La rivoluzione della rana zen

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Un bel giorno – che modo d'iniziare un racconto, non potevi sceglier di meglio? – la nostra cara amica rana zen fu assalita da ricordi così nostalgici che decise di rispolverare gli antichi ideali di gioventù e dare un taglio netto all'alienante routine quotidiana.

"Cos'è che sognavo?", si chiese. Un mondo più giusto, più equo. Una società meno egoista, compassionevole, che offrisse svariate opportunità, ma soprattutto un lavoro e una casa a chiunque ne avesse davvero bisogno, a chi volesse creare una nuova famiglia ...", ribadì.

"Ingenua, chi è che dovrebbe finanziare tutto questo? Oggi vige il mercato. Non puoi contravvenirne le leggi senza chiamarti fuori dal contesto civile.", le bisbigliò la voce della coscienza.

Già, il mercato, la coscienza, ciò che è giusto, pertinente, appropriato. Quindi l'educazione, la scuola primaria, secondaria e così via. I corsi, i su-per-corsi, gli stages, gli stagni, la cura del corpo, quella dell'anima, fino al benessere olistico. Civiltà? L'affresco istantaneo di un mondo poliedrico, irrimediabilmente compromesso.

"Tutto da rigettare?", interloquì il maestro che, appena giunto, sembrava avesse già intuito i pensieri più riposti dell'assorta discepola.

La prassi di questi racconti richiederebbe che adesso il maestro per eccellenza desse il suo parere, offrisse una soluzione, una via di fuga. Ma queste sono storie zen in cui l'insegnante tenta solo di svegliarti, di aiutarti a superare quegli stessi schemi concettuali che ti hanno irretito e condotto sin qui. Quindi l'autorevole saggio ...

No, non bacchettò la discepola, non andò via e nemmeno rise. Non rimase in silenzio, né pronunciò sermoni, discorsi ... Si mise a piangere e abbracciò la rana zen pressoché disperato, dispiaciuto, amareggiato. Ma, così facendo le indicò ugualmente la via.

Divagazioni

Consentitemi una breve digressione. La via che indicò implicitamente il maestro è quella del cuore. Anche se si rendeva conto che i nuclei di corruttele degli attuali regimi democratici sono annidati soprattutto nel partitismo – vedi, ad esempio, l'efferata prassi del mercimonio clientelare (vale a dire: sistema delle raccomandazioni) che tra l'altro ha promosso ai posti di potere professionalità, nel migliore dei casi, del tutto inadeguate – non disse nulla. E che doveva dire, ...? Semmai combatti l'egoismo, diffondi la consapevolezza che siamo connessi con ogni cosa, noi siamo l'un l'altro. Comincia con l'aiutare te stesso e quindi tutti coloro che riusciranno a comprenderti o seguirti. Lo Stato non dev'essere governato da quel ricettacolo di ... omissis, immaginate il peggio, grazie ... che sono i partiti – consorterie che in realtà rappresentano anzitutto le istanze più squallide di caste, lobby e conventicole varie – bensì dai cittadini, per un tempo limitato e come servizio civile. La politica non deve avvalersi d'intermediari. Fare politica è giusto, ma senza quelle sovrastrutture autoreferenziali che si chiamano "partiti". Quindi, politica si, ma senza l'intermediazione di nuclei parassitari. L'obbiettivo da perseguire è la democrazia reale – di cui peraltro esistono già limpidi esempi – rispetto a cui, quella attuale, è solo una goffa parodia.
- Maestro, la realtà è molto dura, durante le rivoluzioni è stato versato sempre del sangue.
- In molti offriranno il loro obolo d'ira, figliola. Tu, invece, elargisci la concentrazione. Individua un obbiettivo impersonale, molto nobile, ma circoscritto e realizzalo con l'ausilio della meditazione collettiva.

