Cosa fareste se voleste dare alla fiaba di cappuccetto rosso l’aspetto di un racconto veridico? Probabilmente omettereste il lupo parlante, e l’episodio in cui la nonna e la bambina vengono tratte indenni dal ventre dell’animale ucciso…
È un po’ quello che è successo ad Eva (la donna considerata progenitrice del genere umano dalle religioni abramitiche), la quale si è vista negare un ruolo di tutto rilievo nel racconto della Natività di Gesù, per evidente inverosimiglianza della sua presenza nella Palestina del primo secolo!
Oggi, tuttavia, é venuta a mancare l’esigenza di mondare la narrazione del Natale dagli elementi di chiara matrice mitologica, poiché è cosa risaputa che il Natale di Gesù non è che la riproposizione in chiave ebraico-cristiana di miti e misteri divini di origine più antica. Quando preparate il vostro presepe, non fate che rievocare, seppure chiamandoli con nomi nuovi, i simboli del Natale di Mitra, Horus, Dioniso, Krishna e altri Messia e Dei incarnati precristiani.
Consapevoli della natura leggendaria (ma sarebbe meglio dire simbolico-allegorica) degli elementi che costituiscono il racconto della Natività, possiamo quindi, oggi, reintegrare i suddetti elementi esclusi, per conoscere in modo più completo e ricco il patrimonio letterario, immaginifico ed ermetico dei Vangeli, incorporandolo a quelle informazioni che in antico sono state bollate come “apocrife” e perciò dimenticate dai più.
È un po’ quello che è successo ad Eva (la donna considerata progenitrice del genere umano dalle religioni abramitiche), la quale si è vista negare un ruolo di tutto rilievo nel racconto della Natività di Gesù, per evidente inverosimiglianza della sua presenza nella Palestina del primo secolo!
Oggi, tuttavia, é venuta a mancare l’esigenza di mondare la narrazione del Natale dagli elementi di chiara matrice mitologica, poiché è cosa risaputa che il Natale di Gesù non è che la riproposizione in chiave ebraico-cristiana di miti e misteri divini di origine più antica. Quando preparate il vostro presepe, non fate che rievocare, seppure chiamandoli con nomi nuovi, i simboli del Natale di Mitra, Horus, Dioniso, Krishna e altri Messia e Dei incarnati precristiani.
Consapevoli della natura leggendaria (ma sarebbe meglio dire simbolico-allegorica) degli elementi che costituiscono il racconto della Natività, possiamo quindi, oggi, reintegrare i suddetti elementi esclusi, per conoscere in modo più completo e ricco il patrimonio letterario, immaginifico ed ermetico dei Vangeli, incorporandolo a quelle informazioni che in antico sono state bollate come “apocrife” e perciò dimenticate dai più.
Una di queste, come dicevamo, riguarda l’anacronistica presenza di Eva alla grotta di Betlemme. Ecco come ci viene presentato l’episodio dal “Vangelo dell’infanzia armeno”: Giuseppe torna alla grotta dove si trova Maria dopo essersi allontanato per cercare una levatrice. Sul sentiero, incontra una donna discesa da una montagna, e con essa prosegue il cammino. «Quando si furono avviati, Giuseppe, mentre camminavano, le domandò: “Donna, dimmi il tuo nome”. “Perché vuoi sapere il mio nome?”, disse la donna. “Io sono Eva, la prima madre di tutti gli uomini, e sono venuta a vedere con i miei occhi come si è operata la mia redenzione”. All’udir queste parole, Giuseppe si meravigliò dei prodigi a cui stava assistendo» (VIII,10). I due giungono alla grotta, e la vedono illuminata da una luce che scende dai cieli, mentre dei canti angelici si diffondono nell’aria. «Quando Giuseppe e la nostra prima madre giunsero là, si prosternarono col viso a terra, ringraziarono Dio ad alta voce e glorificandolo con queste parole: “Benedetto sia tu, o Signore, Dio dei nostri padri, Dio d’Israele, che oggi con questo avvenimento hai operato la redenzione dell’umanità e mi hai riabilitata, sollevandomi dalla mia caduta, e mi hai reintegrata nella mia antica dignità! Ora il mio animo si sente fiero ed esulta nella speranza di Dio salvatore”.
