Grazia Brocchi, "Squarciando il velo"



Per la seconda volta mi è dato il piacere e l’onore di scrivere un testo critico su opere di mia madre; la quale è un’artista dall’immaginario quanto mai fantasioso e variegato nel panorama dell’arte attuale. Un’artista dall’espressività ma soprattutto dal pensiero molto sfuggente e stratificato, sicuramente impossibile da contenere nei margini di un movimento o “maniera”, e sempre alla ricerca di nuove vie per comunicare il bello.

Credo non vi sarà mai il giorno in cui si potrà dire di riconoscere Grazia Brocchi da un certo stile, un certo tratto, non perché le sue creazioni manchino di carattere e personalità, quanto piuttosto per il suo essere costantemente in cerca del rinnovamento, consistente nella sperimentazione di nuove tecniche, nuovi soggetti, nuovi materiali, e sempre nuovi modi di sorprenderci. Una tendenza che posso ritrovare in diversi aspetti della vita e del quotidiano di mia madre, la quale ha sempre in qualche modo fuggito, più o meno consapevolmente, ogni forma di “stasi” e “normalità”, come seguendo il flusso di una costante, florida, e sempre rinnovata creatività (che è ben diversa dall’anticonformismo sforzato e fine a sé stesso).

Questo, prima ancora di accostarci alle opere, lo possiamo vedere fin dai titoli dei quadri di questa nuova collezione. Titoli in cui spesso compaiono curiosi neologismi, dovuti alla necessità (che ha sempre caratterizzato mia madre) di subordinare la parola al concetto e non viceversa… Ed è chiaro che il neologismo induce ad un arresto che impone una considerazione più profonda ed intimista della parola, rispetto a quanto avvenga con parole già lette, già sentite, già usate. Neologismi come “intuitità” vengono perciò a supplire l’incapacità di termini esistenti (come “intuitività” o “intuizione”) di esprimere le idee sottili (più vicine all’anima e al sentimento) che in Grazia Brocchi vorrebbero sostituirsi alla sterilità comunicativa della semplice sfera razionale…



“Squarciando il velo”, titolo di questa seconda collezione di Grazia Brocchi, può apparire un titolo da filosofia spicciola con velleità new age, se con “Squarciando il velo” ci si riferisse al (ormai abusato) squarcio del velo di Maya, ovvero il superamento dell’apparenza. Pensare questo non farebbe che avvilire e banalizzare la fantasiosa genialità di questo titolo (e delle opere di cui esso vuol’essere, in qualche modo, “genio tutelare”). Lo squarcio del velo o dei veli cui (credo) si voglia alludere, in maniera di certo più originale, è il progressivo percorso dell’anima che cerca di valicare le cortine che la dividono dalla vista dell’amore. In questo, quindi, si potrebbe associare la sottile filosofia di questa collezione al mito, e in particolare al desiderio di Psiche di scorgere le fattezze dell’amato, Eros, che si presentava a lei sempre solo avvolto dalle tenebre della notte e in assenza di lumi.

Infatti, i soggetti di queste nuove opere di Grazia Brocchi riguardano tutti, in qualche modo, il sé, l’anima, l’altro, l’incontro di anime, il sentimento, l’amore.

Amore che è analizzato (no, anzi, osservato, in silenzio e quasi di nascosto), nella sua natura intima e interiore. Assenti riferimenti di tipo sessuale o passionale, i quadri ci proiettano in una dimensione di tenerezza e dolcezza, di amore inteso come inizialmente timida e poi via via più completa scoperta dell’altro, della sua natura, delle affinità e delle diversità su cui poi verrà costruito il rapporto.

Le figure rappresentate (ora maschili, ora femminili, ora androgine) non alludono e non vogliono alludere a nessun tipo particolare di amore, adattandosi ugualmente a descrivere la tenerezza, l’amicizia, l’amore materno, paterno, filiale o fraterno, l’incontro fugace o l’unione di una vita.

I personaggi, colorati ed onirici, sembrano danzare (se consideriamo non ogni quadro nella sua singolarità ma la collezione nel complesso) da un’opera all’altra, comparendo, scomparendo e ricomparendo in forme nuove, talvolta solitari, talvolta in un curioso gioco di coppia, come spiritelli dell’aria di shakespeariana memoria.

Visi che si baciano, o che si guardano l’un l’altro, come per indagarsi e scoprirsi, visi che sorridono e godono spensierati, od osservano quasi malinconici chi li contempla; visi che smettono di guardarsi, cercano di percepire la vicinanza ad occhi chiusi; sorrisi maliziosi e birbanti, o sguardi profondi, quasi da filosofi… ma sempre, comunque, tanto affetto, fiducia, desiderio di vicinanza e di protezione reciproca.

Visi che passano dall’astrattismo a tratti quasi bizantini, da linee e colori che sembrano fondersi con lo sfondo ad altri più marcati ed individualisti. Visi che parlano, e comunicano molto, a chi si sforza di ascoltarli. Visi che comunicano in silenzio, perché i loro discorsi non sono e non vogliono essere fatti di parole, ma di sentimenti condivisi. Occhi, che cercano negli occhi di chi li guarda la complicità di chi ha vissuto quegli stessi sentimenti…

Se consideriamo le opere di “Squarciando il velo” anche come proseguimento ideale di “Immanenza grafica”, potremo notare che se in quest’ultima era inscenata una metaforica destrutturazione dell’edificio chiesa, che veniva trasfigurato attraverso il colore e la forma grafica, quasi un gesto di prepotente irruzione dell’arte che stravolge la struttura religiosa intesa come confine alla spiritualità riportando il senso religioso all’immanenza, allo stupore per la forma e dunque al creato; in “Squarciando il velo” il discorso interrotto viene ripreso, e ricondotto all’intimità, al soggetto, alla persona, che diviene a sua volta, in qualche modo, tempio di quello stesso sentimento di immanenza. La creatura che si fa interprete del pensiero divino nel creato attraverso la facoltà dell’amare.




TECNICA DEL FLUSSO

Salve a tutti, io sono Duncan, e questo è il mio primo post in questa Compagnia dell'anello..
spero di poter dare, nel tempo, un contributo degno dei membri e dei lettori..

