dell’intenzione dell’Io, tenti di esprimerla. Ma, ahimè, egli “sa” di non saper portare a termine quel compito, di non poterlo fare.
L’insicurezza, la disistima, la sfiducia sono così schiaccianti da invalidare quelle rare volte in cui “lui” ci prova.
Appunto ci “prova”.
Ed è proprio il fatto di “provarci” che gli impedisce la riuscita, inibendo all’Io il potere di operare miracoli.
Anziché provare, l’uomo dovrebbe semplicemente lasciare che l’intenzione si palesasse e tutto avverrebbe. L’abilità di mantenere inflessibilmente l’intenzione concepita permette il verificarsi di un fenomeno molto particolare.
L’intero universo è sorretto da un’intenzione. Per una scelta linguistica chiameremo questa Intenzione Cosmica.
Ora l’Intenzione Cosmica promana le sue proprie emanazioni senza che queste incontrino mai ostacoli. O meglio non esistono ostacoli per l’Intenzione Cosmica. E ancora, gli “ostacoli” sono anch’essi parte dell’Intenzione Cosmica.
Il fenomeno particolare che si verifica, quando una persona produce un’intenzione inflessibile, è che la propria intenzione si allinea alle emanazioni dell’Intenzione Cosmica assumendo in tal modo un potere energetico immenso.
In questi casi l’intenzione produce sempre l’effetto. Esistono però altre controintenzioni; quelle prodotte da altri esseri umani. Prime fra tutte a creare ostacoli ad un’intenzione espressa sono quelle dei famigliari, dei parenti e degli amici, infine quelle dei conoscenti.
Le controintenzioni di queste persone sono spesso palesate dalle loro stesse parole: - “Ma cosa dici?” - “Ma non dire stupidaggini, non è possibile che tu riesca in quella cosa” - “Ma figurati se proprio tu ci riesci” - “Ma chi ti credi di essere” - “Non sei mica un mago” (Perché no poi?).
È chiaro che le controintenzioni di queste persone sono dettate dalla loro bassa autostima; non è però solo questa a far verbalizzare le loro disapprovazioni, ma anche la “paura che tu riesca veramente” confermando, in tal caso, la miseria spirituale in cui vivono. Ad esse si aggiungono l’invidia, la gelosia, l’antagonismo e tutte le motivazioni dettate dal loro diabolico ego che stimolano ulteriore disapprovazione.

[...]