Fonte : http://www.meditare.it/racconti/la-rivoluzione-della-rana-zen.htm

IL DIALOGO TRA YAJNAVALKYA E MAITREYI

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Yajnavalkya aveva due mogli, Maitreyi e Katyayani. Di esse Maitreyi possedeva la scienza dell'Assoluto, Katyayani invece era paga di quel che le donne son solite conoscere. Ed ecco un giorno Yajnavalkyi, che stava per abbracciare un nuovo stadio di vita, così parlò:
Brhadaranyakopanisad V 2. 1

- "O Maitreyi", disse Yajnavalkya - "io sono in procinto di abbandonare questo stadio di vita. Voglio dunque definire la tua posizione insieme a quella di Katyayani."
Disse allora Maitreyi: "O signore, se pure mi toccasse in sorte l'intera terra ricolma di ricchezze, forse grazie a ciò potrei divenire immortale?".
- "No", rispose Yajnavalkya ", la tua vita scorrerà simile a quella di coloro che sono dotati di mezzi, ma dalla ricchezza non si può sperare di trarre l'immortalità".
Disse allora Maitreyi: "Che me ne faccio di ciò che non mi fa raggiungere l'immortalità? Ma ti prego, dimmi, o Signore, quel che tu conosci".
Disse allora Yajnavalkya: "Care cose dici tu che mi sei così cara. Vieni e siedi, tutto quanto io ti dirò. Ma tu presta piena attenzione a quel che ti vado esponendo". E così prese a dire:" Non a causa dell'amore per lo sposo lo sposo è caro: è a causa dell'amore per il Sé che lo sposo è caro. Non a causa dell'amore per la moglie la moglie è cara: è a causa dell'amore per il Sé che la moglie è cara. Non ha causa dell'amore per i figli i figli sono cari: è a causa dell'amore per il Sé che i figli sono cari. Non a causa dell'amore per le ricchezze le ricchezze sono care: è a causa dell'amore per il Sé che le ricchezze
sono care. Non a causa dell'amore per la condizione di sacerdote specialista del sacro la condizione di sacerdote specialista del sacro è cara. Non a causa dell'amore per la condizione di guerriero la condizione di guerriero è cara: è a causa dell'amore per il Sé che la condizione di guerriero è cara. Non a causa dell'amore per i mondi i mondi sono cari: è a causa dell'amore per il Sé che i mondi sono cari. Non a causa dell'amore per gli dei gli dei sono cari: è a causa dell'amore per il Sé che gli dei sono cari. Non a causa dell'amore per gli esseri gli esseri sono cari: è a causa dell'amore per il Sé che gli esseri sono cari. Non a causa dell'amore per qualsivoglia oggetto qualsivoglia oggetto è caro: è a causa dell'amore per il Sé che qualsivoglia oggetto è caro. E` il Sé dunque che bisogna scrutare ed ascoltare, è al Sé che occorre pensare e meditare con attenzione. O Maitreyi: è solo guardando, ascoltando, considerando e conoscendo il Sé che si conosce tutto quest'universo".
Brhadaranyakopanisad II 4. 1 - 5


Perchè "L'ORO DI POLIA" vi conquisterà



È un avvincente giallo esoterico tutto ambientato in Italia. Non soltanto nell’Italia più conosciuta, quella delle città da cartolina, ma anche in alcuni tra i luoghi più enigmatici, suggestivi e poco noti della penisola. Così, seguendo il viaggio dei protagonisti, il lettore si troverà a passare da ville, monasteri, grotte, musei, piazze, monumenti, chiese e biblioteche, riscoprendo o, in certi casi, riscrivendo, intere pagine di storia.
È il giallo della ricerca di un tesoro. Un tesoro antico, inestimabile, rimasto sepolto da secoli. Un tesoro legato alla donna più conturbante del Rinascimento: Lucrezia Borgia.
La via che conduce al tesoro, è costellata di simboli misteriosi, messaggi in codice, e anagrammi da interpretare. Riuscire nell’impresa, richiederà concentrazione, arguzia, ma anche molta prudenza: per trovare gli indizi necessari, i ricercatori dovranno talvolta passare da vie non del tutto legali… Con la polizia alle calcagna, poi, il tempo incalza. Le decisioni devono essere prese rapidamente. Gli obiettivi, scelti con attenzione. Senza contare i possibili trabocchetti: una mossa falsa, un’interpretazione sbagliata, e la missione può fallire. Oppure costare la vita.
La chiave di tutto, sembra essere un libro. “Hypnerotomachia Poliphili”, significa “Combattimento d’amore in sogno di Polifilo”. È un celebre incunabolo stampato per la prima volta a Venezia nel 1499, attribuito ad un Francesco Colonna non meglio identificato (nobile romano secondo alcuni, frate domenicano secondo altri, o persino pseudonimo di un altro autore). Un libro scritto con in linguaggio composto da parole di diverse lingue (latino, italiano, greco, arabo…), arricchito da pregevoli xilografie, che parla del viaggio onirico di Polifilo in cerca della sua amata, la ninfa Polia.
Che rapporto aveva questo libro con Lucrezia Borgia?
Questo è solo uno dei tanti interrogativi che riguardano l’esoterismo dei Borgia. Ad esempio, perché papa Alessandro VI, padre di Lucrezia, fece affrescare nelle stanze vaticane la processione in onore del Dio toro Apis, e la storia di Iside e Osiride? A causa di quali strani rituali i Borgia vennero accusati di Satanismo da Burcardo, il cerimoniere vaticano?
Ma torniamo ai nostri giorni. A Ferrara viene assaltato un furgone portavalori che stava riportando un importante reperto storico alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Nella stessa città, poco tempo dopo, in un antico convento, una tomba viene profanata. Entrambi i casi sembrano collegati fra loro, ma qual è il vero movente? 