Il tema di cui mi occuperò, almeno per i primi tempi, sarà quello della Disciplina.
Questo termine così abusato e incompreso io lo utilizzo come simbolo e archetipo di ogni pratica di autentica trasformazione dell'essere umano. Pur parlando in questo post di una tecnica "specifica", credo abbia senso cominciare a spendere due parole sul senso della Disciplina; cominciare ad aprire una traccia che poi svilupperemo in futuro.
Esiste un colossale fraintendimento, che ha rappresentato un ostacolo mentale davvero arduo da oltrepassare per tantissimi uomini, pur animati da buone intenzioni. La pratica attiva di trasformazione, l'impegno consapevole e deciso, lo sforzo supremo per oltrepassare i propri limiti è stato spesso squalificato nel facile e efficacissimo incasellamento di "mancanza di spontaneità".
Si è giocato abilmente con le parole creando una atmosfera emotiva ed energetica gravitante su tutto ciò che è Disciplina; un'atmosfera fondamentalmente negativa. Questo gioco, spesso inconsapevole, ha funzionato creando un unico calderone Disciplina, nel quale sono state inserite tutte le forme di costrizione e irrigimentazione provenienti da potenze esterne. In questo modo in molti ambienti spirituali ogni forma di intensità focalizzata, di impegno vitale per l'autotrascendimento viene tacciato come Ego. E' in gioco un falso rapporto tra spontaneità e impegno per la trasformazione.
Innanzitutto c'è Disciplina e Disciplina. Da qui si parte, questi sono i primi mattoncini che dovremo sempre avere presenti dinanzi ai rulli compressori esterni. C'è una Disciplina disumana e degradante che ti deprime emozionalmente, degrada il sacro mistero che porti dentro e ti sottopone a potenze esterne. E una Disciplina che ti libera. Una Disciplina, questo venga scritto a lettere di fuoco, che nessuno ti impone, MA CHE TU SCEGLI.
E se io vi dicessi, andando oltre, che LA DISCIPILINA E' LA MIGLIORE AMICA DELLA SPONTANEITA'? E' qua il più surreale degli incantesimi. Se gli uomini avessero avuto fin dall'infanzia una crescita armonica, in cui ogni parte del loro essere si fosse naturalmente espansa, senza traumi, blocchi, ferite rigidità.. avrebbe effettivamente poco senso parlare di Disciplina. Ma quasi tutti sono bloccati, irrigiditi, corazzati dentro tese strutture muscolo-corporali, feriti e traumatizzati, intossicati dalla paura, aggrappati disperatamente a bisogni e dipendenze. Lasciati semplicemente a percorrere lo stesso binario, cullati indolentemente dalle mille forme di manipolazione e di pressione che ci circondano, non siamo spontanei e liberi, ma diveniamo "arrendevoli", ci siamo "arresi"a forze che sono ormai dentro di noi.
La vera compassione non è quel mantra dolciastro che coccola il tuo vittimismo e ti lascia nella tua autoindulgenza perchè ti vuole piccolo, bisognoso, debole.
La vera compassione ti vuole Libero. La spontaneità non è autoindulgenza e narcisismo.
La vera Disciplina ti libera. Perché ti dà strumenti e intuizioni, segreti e saggezza per sfondare la cappa densa di nero petrolio che si è accumulata nel tempo e ti ha reso sempre più opaco e rigido, "lento", stanco. La Disciplina abbattendo il muro della Dominazione e del condizionamento ti restituisce al tuo essere originario, ti conduce alla spontaneità. Questa è l'antica via degli uomini liberi. Questa è la via solare.
Come non cadere nella trappola delle false discipline, dell'estremismo fanatico, dell'autoinganno mentale? Per il momento ricordate queste due cose. Sembrano due frasi banali. Ma dentro ci sono interi universi. Non dimenticatele, perché esse rappresentano una chiave.
-LE DUE COLONNE SONO DISCIPLINA E AMORE.
-E.. IL CUORE DELLA DISCPLINA E' L'AMORE.
(Comunque sono tutte cose su cui ritorneremo)

La tecinca con cui però oggi voglio iniziare non si presenta con credenziali roboanti di trasformazione o con prospettive di drastico ribaltamento esistenziale. E' una tecnica semplice, ma che troverete molto interessante. L'ho provata su me stesso, come la maggior parte delle tecniche che presenterò. Credo infatti che quando c'è l'esperienza personale c'è più senso ed onestà in quello che dici.
Questa tecnica la considero molto benefica per migliorare la qualità della scrittura e la creatività.
Sicuramente esiste sotto diverse varianti e vari nomi. Io l'ho chiamata FLUSSO. Consiste nel prendersi l'impegno con se stessi di scrivere qualcosa ogni giorno. Nessun giorno escluso. Si decide un numero minimo di pagine oltre il quale non si scenderà. Ad esempio, non meno di due pagine di quadernone (io personalmente mi attesto sulle 4 o 5 pagine quotidiane). Ed ogni giorno si scriveranno almeno quelle due pagine dopo aver scelto un argomento. L'argomento può essere il più disparato, dal più sublime al più banale. Se scegliamo l'argomento "banana", tutte le due pagine tratterranno del tema banana. Non importa se in certi tratti si scrivono anche sciempiaggini. Basta che tutto ciò che si scrive abbia almeno un vago collegamento col tema banana. Questo è anche utile perchè addestra la mente alla persistenza e all'"allungamento oltre l'ordinario". Intendo con ciò che noi siamo abituati a pensare di non potere dire molto di
certi temi. Ed in effetti il tema banana si può liquidare in dieci righe. Invece la sfida è continuare, in un modo o nell'altro, a scrivere per due pagine. Con tutti i mezzi. Se non viene proprio in
mente nulla, si diranno anche frasi banali come "la banana ha una buccia di colore giallo.. per carnevale mio nonno si vestirà di banana.." Capito un trucchetto? In casi di totale vuoto, appoggiarsi a tutto, purchè vi sia sempre anche un vago legame col tema. Naturalmente si potrà parlare della filosofia della banana, di quella volta che mentre andavo al cinema scivolo su una banana e vado a fracassarmi il cranio contro un lampione, del fatto che odio le banane
mature perché mi sembrano marce. Il fatto stesso di "forzare" un argomento educa la mente ad abituarsi a trovare connessioni e collegamenti e a potenziare la concentrazione. E' evidente come ci saranno pure temi per i quali è più facili parlare. Se si parla di "amore" ad esempio, non è difficile nemmeno riempire dieci pagine.
Nel FLUSSO, almeno come lo intendo io, c'è un'altra regola. Mantenere il medesimo ritmo o velocità di scrittura. Ed ogni volta che si è scritto qualcosa, non tornare mai indietro a rivedere e a correggere, anche se si sono fatti i più catastrofici errori sintattici e grammaticali. Mantenere sempre lo stesso ritmo, anche a prescindere dagli errori, evita che questo esercizio diventi pesante come certi temi in classe dove si sta mezzora dinanzi al foglio bianco spremendosi le meningi, senza sapere che cosa diavolo scrivere. Questo è invece un esercizio liberatorio. Scrivete liberamente. Scrivete senza paura. Scrivete senza temere il giudizio. Unica regola è mantenere il tema, e poi andate pure avanti con scempiaggini quando non vi viene in mente nient'altro. Purché scrivete, scrivete e scrivete. Questo è ciò che gli antichi Maestri Zen intendevano con "Al
più alto livello non sei tu che tendi l'arco, ma è l'arco che si manifesta attraverso di te".
E qui anche il senso della parola FLUSSO, uno scrivere, cioè libero. Uno scrivere che è anche un lasciarsi scrivere. Una tecnica che nel tempo migliora la qualità della scrittura, la capacità di concentrazione, la creatività.. rendendo anche psichicamente più sciolti.
INIZIATE SUBITO. Non rimandate. Chi rimanda al giorno dopo non
inizierà mai nulla.. Non avete tempo neanche per fare la pipi?.. iniziate con poco, anche solo una pagina di quadernone al giorno.. ma, IMPORTANTISSIMO, che sia ogni giorno, cascasse il ciello e crollassero tutti gli angeli sulla terra, e i diavoli saltasseo in padella e tutto il mondo diventasse
mortadella...
Hasta Siempre Esperanza