Quando le controintenzioni sono palesate non è difficile in realtà difendersi da esse. È sufficiente il silenzio. Naturalmente “prima”!
Può succedere però che certe controintenzioni non siano affatto espresse verbalmente ma solo pensate.
Sappiamo che il pensiero è percepito da aree profonde della coscienza e che se anche non affiora alla consapevolezza, esso agisce in profondità, subliminalmente.
Essere pertanto bersaglio di pensieri contenenti controintenzioni è altrettanto limitante, se non di più. Lo è certamente di più quando questi pensieri sono presenti nelle persone a noi più vicine, poiché quei pensieri agiscono nascostamente, quasi a nostra insaputa.
“Quasi”, perché in realtà le controintenzioni le percepiamo sempre. Provate a ricordare un vostro progetto di cui avete fatto cenno a qualcuno, un parente, la madre, il padre, il marito, la moglie. Considerate un progetto che ha richiesto un certo sforzo per essere realizzato, oppure che non è mai stato realizzato. Possono essere successe due cose: o il parente vi ha espresso la sua disapprovazione oppure l’ha semplicemente pensata. Ma se voi contavate sul suo appoggio, anche solo psicologico, ecco che non solo questo non lo avete ricevuto, ma avete ricevuto addirittura un’erosione della vostra energia.
La controintenzione non detta può manifestarsi in più modi: la persona che la proietta può non essere presente quando voi ne avete bisogno, provocando così un dispendio superiore di vostre energie.
Può casualmente interferire col vostro progetto mandandolo all’aria o renderne la realizzazione estremamente più complessa e difficoltosa, e ancora a scapito della vostra energia.
Può provocare a se stessa malattie per cui la vostra attenzione sarà assorbita da lei e non più dall’intenzione primaria. Può causare a voi incidenti per frenare e infine bloccare quanto state intraprendendo.
E se ha fantasia può trovare mille altri modi per interferire sulla vostra intenzione. Perché? Non si sa esattamente. Si può solo supporre che la persona attui tutto quanto solo per paura. In genere nei miei seminari scopro che è sempre la paura a stimolare controintenzioni.
Possono però succedere altre cose. La persona che ha controintenzioni può manifestare invece molto interesse per la vostra idea ed offrirvi il suo aiuto. Così avrà modo di esercitare un controllo molto più ravvicinato!
In questo caso potrà sbadatamente compiere o far compiere errori madornali perché il progetto fallisca. Tutto questo non avviene, come verrebbe da pensare, in modo inconscio. La persona sa esattamente che non vuole che il progetto si realizzi. Non sa perché non vuole, ma sa che non vuole, pur tentando disperatamente di nasconderlo anche a se stessa.
Se poi il progetto va in fumo le frasi che queste persone solitamente dicono sono: “In realtà io ho sempre avuto dubbi sulla tua riuscita” oppure “Sin dall’inizio una vocina dentro di me diceva che sarebbe finita male” o altre frasi del genere che rivelano in pieno le controintenzioni non dette.
Chi è portato a dire almeno ad una persona quello che intende fare, quindi ad esporre la propria intenzione, pensa di ricevere da questa conforto, fiducia, comprensione, entusiasmo.
Non sa che in realtà cerca un altro flusso di energia. Egli chiama conforto, fiducia, comprensione ecc. quello che in realtà è energia.
In certi casi è più saggio usare bene solo la propria! E in silenzio. Vero è che “…se due o più di voi chiederanno qualcosa la riceveranno sicuramente…”, sì, ma con la stessa identica intenzione.
L’Energia Cosmica, a cui tutti possono attingere, è un unico costante “sì”.
Se la persona riuscirà ad “essere” un’intenzione veramente pulita da ogni controintenzione, non solo usufruirà in modo adeguato della propria energia, ma l’intenzione personale sarà allineata all’Intenzione Cosmica e quindi ad una fonte energetica inesauribile.
Tanto più l’intenzione è pulita, tanto più sarà allineata all’Intenzione Cosmica; la totale pulizia dell’Intenzione permetterà un allineamento così intenso che l’intenzione non sarà più quella della persona, ma quella dell’Intenzione Cosmica, quella dell’Intento in senso astratto: la più potente energia esistente.
A quel punto nessuna controintenzione espressa o no da altri potrà minimamente ledere.
Occorre però che la persona sia in grado di attirare a sé quel tipo di energia, e per fare questo ha un solo modo: essere inappuntabile.
L’inappuntabilità è una scelta di vita. È un modo di essere.

Testo tratto da “Infiniti Risvegli”

Fonte:LAMENTEMENTE.COM


Dio

"Guardare fuori è sognare, guardare dentro è svegliarsi" - C. G. Jung.

il diagramma oculare ricorda incredibilmente il campo magnetico terrestre.


Tagliando una Mela a metà si può avere un motivo simile a quelli sopra.


La forma della mela ricorda quella di un cuore. Guglielmo Tell, nel 1307 centrò la mela posta sul capo di suo figlio [2], proprio come la figura astrologica del Sagittario centra il cuore galattico con le sue freccie.

Tagliando una mela a metà possiamo notare come i semi compongano un pentagramma, sul quale è possibile inscrivere un uomo ed i 5 elementi del Micro/Macrocosmo.. [continua]

4/7 lo specchio

la mente più chiara mi invita a perseverare...
il corpo inteso come veicolo è lubrificato, il sangue è più fluido, riconosciamo i miglioramenti, apprezziamoli, prendiamo il coraggio di confutarli veri...
come la noce, che chi ha la fortuna di raccogliere proprio in questo periodo si pulisce dal suo mallo, ottiene un guscio forte...
siamo li... invece di aprirci con violenza per accedere ad un livello più intimo dobbiamo scioglerci con effusioni amorose...

il giro di boa consiste nel amarsi..., come?

prendendo il principio del tantra.