Appena ebbe così parlato, Eva, la nostra prima madre, vide che una nube, levandosi dalla grotta, saliva verso il cielo, mentre, d’altra parte, una luce scintillante si era posata davanti alla mangiatoia del bestiame. E il bambino si levò per prendere il seno della madre, si saziò di latte, poi ritornò al suo posto e si mise a sedere. Vedendo ciò, Giuseppe e la nostra prima madre Eva resero gloria a Dio, ringraziandolo, e ammirarono, pieni di stupore, i prodigi che stavano avvenendo. “In verità”, essi dissero, “chi ha mai udito da qualcuno o visto con i propri occhi una cosa simile a quella che sta ora avvenendo?”. La nostra prima madre entrò quindi nella grotta, prese tra le braccia il bambino e cominciò ad accarezzarlo e ad abbracciarlo con tenerezza, benedicendo Dio, perché il bambino era straordinariamente bello a vedersi, con un volto splendente e radioso. Poi lo avvolse nelle fasce, lo depose nella mangiatoria dei buoi, ed uscì dalla grotta» (IX,1-3).
Alla presenza di Eva nel racconto del Natale, la tradizione cristiana attribuisce carattere fantasioso, volto a dimostrare il principio della recircolazione (proposto da S. Ireneo, secondo cui il piano della
salvezza ripete con finalità opposta il piano della rovina: Adamo ed Eva, disobbedienti, sono salvati
da Gesù Cristo e da Maria nuova Eva, obbedienti), sostenuto dalla patristica del IV e V secolo, e che si basava sul parallelismo fra Eva e Maria, proposto già nel II secolo da Giustino: «Eva, dando ascolto alle parole del serpente, generò disubbidienza e morte; Maria, dando ascolto alle parole dell’angelo, generò colui per mezzo del quale Dio sconfigge il serpente e libera da morte quelli che fanno penitenza dei loro peccati». Maria venne infatti definita “seconda Eva”, con funzione inversa, però, a quella della “prima Eva”, come Gesù, nella speculazione paolina viene considerato il “secondo Adamo” con funzione inversa a quella del primo (cfr. “Cristianesimo, I Vangeli Apocrifi”, a cura di Marcello Craveri).
Appena ebbe così parlato, Eva, la nostra prima madre, vide che una nube, levandosi dalla grotta, saliva verso il cielo, mentre, d’altra parte, una luce scintillante si era posata davanti alla mangiatoia del bestiame. E il bambino si levò per prendere il seno della madre, si saziò di latte, poi ritornò al suo posto e si mise a sedere. Vedendo ciò, Giuseppe e la nostra prima madre Eva resero gloria a Dio, ringraziandolo, e ammirarono, pieni di stupore, i prodigi che stavano avvenendo. “In verità”, essi dissero, “chi ha mai udito da qualcuno o visto con i propri occhi una cosa simile a quella che sta ora avvenendo?”. La nostra prima madre entrò quindi nella grotta, prese tra le braccia il bambino e cominciò ad accarezzarlo e ad abbracciarlo con tenerezza, benedicendo Dio, perché il bambino era straordinariamente bello a vedersi, con un volto splendente e radioso. Poi lo avvolse nelle fasce, lo depose nella mangiatoria dei buoi, ed uscì dalla grotta» (IX,1-3).
Alla presenza di Eva nel racconto del Natale, la tradizione cristiana attribuisce carattere fantasioso, volto a dimostrare il principio della recircolazione (proposto da S. Ireneo, secondo cui il piano della
salvezza ripete con finalità opposta il piano della rovina: Adamo ed Eva, disobbedienti, sono salvati
da Gesù Cristo e da Maria nuova Eva, obbedienti), sostenuto dalla patristica del IV e V secolo, e che si basava sul parallelismo fra Eva e Maria, proposto già nel II secolo da Giustino: «Eva, dando ascolto alle parole del serpente, generò disubbidienza e morte; Maria, dando ascolto alle parole dell’angelo, generò colui per mezzo del quale Dio sconfigge il serpente e libera da morte quelli che fanno penitenza dei loro peccati». Maria venne infatti definita “seconda Eva”, con funzione inversa, però, a quella della “prima Eva”, come Gesù, nella speculazione paolina viene considerato il “secondo Adamo” con funzione inversa a quella del primo (cfr. “Cristianesimo, I Vangeli Apocrifi”, a cura di Marcello Craveri).
In realtà ho motivo di credere che il ruolo simbolico di Eva vada ben oltre quanto affermato, e si riallacci a simbologie di più profonda portata. Un rapporto simile a quello che possiamo ravvisare fra Eva e Maria, lo si ha ad esempio in Grecia, con le figure di Pandora e Danae.