LAVORO SULLE EMOZIONI NEGATIVE(parte 2)


Cristallizzare un nuovo corpo

"Sono arrabbiato solo perché non vedo la realtà. Sono cieco. Non mi è accaduto quello che credo io. La mia mente mi fa vedere degli episodi che in realtà non hanno il significato che lei crede" "IO INVECE VOGLIO VEDERE LA REALTA'". Questa può esser detta una « formula alchemica ». Cominciare a ragionare in questo modo dopo un'emozione negativa, non appena ci si ricorda di farlo, permette con il tempo di trasmutare proprio la sostanza di cui è composta l'emozione negativa in 'occhi per vedere il Bello'.
Spiegheremo meglio questa affermazione descrivendo cosa accade alchemicamente. Se, ad esempio, stiamo provando rabbia, ciò vuol dire che la nostra macchina è pervasa della sostanza della rabbia sia sul piano emotivo, che su quello mentale (qui si manifesterà come immaginazione negativa) che su quello fisico (qui si manifesterà con vari fenomeni a livello circolatorio e muscolare). Se noi cerchiamo di ostacolare tali manifestazioni imponendoci di essere « presenti », cioè ricordarci di noi, e sforzandoci di passare a una nuova visione della realtà, creiamo una certa dose di attrito, questo attrito è un Fuoco che agisce sulla sostanza prodotta dalla rabbia e fa in modo che si produca una nuova sostanza che si cristallizza nel nuovo corpo in costruzione.

Nel nuovo corpo questa non sarà più rabbia, bensì una specifica emozione superiore che è risultata dalla trasmutazione della nostra rabbia. Così come la personalità provava rancore quando si sentiva vittima di un'ingiustizia, allo stesso modo ora l'anima prova una nuova emozione superiore - qualcosa di gioioso e compassionevole - di fronte alla stesso atto, in quanto i suoi « nuovi sensi » sono in grado di cogliere il Vero e non interpretano più come ingiusto quell'atto.
In altre parole, per ogni manifestazione negativa che viene osservata coscientemente e, quando possibile, contrastata, si costruisce una sorta di « senso sottile » appartenente al corpo dell'anima, che l'anima utilizza come 'occhio' per percepire nuovi aspetti di bellezza nel mondo e per provare una corrispondente emozione superiore.
La trasmutazione è dunque operata da un cambiamento radicale della prospettiva da cui si osserva la realtà. Il punto di vista del Cuore ha bisogno di essere nutrito con questi nuovi pensieri. La mente ha bisogno di essere polarizzata verso i nuovi principi appartenenti alla visione del Cuore. Il processo è lungo perché si tratta di convertire - questa è l'autentica « conversione religiosa » - gli schemi meccanici, che sono incisi negli atomi stessi della macchina, in « nervi sottili » del Cuore; e all'inizio l'unico strumento che abbiamo per farlo è la mente.

Si sarà notato a questo punto che il lavoro di risveglio non è un lavoro psicologico, morale o spirituale, bensì un lavoro squisitamente fisico, che si produce attraverso la creazione di sostanze che sono fisiche e di corpi che sono fisici - sebbene appartenenti a una fisicità meno grossolana di quella cui siamo abituati.

Se non trascuriamo mai di agire in questo modo in coincidenza delle emozioni negative, cioè se non le giustifichiamo mai e non le lasciamo passare inosservate, vedremo diminuire progressivamente il lasso di tempo che trascorre da quando accade l'evento emotivo a quando ritorniamo in noi e iniziamo a pensare in questo nuovo modo. Il nuovo modo di intendere la realtà che provoca la nostra trasformazione.
In virtù di tale lavoro di avvicinamento all'apice dell'emozione, a un certo punto saremo in grado di agire direttamente sull'emozione sforzandoci di non manifestarla all'esterno, e creando così un attrito ancora maggiore. Ma ciò fa parte della fase successiva.

Altri esempi di nuovi schemi di pensiero: "Se non sopporto una persona o una situazione quella persona e quella situazione non c'entrano. Non li sopporto perché vivo in un'allucinazione dove non vedo cosa accade e proietto all'esterno dei fastidi che fanno parte della mia macchina" "Se qualcuno o qualcosa mi dà fastidio è perché io proietto su di lui un meccanismo che appartiene in realtà al mio apparato psicofisico; il fastidio è un difetto della lente attraverso cui percepisco il mondo".
"Il brutto e lo sbagliato fanno parte di un mio difetto di percezione. La verità mi può essere comunicata solo dalla visione del Cuore".
"Se mi sembra che quella persona stia facendo qualcosa di sbagliato vuol dire che secondo me l'esistenza si è sbagliata nel crearla. Il mio dire che qualcuno sbaglia implica che secondo me certe persone sono degli 'errori della Vita', e io pretendo di decidere quali sono errori e quali no. Dimentico che niente è oggettivamente sbagliato, ma sono io a dividere in modo arbitrario fra giusto e sbagliato secondo i fastidi e le antipatie della mia macchina".