sempre perseverando con la "messa a punto" che il meraviglioso 21 ci dona, aggiungiamo per sette giorni, dopo le pratiche conosciute, un poco di tempo in completa solitudine...

in piedi, nudi completamente, procediamo con delle carezze lievi e sopratutto consapevoli, delle labbra, dei capezzoli, dell'ombelico e del pube...!! basta.

procediamo con l'amarci... non è peccato!!
senza vergogna e senza privarci di questa gioia, sinceri guardiamoci negli occhi, se penso di essere ridicolo per me stesso... lo sono veramente.
se sono felice e sento che qualcosa succede, sono ...!!
togliamo il mallo dolcemente per sette giorni...
realmente consapevoliiii

Il Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza


Sezione prima


Udii queste parole del Buddha a Kammassadharma, una città del popolo dei Kuru. Il Buddha si rivolse ai bhikkhu: "O bhikkhu". I bhikkhu risposero: "Venerabile Signore".

Il Buddha disse: "Bhikkhu, c'è una via meravigliosa per aiutare gli esseri viventi a realizzare la purificazione, superare direttamente il dolore e la tristezza, porre fine alla sofferenza e all'ansia, percorrere il retto sentiero e realizzare il nirvana. È la via dei quattro fondamenti della consapevolezza.

"Quali sono i quattro fondamenti?

1. "Bhikkhu, il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, accurato, consapevole, con una chiara comprensione, avendo abbandonato ogni desiderio e avversione per questa vita.

2. "Egli si radica nell'osservazione delle sensazioni nelle sensazioni, accurato, consapevole, con una chiara comprensione, avendo abbandonato ogni desiderio e avversione per questa vita.

3. "Egli si radica nell'osservazione della mente nella mente, accurato, consapevole, con una chiara comprensione, avendo abbandonato ogni desiderio e avversione per questa vita.

4. "Egli si radica nell'osservazione degli oggetti mentali negli oggetti mentali, accurato, consapevole, con una chiara comprensione, avendo abbandonato ogni desiderio e avversione per questa vita".

Sezione seconda

"In che modo il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo?

"Egli va nella foresta, ai piedi di un albero o in una stanza vuota, si siede a gambe incrociate nella posizione del loto, tiene il corpo eretto e stabilisce la consapevolezza di fronte a sé. Egli inspira, consapevole di inspirare. Egli espira, consapevole di espirare. Quando inspira un lungo respiro, egli sa: “Sto inspirando un lungo respiro”. Quando espira un lungo respiro, egli sa: “Sto espirando un lungo respiro”. Quando inspira un respiro breve, egli sa: “Sto inspirando un respiro breve”. Quando espira un respiro breve, egli sa: “Sto espirando un respiro breve”.

"Egli esercita la seguente pratica: “Inspirando, sono consapevole di tutto il mio corpo. Espirando, sono consapevole di tutto il mio corpo. Inspirando, calmo le attività del corpo. Espirando, calmo le attività del corpo”.

"Proprio come un abile vasaio sa, quando gira lungamente il tornio: “Sto girando lungamente il tornio”, quando gira brevemente il tornio: “Sto girando brevemente il tornio”, così il praticante, quando inspira un respiro lungo, sa: “Sto inspirando un lungo respiro”, e quando inspira un respiro breve, sa: “Sto inspirando un respiro breve”; quando espira un respiro lungo, sa: “Sto espirando un lungo respiro”, e quando espira un respiro breve, sa: “Sto espirando un respiro breve”.

"Egli esercita la seguente pratica: “Inspirando, sono consapevole di tutto il mio corpo. Espirando, sono consapevole di tutto il mio corpo. Inspirando, calmo le attività del corpo. Espirando, calmo le attività del corpo”.

"Così il praticante osserva il corpo nel corpo. Egli osserva l'interno del corpo o l'esterno del corpo, o entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Osserva il processo di originazione o il processo di dissoluzione nel corpo, o entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, quando cammina, il praticante è consapevole: “Sto camminando”. Quando è in piedi, è consapevole: “Sono in piedi”. Quando è coricato, è consapevole: “Sono coricato”. In qualsiasi posizione si trovi, egli è consapevole della posizione del corpo.