Pandora è la prima donna creata dagli Dei olimpici: «così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di Crono. E subito l'inclito Ambidestro, per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a una vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e l'adornò; e le Grazie divine e Persuasione veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma, l'incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni genere. Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l'araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l'avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi. Poi, quando compì l'arduo inganno, senza rimedio, il Padre mandò a Epimeteo l'inclito Argifonte portatore del dono, veloce araldo degli dèi; né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandarlo indietro, perché non divenisse un male per i mortali. Lo accolse e possedeva il male, pria di riconoscerlo. Prima infatti le stirpi degli uomini abitavano la terra del tutto al riparo dal dolore, lontano dalla dura fatica, lontano dalle crudeli malattie che recano all'uomo la morte; (rapidamente nel dolore gli uomini avvizziscono.) Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio dell'orcio e tutto disperse, procurando agli uomini sciagure luttuose. Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile, dentro, al di sotto del bordo dell'orcio, né se ne volò fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara, per volere dell'egioco Zeus, adunatore dei nembi. E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini» (Esiodo, “Le opere e i giorni”).
Inutile sottolineare la comune origine archetipica della storia di Eva e Pandora (cfr. Sebastiano B. Brocchi, “Riflessioni sulla Grande Opera”, pag.81); mentre per la figura di Maria, come ho detto, viene generalmente proposto il parallelo con Danae, figlia di Acrisio e Aganippe, alla quale «era stato predetto che il figlio da lei partorito avrebbe ucciso Acrisio; allora il padre, temendo che la profezia si avverasse, la rinchiuse in una prigione dai muri di pietra. Ma Giove, mutatosi in una pioggia d’oro, giacque con Danae; da quell’amplesso nacque Perseo» (Publio Ovidio Nasone, “Le metamorfosi”). Danae è in realtà soltanto una delle molte figure femminili che, nella mitologia ellenica, divengono madri dei figli di Zeus… troviamo ad esempio Semele, Alcmena e Leda, madri rispettivamente di Dioniso, Eracle e i dioscuri Castore e Polluce.
Il fatto che io abbia citato esempi nati dalla civiltà egea, comunque, e tengo a sottolinearlo, non implica affatto che questi archetipi non siano patrimonio comune di tutti gli antichi popoli…
Questa “prima madre” (lascio agli ermeneuti più attenti il piacere di scoprire ed analizzare le importanti affinità fonetiche e concettuali della “prima mater” con la “prima materia” di alchemica memoria…) non è donna nel senso umano del termine, bensì metafisico. Il desiderio o meglio il bisogno, di un più profondo livello di lettura ci induce infatti a valicare l’interpretazione diretta e “visiva” di quanto letto, cercandovi le radici invisibili, esoteriche, che inevitabilmente vi soggiacciono. Eravamo dunque alla prima madre, alla Eva o Pandora che dir si voglia, “donna” nel senso di Anima, se al termine “donna” e al genere “femminile” attribuiamo, in accordo con la tradizione, i caratteri di sensibilità, impressionabilità, passività, ricettività e sentimentalità che, appunto, caratterizzano il piano eterico dell’essere umano. Consideriamo naturalmente che, se all’aspetto femminile della genesi viene attribuito il significato di Anima, all’aspetto maschile (Adamo) dovremo riconoscere il significato di Spirito o Intelletto, il quale non potrebbe conoscere nulla senza Coscienza o Consapevolezza (il frutto di Eva, il vaso di Pandora) e che al contrario, dunque, possedendola, si ritroverà a poter conoscere ogni aspetto del reale, ovvero quella straordinaria totalità dell’universo manifesto che, riducendoci al dualismo della mentalità profana, dovremmo definire “conoscenza del Bene e del Male”; mentre un Iniziato, un Mistico, la definirebbe “En to Pan”, “L’Uno, il Tutto”.
Abbiamo però qui fatto un po’ di confusione fra Coscienza e Consapevolezza, che io definirei “la prima e la seconda Eva”, poiché se la prima è tratta a Dio dall’uomo, quasi un atto di sfida della natura stessa che sembra dare alla creatura ciò che sarebbe appannaggio del Creatore; la seconda è un dono che solo Dio può dare alla mente dell’uomo, dando alla Coscienza la sua ragion d’essere, la sua “redenzione” (per usare il termine biblico), il suo compimento.