Costringere la mente a pensare in maniera corretta riguardo le emozioni negative crea un nuovo « ambiente mentale » polarizzato in direzione del Cuore. La personalità reagisce con emozioni negative a certi eventi perché pensa: "Lui sta sbagliando, potrebbe comportarsi in un altro modo ma non lo fa. Questa situazione non è giusta", oppure pensa: "Io non sono all'altezza. Farò una brutta figura e tutti rideranno di me. Non potrò mai fare questa cosa". Per correggere queste visioni alterate si devono introdurre nuovi pensieri: "Devo ammettere che io attualmente non ho gli strumenti di percezione adatti a vedere cosa accade intorno a me. Il fatto che qualcuno possa sbagliare, truffarmi, offendermi o ridere di me è il risultato di una mia allucinazione, derivante dal fatto che percepisco il mondo attraverso sensi non ancora convertiti".

Spesso iniziamo a pensare a disgrazie che possono capitare ai figli o al partner, o al pianeta intero, quindi ci sentiamo ansiosi, frustrati o impotenti. Le immagininazioni che alimentano la paura di essere traditi sono altrettanto dannose. Ogni volta che ci sorprendiamo in una immaginazione negativa questa va scrollata di dosso con decisione e buttata dove le spetta: nel cesso.
Ad esempio in questo periodo la frustrazione e il senso di impotenza per quanto accade nel mondo sono forme di sofferenza molto diffuse. Esse sono completamente inutili e dannose: se possiamo fare qualcosa per gli altri o per il pianeta smettiamo di piangere e iniziamo a farlo oggi stesso; se invece la nostra posizione non ci consente di fare qualcosa per il pianeta smettiamo di piangere e facciamo qualcosa per chi ci circonda.
La sofferenza non è nostra, e questo vale per ogni genere di sofferenza, è sempre qualcosa che si trova nell'atmosfera e che la nostra macchina assorbe fornendole nuova energia e rispedendola nell'ambiente più forte di prima. Non è scritto da nessuna parte che dobbiamo soffrire quando ci accade qualcosa. Si buttano via i pensieri inutili e si agisce; non si piange.

Mirare al sovranaturale

L'essere umano che nel momento in cui prova un'emozione negativa non si abbandona totalmente ad essa, ma lotta per restare sveglio e presente, comincia a vincere le forze della natura di cui è stato fino a quel momento inconsapevole schiavo.
Non perdersi completamente nell'emozione a una prima impressione potrebbe apparire come qualcosa di innaturale e limitante per la libertà dell'essere umano. In realtà non si tratta di una pratica innaturale, bensì sovranaturale, e chi vi si dedica lo fa perché è già divenuto consapevole che la libertà per l'uomo che brancola nel sonno della coscienza non è mai possibile.
Continuare a sottostare a ciò che è naturale non può che trattenere l'uomo nell'ambito della mediocrità. Compiere il sovranaturale lo eleva altresì a « Uomo Nuovo », con i poteri che gli competono e la capacità di portare un reale aiuto all'umanità nei piani più sottili della realtà.
L'animale è totalmente succube delle leggi di natura, ma l'essere umano può, almeno in parte, svincolarsi da esse. In fondo questo tentativo è stato il motore dell'intera storia evolutiva della nostra civiltà. Scienza, arte, tecnologia, medicina sono il frutto degli sforzi dell'uomo indirizzati a controllare una natura inesorabile. Ora è giunto il momento di imprimere una decisa accelerazione a questo naturale processo evolutivo.

Non sei tu a vincere...

Pubblico qui un testo che mi ha inviato un nostro collaboratore LESTATON.L'autore di questo messaggio vuol far riflettere su alcuni aspetti dell'illusione che si ripresenta ogni giorno davanti a noi e che continua ad esistere finchè noi lo permettiamo.Il nome dell'autore è DUNCAN.


Non sei tu a vincere


Noi non vinciamo quando una squadra fa un gol ad una partita. Può essere bello, divertente, esaltante.
Ma non vinciamo noi. Non vinco io e non vinci tu. Qualcuno va al governo, ma non sei tu ad andarci.
Tu resti là a tifare per altri. Loro vanno al governo, o segnano alle partite, o fanno un film
Puoi anche apprezzare lo spettacolo.. ma non sei tu e non sono io.
Sembra che ce la inoculino da sempre questa distinzione tra protagonisti e spettatori, tra elité ed eteni gregari che vivono semmai di polvere di gloria riflessa.
Gregarietà come un onda.. gregarietà come una malattia.. Dell'anima, della mente.
Arrivi a credere che lo spazio a te concesso sia sempre quello. Una nicchia dove poter campare con una certa decenza. Ci convinciamo nel tempo che possiamo avere solo tot, che noi siamo il popolo bue, la maggioranza grigia. Quelli che "vanno a rimorchio". Altri sono i leader, altri gli scrittori, altri fanno i film, altri fanno musica, altri giocano.. altri CREANO.
Però c'è questa briciola. "Noi abbiamo vinto il campionato... noi abbiamo vinto le elezioni", Ci sono queste molliche buttate tanto per dare consolazione. Ma tu non hai vinto il campionato, e tu non hai vinto le elezioni. Solo altri che hanno vinto, e che cercano una claque pagante, militanti e sostenitori da intruppare.
Ma ancor di più.. perché devi essere un gregario?
Chi l'ha detto? Perché devi essere uno spettatore? Perché puoi essere solo un lettore?
Perché ci accontentiamo spontaneamente ormai?.. senza che nessuno ce lo dice, ci arriviamo da soli, abbiamo imparato la lezione. Non è diffiicile impararla, dato che tutto intorno a noi urla mediocrità. Tutti a mostrarti l'arte dell'accontentarsi, l'arte dell'arrangiarsi, l'arte del volare basso. L'arte del "mangia il mangime nel tuo pollaio". Per anni ovunque hai messo il capo, parenti, amici, colleghi, ti sei specchiato in manifesti di resa e arrendevolezza, in consigli di umiltà e deferenza. "Striscia ragazzo striscia.. e ringrazia". Sogna un posticino, ringrazia per l'elemosina del potente di turno. E strozza in gola la tua rabbia. Si diventa esperti nell'ingoiare i rospi dopo un pò di anni. Esperti nella nobile arte nel calare le brache, e nel sorridere forzato e spento di chi vede i suoi giorni futuri sempre uguali, sempre sullo stesso binario.
Ma è un gioco, una illusione.. non siamo nati per caste.. non sei nato cliente, gregario o schiappa.
Non sei nato per essere già morto a vent'anni, e per sposarti appena trovi qualcuno che altrimenti il tempo passa. Non sei fatto per "tengo la bocca chiusa che è meglio evitare grane". Non sei fatto per "mi accontento di questo lavoro che è quel che passa il convento". Però poi posso dire.. "abbiamo vinto lo scudetto.." Mi sovviene adesso una credenza degli indiani d'america che può sembrare balorda e strampalata a prima vista. Essi fanno riti nei quali prendono piante che scombussolano la coscienza e destano le emozioni come il Peyote, ma sostengono che i loro rituali non servono ad "allucinare", a "deallucinare". Detta in soldoni, nell'allucinazioine ci siamo già..
In questo teatro che ha bisogno di gregari, figuranti e raccattapalle per continuare a girare la corda del Carrion...
L'incantesimo è già qua, davanti a noi, davanti a me, a te.. a farci credere, a farti credere che sei un ometto che ha bisogno del poliico di turno e dell'appoggio della famiglia e degli amici degli amici.
Questo incantesimo ti vuole spento, a ingozzarti di alcool e cibo spazzatura. A lavorare come una bestia ogni santo giorno della tua vita per un lavoro che nenache ti piace troppo, per arrivare alla pensione rancoroso e rincoglionito. TI vuole inchiodato ogni santo giorno davanti alla televisione a sperperare il tuo tempo tra tronisti, storie di corna, ruffianate e puttanate varie.
Ti vuole sempre più disilluso e cinico, frustrato dentro.. con i tasca sonnniferi e tranquillanti per domare la tua inquietudine.. o l'eterno goccetto con cui sedi ogni sera quel serpente che ti morde la coada, quel fuocherello alle chiappe.
Ma è un incantesimo appunto... il Velo di Maya.. la grande meretrice delle Illusioni..
Anthony di Mello raccontava che la maggior parte delle persone sono Aquile che si credono Polli, cercava anche di insegnare a trovare la forza, il coraggio..
E' come una scorza pesante che ci portiamo da una vita... un utero da sfondare se vuoi nascere,nascere davvero.
Una piccola morte. Ma chi non muore non conosce la vera vita. La piccola morte che porta alla Vita, come il seme che muore, e morendo diventa quercia.
La virtù del Coraggio, di buttarsi comunque, di tendere la mano ad un Sogno. Molti lo fecero, e poi hanno raggiunto la Grande Montagna.
Ma anche se non l'avessero raggiunta, la loro vita divenne degna, vissero sul serio. alcuni ci morirono nell'impresa, ma almeno non morirono di stanchezza, disillusione, cinismo.
Allora, non siamo il ventre molle, carne da sondaggio, pecoroni da soma, claque plaudente..
Non sei nato gregario, non devi esserlo..
Portiamo con noi un Sogno e una Sete fin da quando siamo nati. E se qualcuno riderà di ste cose lascialo ridere come una scimmia,noi abbiamo di meglio da fare che dar fiato ai denti.
Puoi essere tu a farlo un film..
puoi essere tu a scriverlo un libro..
puoi essere tu ad amare davvero..
puoi essere tu ad inventare qualcosa..
puoi essere tu a fare una grande avventura..
puoi essere tu a tentare una impresa..
puoi essere tu a cotruire qualcosa..
puoi essere tu a regalare un sogno..
puoi essere tu a CREARE...
A vincere sul serio, tu, in carne ed ossa.. e non quando segna Adriano..
Salutamos