"Così un praticante osserva il corpo nel corpo. Egli osserva l'interno del corpo o l'esterno del corpo, o entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Osserva il processo di originazione o il processo di dissoluzione nel corpo, o entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, questo è il modo di praticare l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, quando va o torna, il praticante applica piena consapevolezza all'andare o al tornare. Quando guarda davanti o dietro, quando si china o si rialza, applica piena consapevolezza a ciò che sta facendo. Applica la piena consapevolezza indossando il sanghati o portando la ciotola delle elemosine. Quando mangia o beve, mastica o gusta il cibo, nell'eliminare gli escrementi o urinando, applica a ogni azione corporea la piena consapevolezza. Quando cammina, siede, dorme o si sveglia, parla o rimane in silenzio, fa splendere su ogni attività la luce della consapevolezza.

"Inoltre, il praticante medita sul proprio corpo, dalla pianta dei piedi verso l'alto e dalla cima della testa verso il basso; un corpo racchiuso nell'involucro della pelle e pieno delle impurità che gli sono proprie: “Ecco capelli, peli, unghie, denti, pelle, carne, nervi, ossa, midollo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, intestini, budella, escrementi, bile, flemma, pus, sangue, sudore, grasso, lacrime, sebo, saliva, muco, liquido sinoviale, urina”.

"Bhikkhu, immaginate un sacco apribile da entrambe le estremità, contenente una miscela di granaglie: riso grezzo, riso selvatico, fagioli verdi, fagioli bianchi, sesamo, riso bianco. Una persona di buona vista, aprendolo, così discerne: “Questo è riso grezzo, questo è riso selvatico, questi sono fagioli verdi, fagioli bianchi, semi di sesamo, riso bianco”. Allo stesso modo il praticante passa in rassegna l'intero corpo, dalla pianta dei piedi alla cima della testa, un corpo racchiuso nell'involucro della pelle e pieno di tutte le impurità che gli sono proprie: “Ecco capelli, peli, unghie, denti, pelle, carne, nervi, ossa, midollo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, intestini, budella, escrementi, bile, flemma, pus, sangue, sudore, grasso, lacrime, sebo, saliva, muco, liquido sinoviale, urina”.

"Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno o dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione o del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, in qualsiasi posizione si trovi il suo corpo, il praticante passa in rassegna gli elementi che lo compongono: “In questo corpo è l'elemento terra, l'elemento acqua, l'elemento fuoco e l'elemento aria”.

"Come un abile macellaio, o un apprendista macellaio, uccisa una vacca, si siede al crocicchio di una via per squartarla in tante parti, il praticante passa in rassegna gli elementi che compongono il proprio corpo: “In questo corpo è l'elemento terra, l'elemento acqua, l'elemento fuoco e l'elemento aria”.

"Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno o dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione o del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, da uno o due giorni, gonfio, illividito, in putrefazione; e osserva: “Il mio corpo è della stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo”.

"Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno o dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di

originazione o del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, beccato dai corvi, dilaniato da falchi, avvoltoi, sciacalli, infestato da larve e vermi; e osserva: “Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo”.

"Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno o dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione o del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; è solo più uno scheletro, con brandelli di carne e macchie di sangue, le ossa tenute insieme dai legamenti; e osserva: “Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo”.

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; è uno scheletro con residue macchie di sangue ma senza più carne, le ossa tenute ancora insieme dai legamenti...

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; è solo uno scheletro, senza più carne né sangue, le ossa tenute ancora insieme dai legamenti...

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; tutto ciò che è rimasto è un ammasso di ossa sparse qua e là: qua l'osso di una mano, là una tibia, un femore, un bacino, una colonna vertebrale, un cranio...

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; tutto ciò che è rimasto è un mucchio di ossa sbiancate, color conchiglia...

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; è passato più di un anno, e tutto ciò che è rimasto è un mucchietto di ossa secche...

"Inoltre, il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero; tutto ciò che è rimasto è la polvere delle ossa sbriciolate; e osserva: “Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo”.

"Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno o dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione o del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. È consapevole del fatto: “Qui c'è un corpo”, fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Bhikkhu, così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo".


continua...