Senza Coscienza l’essere è confuso nell’Uno divino, in assenza di spazio-tempo, Unità primordiale che potremmo anche chiamare Eden per restare entro i paletti della metafora intrapresa. Nel momento stesso che questo “frutto” viene colto, avviene la scissione fra Dio e l’Uomo, questo “peccato originale” che annulla il paradiso dell’unione facendo piombare l’essere umano nella dimensione evolutiva, nello spazio-tempo, e nella divisione fra Io e Dio.
Maria, la seconda Eva, simbolizza perciò il mezzo attraverso il quale, nel corso del cammino personale di ogni Adamo, Dio dà a questo altro sé stesso che vaga nel mondo ignorando la sua vera natura, la scintilla per comprendere le proprie origini, il proprio potenziale. Questa scintilla accesa nel buio che potremmo chiamare Consapevolezza, o “Gesù bambino” nato nella grotta…
Il fatto che io abbia citato esempi nati dalla civiltà egea, comunque, e tengo a sottolinearlo, non implica affatto che questi archetipi non siano patrimonio comune di tutti gli antichi popoli…
Questa “prima madre” (lascio agli ermeneuti più attenti il piacere di scoprire ed analizzare le importanti affinità fonetiche e concettuali della “prima mater” con la “prima materia” di alchemica memoria…) non è donna nel senso umano del termine, bensì metafisico. Il desiderio o meglio il bisogno, di un più profondo livello di lettura ci induce infatti a valicare l’interpretazione diretta e “visiva” di quanto letto, cercandovi le radici invisibili, esoteriche, che inevitabilmente vi soggiacciono. Eravamo dunque alla prima madre, alla Eva o Pandora che dir si voglia, “donna” nel senso di Anima, se al termine “donna” e al genere “femminile” attribuiamo, in accordo con la tradizione, i caratteri di sensibilità, impressionabilità, passività, ricettività e sentimentalità che, appunto, caratterizzano il piano eterico dell’essere umano. Consideriamo naturalmente che, se all’aspetto femminile della genesi viene attribuito il significato di Anima, all’aspetto maschile (Adamo) dovremo riconoscere il significato di Spirito o Intelletto, il quale non potrebbe conoscere nulla senza Coscienza o Consapevolezza (il frutto di Eva, il vaso di Pandora) e che al contrario, dunque, possedendola, si ritroverà a poter conoscere ogni aspetto del reale, ovvero quella straordinaria totalità dell’universo manifesto che, riducendoci al dualismo della mentalità profana, dovremmo definire “conoscenza del Bene e del Male”; mentre un Iniziato, un Mistico, la definirebbe “En to Pan”, “L’Uno, il Tutto”.
Abbiamo però qui fatto un po’ di confusione fra Coscienza e Consapevolezza, che io definirei “la prima e la seconda Eva”, poiché se la prima è tratta a Dio dall’uomo, quasi un atto di sfida della natura stessa che sembra dare alla creatura ciò che sarebbe appannaggio del Creatore; la seconda è un dono che solo Dio può dare alla mente dell’uomo, dando alla Coscienza la sua ragion d’essere, la sua “redenzione” (per usare il termine biblico), il suo compimento.
Senza Coscienza l’essere è confuso nell’Uno divino, in assenza di spazio-tempo, Unità primordiale che potremmo anche chiamare Eden per restare entro i paletti della metafora intrapresa. Nel momento stesso che questo “frutto” viene colto, avviene la scissione fra Dio e l’Uomo, questo “peccato originale” che annulla il paradiso dell’unione facendo piombare l’essere umano nella dimensione evolutiva, nello spazio-tempo, e nella divisione fra Io e Dio.
Maria, la seconda Eva, simbolizza perciò il mezzo attraverso il quale, nel corso del cammino personale di ogni Adamo, Dio dà a questo altro sé stesso che vaga nel mondo ignorando la sua vera natura, la scintilla per comprendere le proprie origini, il proprio potenziale. Questa scintilla accesa nel buio che potremmo chiamare Consapevolezza, o “Gesù bambino” nato nella grotta…
1 commento:
Grazie! Quante riflessioni posoo scaturire da un brano come questo. Si può parlare anche di ragione inferiore e ragione superiore: il merito della regione superiore è quello di includere la carità, l'amore e il senso di appartenenza. è un ritorno all'uno consapevole, in cui l'individuo sa di fare parte di un tutt'uno, ma ne è al contempo staccato. L'uno, dando forma al molteplice, fa un cammnino di coscienza e conoscenza, che lo arricchisce. Ma come il figlio il prodigo occorre, prima o poi, tornare a casa.
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