DUNCAN

LAVORO SULLE EMOZIONI NEGATIVE (parte 1)


Voi non potete giungere a fine senza illuminazione, senza pazienza e senza il coraggio di aspettare; poiché senza pazienza non si entra in quest'Arte. Che cosa non dovreste fare, e quale pena non darvi, pur di giungere a questa Scienza così alta, di profitto così grande? Quando voi piantate e seminate, non attendete, per il frutto, sino al tempo della maturazione? Come vorreste dunque avere il frutto di quest'Arte in breve tempo?
Turba Philosophorum


Tutto ciò che è stato detto finora su immaginazione negativa ed emozioni negative è servito a introdurre un « ambiente mentale » indispensabile affinché possa iniziare la loro trasmutazione. Parallelamente agli sforzi sul ricordo di sé, l'operatore alchemico dovrà infatti portare avanti un lavoro di trasmutazione delle sue emozioni negative.

Cominciamo col ripetere che nella nostra officina alchemica vogliamo fabbricare un veicolo per l'anima, il che si accompagna allo spostamento del centro di consapevolezza dell'individuo dalla mente al Cuore (il Centro Emozionale Superiore, secondo G.I. Gurdjieff). La mente è l'organo attraverso cui percepisce la macchina, mentre il Cuore è l'organo del « corpo di gloria » attraverso cui percepisce l'anima. Per fare ciò sfruttiamo il ricordo di sé e le preziose materie prime a nostra disposizione: le emozioni negative della macchina. Rabbia, invidia, gelosia, senso di sconforto, senso di inadeguatezza, paura, ansia, stress... sono il materiale su cui possiamo lavorare per fabbricare i nuovi corpi. In ciò sta il senso di tutta l'Alchimia. Ma per poterlo fare dobbiamo ricordarci di noi.

Prima fase. A questo stadio non è ancora possibile lavorare all'interno dell'emozione negativa, perché di norma è troppo difficile ricordarsi di sé nel bel mezzo di un'arrabbiatura o di una fase depressiva. Lo scopo è lavorare non appena ci si ricorda di farlo, non appena ci si disidentifica un pò dalla situazione di sofferenza, il che può avvenire a qualche minuto o a qualche ora dall'apice dell'emozione negativa; meglio se avviene quando la macchina sta ancora fremendo a causa della frustrazione, dello stress o della rabbia da poco provate.
Appena ci si ricorda, ci si deve sforzare con tutta la Volontà di sostituire l'immaginazione negativa e l'emozione negativa - che viaggiano sempre in coppia - con pensieri che rappresentano una nuova visione di quanto sta accadendo. Le azioni da compiere sono queste:
a) -- ricordarsi di sé, ossia ricordarsi di essere « presenti » qui-e-ora;
b) -- cercare di non farsi coinvolgere nei pensieri sfrenati della mente (immaginazione negativa), collegati all'emozione negativa che stiamo provando. Disidentificarsi dai pensieri significa guardarli come se fossimo spettatori esterni dell'attività frenetica di una macchina di cui noi siamo solo ospiti;
c) -- assumere un nuovo atteggiamento mentale. Adesso spieghiamo come.