Osservare

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Uno dei possibili modi d'intendere il termine meditazione, sia in senso orientale che occidentale, è quello di riflessione quieta ed attenta. Una contemplazione che da semplice osservazione o ascolto iniziali di un determinato soggetto diventa rilievo silente.

La meditazione implica una mente silenziosa come nel sonno profondo, ma all'erta e consapevole come nel pensiero dello stato di veglia.

Osservare

Rilassati, distenditi, assumi una posizione consona. Seduto e non supino, spina dorsale dritta.

Osserva il respiro e astieniti dal pensare di proposito, cioè volutamente, ma non escludere nulla. Diventa un puro riflesso di tutto ciò che accade. Il flusso spontaneo e naturale del respiro sarà l'oggetto primario d'attenzione. Tuttavia non rifiutare subito il suo corollario, gli eventuali pensieri apparentemente autonomi che si avvicendano, in secondo piano, sullo sfondo della coscienza, conquistando, temporaneamente la tua attenzione, un background d'immagini, gioie o vicissitudini, idee gradevoli, moleste o indifferenti. Osserva direttamente, non elaborare o etichettare quanto vedi. Se qualcosa ti distrae prendine atto, ma poi ritorna al flusso naturale del respiro. Dimentica per un po' le conoscenze pregresse. Vivi l'istante, il frangente, per ciò che è.

Osserva consapevolmente il flusso e riflusso del respiro, nonché gli eventuali pensieri, come fossero le onde di un laghetto agitato. Contemplali, con il giusto distacco, come un osservatore che diventa, via via più lontano. I pensieri e il respiro sono le onde del lago. Quando tali increspature superficiali diventano più piatte e cominciano a placarsi, la tua interiorità si rinnova divenendo progressivamente più limpida. Cos'é tale stato di calma, donde proviene? Vivilo semplicemente in quanto ottima pausa di relax, riposo, momentaneo distacco dal tran tran della vita ordinaria. Con il tempo tale metodo ti condurrà ad esplorare le tue profondità esistenziali più intime, laddove sembra riprodursi una nuova sorgente di vivida energia ristoratrice.

In questa osservazione non v'è nulla da raggiungere, conquistare, afferrare, ricevere. Ciò che conta è l'atto in sé. In realtà non importa ciò che si osserva, il flusso del respiro, un simbolo religioso, la tremula fiamma di un innocente candela, il flebile bisbiglio di un molesto pensiero ricorrente, il tacito mormorio di un'emozione volubile. Non importa quel che si osserva. Perché colui che osserva e l'oggetto osservato appartengono alla medesima arcinota realtà. Ciò che conta è solo l'atto di osservare, l'unico gesto capace di dischiudere le porte alla verità del proprio presente.

Quindi, riepilogando: osserva, l'oggetto di osservazione potrebbe sfuggirti, il cicalio dei pensieri riprendere, ma tu rimani consapevole e rileva, riscontra, sorveglia, guarda attentamente il flusso del respiro, gli eventuali pensieri, senza sostituirli con l'immagine di un laghetto, ma divenendo vieppiù come un lago di calma e silenzio le cui acque superficiali si quietano sino a consentire d'intravederne profondità via via più recondite.

Se l'esercizio testé descritto è adatto o in sintonia con le tue propensioni individuali, avvertirai ben presto dei lievi benefici, un senso d'integrazione e tranquillità cui seguirà, inevitabilmente, una disposizione compassionevole verso tutti gli esseri viventi. In caso contrario sarà inutile insistere. Esistono tante altre possibilità.

Ma se il metodo funziona è probabile che percepirai un senso di freschezza e ristoro interiori. Proprio come se da te, dal tuo interno, sgorgasse una sorgente dalle chiare fresche e limpide acque vitali. Quella è la fonte d'ogni benessere. Essa non ha una collocazione specifica. In realtà non si può dire che sia "dentro" davvero, oppure provenga dall'esterno. Diciamo pare che sgorghi dal nulla, ma da un nulla tutto, vuoto e pieno, che si manifesterà quando la tue attitudini naturali saranno divenute calma e chiarezza.

I modi di esprimere nell'immediato il risultato di queste circostanze è individuale, cioè diverso per ciascuno. Taluni ne percepiranno gioia, tal'altri un vivace senso di libertà. C'è chi svilupperà la propria intuizione, chi diverrà creativo, o silente, o amorevole, o più probabile un insieme di tutte queste caratteristiche.

Oltre la sensazione di essersi rigenerato qualcheduno sentirà di aver ritrovato se stesso. E questo "se stesso" si risolverà, con il tempo, in una percezione esistenziale che comprende anche gli altri, il mondo intero, il cosmo. Infine subentrerà la compassione ...

Nel processo appena descritto non negheremo mai l'io che osserva, che è ciascuno di noi e senza di cui non potremmo, ovviamente, operare. L'io che osserva è genuino, autentico. E' la vita che osserva, per nostro tramite, il dispiegarsi degli eventi. Ci sono alcuni maestri che suggeriscono di esaminarlo direttamente ... altri sostengono che per conoscere se stessi sia meglio evitare l'auto-osservazione diretta. Invece se questo "io" si autoafferma come osservatore, senza identificarsi con alcun oggetto, non potrà che riconoscere, con il tempo, la sua vera natura.

Egli non è, in realtà, quel piccolo, modesto e transuente ego, capriccioso e pieno di desideri quanto inconsapevole, che vive in funzione d'ingannevoli appigli. Ma è l'intramontabile e indissolubile vita che scruta se medesima attraverso il miracolo del suo occhio mortale, si rattrista per l'impermanenza di quanto scorge , ma gioisce del comporsi e ricomporsi d'ogni evento in un flusso senza inizio, fine, tempo. Si, perché ha contemplato la natura essenziale, l'intrinseco ...

Epilogo

La tua mente ordinaria non è differente dalla tua mente "buddhica". Dovunque vada o veda sei già un Buddha. Sii presente a ciò che fai, al tuo stesso presente, limitandoti ad eseguire l'azione che stai compiendo. Ecco la tua sadhana (disciplina spirituale), se mangi mangia, se dormi dormi, se cammini cammina, in ufficio lavora e se ti rilassi molla davvero la presa e rivolgiti al tuo cielo interiore, che come mente universale ha di per sé una sua incontaminabile e fulgida purezza. Certo, può sempre accadere che qualche nube l'attraversi. Tali nubi sono gli oggetti esterni, pensieri o preoccupazioni moleste. Ma così come subitamente sopraggiunti, altrettanto rapidamente si dileguano lasciandoti libero di scegliere. Entrare, uscire, ritornare ... ed ecco che il laghetto della tua mente diventa un limpido cielo interiore. Osserva e non escludere nulla, includi ogni cosa.

Bene, pensi che ti abbia descritto una nuova tecnica di meditazione? Nient'affatto! Osservare consapevolmente è il gesto più immediato, semplice e gratuito che si possa mai compiere.