Tutte le volte che non siamo in uno stato di Gioia, che non siamo innamorati del mondo e soffriamo per una qualche ragione, il motivo è che non riusciamo a vedere quanto sta accadendo intorno a noi. Lamentiamoci, arrabbiamoci, deprimiamoci, proviamo la nostra paura o lo sconforto, gridiamo il nostro fastidio, facciamo insomma tutto quanto siamo soliti fare, ma una volta tornati in noi, anche se accade dopo qualche ora, ci sediamo e pensiamo: "Quello che mi è successo - la mia sofferenza - non è dovuto a qualcosa che non va bene nel mondo esterno, ma al fatto che io non riesco ancora a vedere il mondo come veramente è" e poi affermiamo con forza: "Ne ho abbastanza di questa allucinazione, IO VOGLIO VEDERE IL MONDO COME VERAMENTE È".
Ribadiamo per maggiore chiarezza: non appena ce ne ricordiamo, il prima possibile, ci fermiamo un attimo e assumiamo un atteggiamento che lentamente cambierà la nostra vita: "Se non sono nella Gioia è perché sto vedendo brutto, sbagliato, qualcosa che invece è bello" "VOGLIO VEDERE QUESTA BELLEZZA". Se abbiamo la forza di volontà di pensare queste cose, anche se non siamo ancora del tutto convinti della loro veridicità, anche se siamo ancora scettici, stiamo comunque operando una radicale trasformazione in noi.

Quando abbiamo un motivo di preoccupazione, un'angoscia, un'ansia, un fastidio, quello è il momento per ricordarsi che non stiamo percependo la realtà autentica. È ovvio che non possiamo esserne certi; all'inizio sarà solo una frase priva di senso, potrà apparirci come un'affermazione moralistica che stride con quanto noi abbiamo di fronte in quel momento - e che ci appare del tutto sbagliato e ingiusto - ma non importa, ciò che importa è che ogni volta
a) -- ci ricordiamo di noi;
b) -- non ci identifichiamo con i pensieri della nostra macchina;
c) -- ci ripetiamo che la sofferenza deriva da una nostra visione falsata della realtà.

Dobbiamo almeno darci la possibilità remota che possa essere così; la possibilità che, forse, quando vediamo l'errore in noi o fuori di noi non stiamo guardando correttamente: gli altri non ci stanno facendo del male e non ce l'hanno con noi. È sufficiente darsi la possibilità, lasciare uno spiraglio aperto e non lasciarsi sopraffare interamente dal 'senso dello sbagliato e dell'ingiusto'. Questo atteggiamento si chiama FEDE.
All'inizio sembra non accadere niente: noi ci arrabbiamo, poi più tardi ci ricordiamo che "l'altro è perfetto ma io non riesco a vederlo", ma nonostante questo la volta successiva ci infuriamo con lui esattamente come prima, e continuiamo a vedere l'esistenza piena di ingiustizie esattamente come prima.
Infuriarsi, angosciarsi o provare ansia è giusto; in questa prima fase non dobbiamo smettere, né rammaricarci perché non riusciamo a smettere. Il lavoro consiste proprio nell'assumere appena ci è possibile il giusto atteggiamento mentale, non nello smettere di essere infuriati. Smettere di provare l'emozione negativa in questa fase non è utile, è invece utile diventare presenti, osservare bene cosa ci accade e ricordare di mutare il nostro modo di rapportarci agli eventi. È un lavoro molto sottile, dove non ci si pongono obbiettivi, ma qualcosa accade... lentamente e in silenzio.

Una volta che abbiamo analizzato in maniera razionale l'evento che ci è accaduto (un incidente stradale, l'abbandono da parte del partner, un'ingiustizia sul lavoro, ecc.) - abbiamo cioè ricavato gli elementi di utilità pratica e abbiamo pianificato il da farsi per il futuro - ogni immaginazione negativa riguardante quell'evento va sistematicamente contrastata, perché non è utile a comprendere meglio l'accaduto ed è dannosa in quanto causa di ulteriori emozioni negative. L'esperienza insegna che rimuginare per ore o giorni su quanto successo riproduce all'infinito lo stato d'animo negativo provato in precedenza e ne aggiunge di nuovi (senso di colpa, desiderio di vendetta, sconforto, ecc. ). Ricordiamo che il senso di colpa che si prova dopo un'emozione negativa è altrettanto dannoso che l'emozione stessa, quindi anch'esso va immediatamente contrastato.

Lavorare nei momenti che seguono la fase acuta di un'emozione negativa significa innanzitutto comprendere appieno l'origine e la dannosità di tale fenomeno per noi e per gli altri. In quei momenti è molto utile ricordarsi che: "La mia mente sta dando un'interpretazione scontata e fasulla di quello che è realmente successo, ed è questa interpretazione a farmi stare male, non ciò che è successo" "La mia mente non è sotto il mio controllo e oltre a farmi stare inutilmente male per delle ore, sta riempiendo di escrementi l'atmosfera terrestre" "Se voglio compiere un'opera di trasformazione su me stesso devo imparare a vedere la realtà con il Cuore, perché fino a quando è la macchina a decidere cosa devo vedere, io sarò un suo schiavo" "VOGLIO VEDERE LA REALTA'".

Il modo migliore per sbarazzarsi dell'immaginazione negativa è pensare di buttarla via lontano da noi come se avessimo sorpreso un pipistrello che ci succhia il sangue dal collo e lo strappassimo via con violenza. Perché questo è quello che si sta verificando nella realtà! Poi è importante tenere la mente occupata in altre attività: leggere, andare al cinema, guardare la televisione, fantasticare... tutto è meglio che riprodurre uno stato d'animo di rabbia, ansia, paura o senso di colpa.
Compiendo questo sforzo contro la meccanicità dell'immaginazione negativa stiamo lavorando a livello alchemico; il Fuoco sta compiendo la sua opera. La nostra volontà di percepire il mondo in maniera differente sviluppa attrito contro la volontà dei corpi di continuare a pensare come hanno sempre fatto: questo attrito è un Fuoco che agisce sulle sostanze presenti nella macchina biologica per creare delle nuove sostanze che vanno a costituire il corpo dell'anima.
Ovviamente i nostri primi tentativi di pensare in maniera diversa all'evento che ci è accaduto andranno continuamente a vuoto; sarà un continuo passare da pensieri come "Io voglio vedere la realtà, se la vedessi non starei male" a pensieri come "Sono maledettamente sfortunato, la vita è proprio uno schifo, le disgrazie capitano tutte a me, è inutile che mi prenda in giro con tutte queste filosofie consolatorie, se avessi fra le mani quel farabutto gli darei io una lezione". Questa alternanza non è qualcosa di negativo, è giusto che sia così; ricordiamo infatti ancora una volta che è lo sforzo ad alimentare il Fuoco, non il risultato. Non dobbiamo cadere nella trappola di pensare al lavoro su di sé inquadrandolo nei nostri vecchi schemi di pensiero, come se ci stessimo occupando dell'amministrazione di un'azienda o di un campionato di calcio. Qui non è un particolare risultato a produrre gli effetti migliori.