Fonte:http://www.meditare.it/meditazione/osservare.htm

Identita' tra noi ed il mondo

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Intuizioni per la meditazione. "Non esistono né impurità, né purificazione, né divinità esterna a sé, né pratica, né rituale e non vi è nulla da raggiungere che sia separato da noi. La coscienza è la totalità, la totalità è la coscienza". [...] Improvvisamente non c'è più intercessore, non c'è più distanza, non c'è più separazione. Si tratta allora di liberare la coscienza dalle opacità che ci fanno credere di essere un'entità [...] indegna.
Il risultato è un rilassamento totale del corpo e della mente [...].

È la via laica per eccellenza. Vogliamo semplicemente l'indipendenza, l'armonia, il godere continuamente e profondamente del mondo [...].

La nostra paura principale, la paura della dissoluzione, di non essere nulla, ci impedisce semplicemente di comprendere che quando pensiamo di essere una cosa in particolare, quindi isolati, non siamo che quella cosa e perdiamo tutto il resto. Accettando di non essere nulla, guadagniamo il mondo. Questo ragionamento logico è la chiave [...] del ruolo creativo del desiderio e delle passioni, considerati i corrieri più veloci che, attraverso la sensorialità, ci conducono al Sé. [...]

Il piacere è una componente fondamentale della pratica [...], perché appena proviamo piacere nella presenza, abbiamo una tendenza naturale a ritornarvi. A questo punto non si tratta più di una pratica, ma di un modo di gustare più pienamente la vita e la sensorialità ed è la base di qualsiasi altra pratica. [...]

Da dove ci viene l'intuizione di una possibile identità tra noi ed il mondo? Nessuno ce l'ha suggerita [...]. Perché ci ostiniamo a pensare che questa unione sia possibile? Molto semplicemente perché ne abbiamo fatto l'esperienza diretta, intima e questa certezza è inalienabile. Abbiamo vissuto questa esperienza ben prima di essere condizionati.
Da neonati, durante le prime settimane di vita, non ci sentiamo separati né dalla madre né da ciò che ci circonda, siamo nell'unità indifferenziata. Questi momenti sono probabilmente i più sconcertanti e forti della nostra vita. Nessuna sensazione successiva riuscirà mai a far passare questa esperienza in secondo piano. È come incisa in noi, qualsiasi sia il cammino che seguiamo. Questa sensazione a volte riemerge inaspettatamente e ci ricorda per tutta la nostra vita che abbiamo la possibilità di comunicare nuovamente con lei.
Freud la chiamava «la sensazione oceanica»: «La sola presenza di questa sensazione oceanica ci autorizzerebbe a dichiararci religiosi, pur ripudiando tutte le credenze e le illusioni» (da Il disagio della civiltà e altri saggi).
Questa sensazione di unità [...] sembra essere la nostra prima esperienza di esseri umani. [...] È alla base dell'esperienza dell'essere [...].

Quando l'ego si sviluppa, molto pInserisci linkresto, ben prima della comparsa del linguaggio, con esso appare la sensazione di separazione, che l'impostazione della nostra cultura non fa che accelerare. Dobbiamo distinguerci, dobbiamo accogliere le sfide, mostrarci brillanti, intelligenti, efficaci e tutto questo non può accadere senza un'inflazione dell'ego. Allora, come mai una volta adempiute tutte queste funzioni con successo sentiamo ancora quella nostalgia dell'unità? Semplicemente perché è la nostra natura essenziale e non possiamo dimenticarla" (pp. 37-51).

(Tratto da "Desideri, passioni e spiritualità" di Daniel Odier, il più noto esponente vivente in Europa della via kashmira)

Fonte:http://www.meditare.net/consapevolezza/identita-tra-noi-ed-il-mondo-daniel-odier

Presenti al presente

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In molti, in troppi, considerano la meditazione come l'esecuzione "forzata" di un determinato esercizio, fino a raggiungere un particolare stato di coscienza. Ma tutto ciò è degno, al massimo, di qualche bravo fachiro. Se un individuo si esercitasse nella pratica fisica di uno sport, diciamo settimana dopo settimana, tutti i giorni senza tregua, che risultato otterrebbe? Quello di sfiancarsi e poi debilitarsi.

Rivolgere l'attenzione al proprio corpo (respiro) un'ora al giorno è più che sufficiente purché si consideri come un allenamento senza fini immediati. Questo training rigenera. I motivi sono tanti, ma in questo articolo evidenzieremo soprattutto i benefici della presenza di spirito ...