Ipotizzare che stiamo trascorrendo la nostra vita tra fastidi, preoccupazioni e angosce solo perché non siamo capaci di vedere il mondo autentico sembra assurdo, e ci appare tanto più assurdo quanto più siamo presi nell'allucinazione e non riusciamo a concepire un'esistenza fuori dallo stato di allucinazione. In effetti il lavoro su di sé è assurdo, è forse ciò che di più assurdo può essere concepito: esso dice che il mondo è splendido in ogni suo aspetto, e che per vederlo dobbiamo cambiare l'organo con cui lo guardiamo. Esiste qualcosa di più folle di una simile considerazione?

È forse bene rammentare che il lavoro su di sé non costituisce per l'uomo un'attività naturale, ma un'accelerazione forzata. Noi stiamo accelerando l'evoluzione, siamo i pionieri del nuovo paradigma, violiamo un numero consistente di leggi terrestri a cui sottostà la macchina biologica: le leggi legate alla sopravvivenza. Gli atomi della macchina si ribellano a questo lavoro, perché vengono costretti a fare qualcosa di completamente innaturale per loro; non provare paura e sospetto è un comportamento innaturale per il nostro apparato psicofisico.
Quando ci si sforza di sentire che il mondo è Bello tutta la macchina resiste, si rifiuta, si difende, perché pensare una cosa del genere per lei è pericoloso, va contro la sua sopravvivenza. Il nostro apparato psicofisico sa che morirà, quindi è costruito in modo da diffidare di tutto e di tutti, è programmato per reagire con la paura e con l'aggressività; se questi meccanismi non avessero funzionato alla perfezione fino ad oggi, non saremmo sopravvissuti per milioni di anni su un pianeta del genere.
Adesso, compiendo un'azione INNATURALE per la nostra macchina, una parte di noi vuole imporre un nuovo modo di pensare fondato sull'amore, sulla collaborazione, sull'altruismo. Un parte della coscienza vuole convincere l'altra parte che il mondo non è una fonte di pericolo da cui difendersi, ma una fonte di Bellezza, e che gli altri, qualunque cosa facciano, non sono pericolosi, ma belli. Nel fare questo l'uomo sviluppa un NUOVO CORPO e NUOVI ORGANI DI SENSO che partono dal Cuore... e sfonda la porta della dimensione spirituale, la quarta dimensione.

Fonte:OfficinaAlkemica

Riepilogo...


Eccoci finalmente a fare un RIEPILOGO dei punti fondamentali del percorso che abbiamo iniziato il 15 Settembre.Bisogna prendere molta confidenza con questo se vogliamo fare "un salto di qualità" verso la cosidetta "rinascita".Nei prossimi mesi ci saranno molte novità per il blog che sta crescendo sempre di più grazie a voi e all'obbiettivo che ci unisce che permette a questo sito di "esistere".
Ho diviso le "tappe" in Teoriche e Pratiche per dare un facile orientamento:

Teoria:
1)Introduzione al ricordo di se
2)Intenzioni e controintenzioni
3)Stati di coscienza
4)Cosa è la consapevolezza

Pratica:
1)La pratica del ricordo di se(Primo livello)
2)La pratica del ricordo di se(Secondo livello)
3)La pratica del ricordo di se(Terzo livello)
4)Il Sutra e la consapevolezza
5)Ascolto del corpo


In seguito farò un riepilogo anche degli articoli dei singoli collaboratori di Veritas.

Un abbraccio a tutti.

Fabio

Come risolvere i conflitti: una risata è la risposta

C'è un'antica tradizione in alcuni monasteri Zen del Giappone, secondo la quale se un monaco errante può vincere un dibattito sul Buddismo con uno dei monaci residenti, acquisisce il diritto di pernottare una notte, altrimenti deve proseguire il suo cammino.

Vi era uno di questi monasteri nel Nord del Giappone tenuto da due fratelli; il più anziano era molto istruito, e il più giovane era piuttosto stupido, in più orbo di un occhio.

Una sera un monaco errante capitò da quelle parti per chiedere ospitalità. Il fratello maggiore era molto stanco, poichè aveva passato tutto il giorno a studiare, perciò disse al più giovane che doveva essere lui ad affrontare il dibattito. "Abbi cura che il vostro dialogo avvenga in silenzio", lo ammonì.

Alcune ore dopo il viandante si presentò dal monaco più anziano dicendo: "Vostro fratello è proprio un tipo straordinario! Ha vinto il dibattito in modo assolutamente geniale, così ora devo andarmene, non mi è più possibile rimanere". "Prima di andarvene", disse il fratello più anziano, "vorreste essere così gentile da raccontarmi com'è andato il dibattito?".

"Beh", disse il viandante, "per prima cosa io ho sollevato un dito per simboleggiare il Buddha. Allora il vostro giovane fratello ha alzato due dita, che stavano a rappresentare il Buddha e il suo divino insegnamento. Così ho sollevato tre dita ad indicare il Buddha, il suo divino insegnamento e i suoi discepoli. A quel punto il vostro sagace fratello agitò il pugno chiuso davanti alla mia faccia, ad indicare che tutte queste tre cose provengono da un'unica realizzazione" E con queste parole il viandante partì.

Alcune ore più tardi il giovane monaco comparve davanti al fratello con aria afflitta. "Mi è parso di capire che hai vinto il dibattito", disse il fratello più anziano. "Non ho vinto niente", rispose, "quel viandante era proprio un villano". "Toh", esclamò l'altro, "raccontami come è andata..." "Sai che ha fatto", proseguì il giovane, "appena mi ha visto ha alzato un dito per insultarmi, per farmi notare che sono orbo di un occhio. Ma ho pensato che, poichè era un forestiero, era mio dovere comportarmi educatamente, così ho alzato due dita per congratularmi con lui che di occhi ne aveva due. A quel punto quello screanzato ha alzato re dita per farmi capire che in due avevamo solo tre occhi, così non ci ho visto più... sono diventato pazzo di rabbia e l'ho minacciato di spaccargli il muso con un pugno".

L'anziano fratello rise.

Fonte:Dadrim.org

Il Rapporto tra la Musica e il Divino


Fin dalla notte dei tempi, la musica è sempre stata associata al divino. Si è sempre pensato che la musica unisse l’uomo alle divinità e tuttora si ritiene che l’universo si sia creato tramite un suono magico: AUM, da cui tutto è nato.

Il suono stesso è ritenuto di origine sacra e la stessa musica è considerata qualcosa di potente e di enigmatico.

La musica, all’interno delle religioni, è presente nelle sue due forme: musica strumentale e musica vocale (canti) tuttavia non tutte le religioni hanno avuto lo stesso comportamento nei confronti della musica, soprattutto le religioni monoteiste (islam in particolare).

La principale fonte di suono nei rituali è costituita dalla musica strumentale.
L’esempio più calzante di musica strumentale trascendentale è presente nello sciamanesimo: lo sciamano entra in trance tramite il suono del tamburo che riesce ad eccitare la mente portando l’uomo verso altri stato di coscienza in cui comunica con gli spiriti guida.

Il tamburo è lo strumento sciamanico per antonomasia in quanto cagiona lo stato di trance. Tamburo = trance = sciamanesimo. Il tamburo è noto per il suo complesso simbolismo e per le sue virtù magiche. Secondo una credenza lo sciamano costruisce il tamburo tramite un ramo dell’Albero cosmico, che si trova al Centro del mondo, ove lo sciamano si reca durante i suoi sogni iniziatici. L’Albero cosmico rappresenta la comunicazione tra cielo e terra. Anche il tipo di legno con cui verrà costruita la cassa del tamburo dipende dagli spiriti o da una volontà trans-umana. E’ grazie al tamburo che lo sciamano viaggia, così come è grazie al tamburo che il tarantato guarisce.
M. Zucca (2004) riporta un frammento di Musica generale di Virdung (1511) il quale sostiene che i tamburi siano stati inventati dai diavoli. [1] Zucca ci dà molte testimonianze di come, a causa del sopravvento della Chiesa, i tamburi e le danze ebbero vita difficile e sparirono molti strumenti musicali, tra cui i tamburi che per via delle loro dimensioni non si potevano nascondere facilmente. Nonostante ciò molti canti e balli riuscirono a sopravvivere, ad esempio nei cimiteri si è ballato fino al ‘700. Nei cimiteri si ballava sovente nudi e con molte risate e salti, al fine di scacciare gli spiriti maligni. Per rafforzare il potere della magia contro la morte si usava ballare all’indietro ma vi sono anche altre due tipologie di danza: la danza estatica e la danza in cerchio (che può essere oraria o antioraria). La prima veniva utilizzata primariamente per entrare in comunicazione con il mondo dei morti e degli spiriti, la seconda rappresenta un momento particolare della ritualità della natura medievale ed è utilizzata principalmente a scopi magici, infatti la Chiesa ha perennemente cercato di combatterla. Parimenti, la cacofonia è stata associata a divinità malvagie (demoni).

Molti strumenti sono composti con sostanze animali o umane: il tamburo è fatto di pelle di capra, il flauto con ossa animali, la tromba con corna di ariete, le corde con intestini di animali. Esistono poi in Tibet due strumenti particolari che sono fatti con ossa umane: il tamburo thod rnga (creato con un teschio umano) e il khang glinh che si realizza con un femore umano.

Per quanto riguarda la musica vocale, invece, l’associazione parola/musica è stata usata fin dall’antichità per trasmettere i miti delle origini e per recitare testi sacri.
Le religioni monoteiste sono sempre state piuttosto sospettose verso la musica strumentale visto che permetteva di raggiungere, come nel caso dello sciamanesimo e dei sufi, di cui parlerò successivamente ,altri stati di coscienza. Così queste religioni hanno finito per accettare solo la musica vocale, intesa più che altro come cantillazione dei versi sacri, respingendo la musica strumentale in sé e per sé.
Ad ogni modo bisogna ammettere che una liturgia senza musica difficilmente attira i fedeli perciò alcune tracce di musica strumentale nelle religioni monoteiste vi sono ancora. La religione cattolica ad esempio fa uso tuttora di canti collettivi durante la Messa, accompagnati dal suono dell’organo e della chitarra. In ambito religioso va anche ricordato il ruolo che la musica ha avuto nel colonialismo: agli indios sono stati insegnati i canti cristiani per convertirli, talvolta adattando il significato delle parole al contesto religioso indio per accelerare il processo.
Bisogna comunque tener presente che la religione cattolica non è uguale dappertutto: ad esempio la chiesa romana preferisce il canto gregoriano mentre la chiesa latinoamericana, per attirare le masse, utilizza canzoni tradizionali accompagnate da strumenti musicali.
Diverso invece è il comportamento dell’islam, religione in cui il concetto di musica è inesistente.

“Non tutte le religioni attribuiscono alla musica un ruolo di primo piano,; alcune anzi la vivono assai problematicamente. L’islam è una di queste. Esso guarda alla musica e (ancor più) alla danza con sospetto addirittura maggiore di quello manifestato dal Cristianesimo (una massima attribuita al profeta Maometto recita infatti così “a coloro che ascoltano musica e canzoni in questo mondo, nel giorno del giudizio sarà versato piombo fuso nelle orecchie)”. [2]
Conseguentemente si decise di accettare solo la cantillazione del Corano, che fu permessa solo perché non considerata musica in senso stretto. La religione musulmana ha bandito la musica e il canto anche perché ritiene che la voce femminile sia eccitante, tuttavia in Indonesia sono le donne che cantillano il Corano.
L’unica confraternita musulmana che accetta la musica (pur non avendo un repertorio ufficiale) è il sufismo.

Le cerimonie sufi sono composte di preghiera, danza e musica; quest’ultima si realizza con il flauto ad imboccatura semplice, chiamato flauto ney. I danzatori sono detti dervisci e danzano roteando in modo circolare (a ricordare il movimento celeste) e con un braccio rivolte verso il cielo ed un altro rivolto verso la terra. I sufi si collegano con Dio attraverso la trance, per loro la trance (wajd) è un mezzo di comunicazione con il divino, è un modo di pregare.
Un noto esempio di musica sufi è il qawwali (termine che significa ‘cantante’) del Pakistan. Durante il qawwali si intonano musicalmente poesie d’amore (amore inteso come relazione con Dio) in occasione del sama (ascolto). I canti sono eseguiti da un gruppo di solisti uomini e da un coro di cantanti che batte le mani. Il solista leader sceglie le canzoni e stimola la risposta finché gli ascoltatori cadono in trance.

La cantillazione è un atto di meditazione vero e proprio e la ritroviamo, oltre che nell’islam, anche nel buddismo.
Nel buddismo si cantillano frasi del Buddha, commenti a queste frasi, dediche, mantra ed inni di lode.
Il buddismo accetta l’uso di strumenti musicali (come campane, tamburi, gong, cembali) ma essi vengono usati per lo più per scandire il tempo all’interno dello spazio sacro. Anche nel buddismo la musica puramente strumentale è rara mentre nelle festività si fonde la musica sacra con elementi di musica popolare ed aristocratica, oltre che con teatro, danza e processioni.

Leonella Cardarelli leonellacardarelli@virgilio.it

Fonte:Unknown.it