Presenti al presente

La meditazione non è una tecnica. Le tecniche servono solo a trastullarsi sino a quando non avremo realizzato – esperito esistenzialmente e non solo intellettualmente – che nulla riuscirà mai ad aiutarci se non la nostra capacità di rilassarci e renderci disponibili.
Vorrei sottolineare l'aspetto gioioso, brioso, spensierato, festoso, con cui ci si dovrebbe avvicinare al pianeta meditazione. La meditazione andrebbe considerata come una pausa di relax e non un affare che implica seriosità (la serietà serve sempre).

Lo scopo della meditazione non è fermare il pensiero, bensì di astenersi, temporaneamente, dall'immaginare. Naturalmente ciò non vale quando occorre progettare, ideare, creare, elaborare, concepire, ecc. Quando non sei impegnato in tali attività dovresti, soltanto, evitare di verbalizzare. Cioè evita di attribuire agli eventuali oggetti che osservi ed in cui t'imbatti il loro nome. Ad esempio, stamane quando hai intravisto il cielo che da grigio diveniva via via più azzurro (azzurro si fa per dire), hai semplicemente osservato le circostanze senza dire: ecco il cielo, ecco il grigio plumbeo, ecco il grigio tenue, .... , ecco l'azzurro, ecco mi sto sentendo così o cosà, ecc. Hai osservato, hai sentito di essere, percepito l'essenza, ecc.

Astenersi dall'immaginare andrebbe inteso in questo senso: quando si agisce ci si limita a rimanere con le cose così come sono, senza identificarsi eccessivamente o proiettare significati che non hanno; quando non si agisce bisognerebbe esser presenti a se stessi in modo da non lasciarsi sedurre dal costruire futili castelli in aria (tranne, come abbiamo già detto, il caso in cui si stia progettando qualcosa di concreto), ma riposare "senza scegliere".

Approcci meditativi

Apparentemente esisterebbero due approcci meditativi.

Il primo, cominciare con un'osservazione distaccata di tutto ciò che si presenta, esattamente così com'è. Si parte, ad esempio dal respiro, ma pure da qualunque altro fenomeno; lo si osserva, ma se per caso l'attenzione si rivolge ad altro allora nulla d'irrimediabile, non appena ci s'avvede della disattenzione si ritorna all'oggetto d'indagine iniziale. Ho parlato del respiro, ma il criterio vale altrettanto con altri metodi.

Il secondo, diventare tutt'uno con la cosa osservata, l'oggetto, l'evento, sino al punto in cui non subentri, e senza che sia stato per nulla richiamato preventivamente in gioco, lo spettatore per eccellenza, il sé testimone. Questo è, ad esempio, il caso delle meditazioni dinamiche in cui il relax sopravviene solo dopo che si sia raggiunto un certo impegno applicativo. Più in generale, il rilassamento si verifica come coronamento del proprio sforzo di vigilanza. In altre parole non ci si può rilassare davvero se prima non ci si sia relativamente applicati. Il relax comporta un riavvicinamento spontaneo, e non forzato, a se stessi.

In un modo o nell'altro, sia che preghi, o siedi (zazen) senza far nulla, cioè fluendo con l'esistenza e osservando con distacco senza praticare apparentemente alcun metodo, sia che ti adoperi perché intuisci che v'è un quid da conoscere ed esplorare, il risultato sarà sempre identico. Accadrà senza che tu l'abbia voluto, soprattutto quando avrai smesso di desiderarlo. Non puoi partire con la pretesa di farlo tuo, di afferrarlo, altrimenti lo mancheresti. Ti astieni da un metodo, ma in effetti stai praticando il non-metodo. Ti applichi, ma ti sovvieni che finché ci sarai tu a sforzarti l'esistenza si dimostrerà riluttante. Che fare?

Nulla, ciò che conta è essere presenti a se stessi nel momento in cui compi una determinata azione, essere qui e ora, ma con distacco, senza cercare di assimilare mnemonicamente il sia pur incantevole flusso delle circostanze ...

L'esercizio è l'osservazione, che potremmo rivolgere alla postura o al respiro, come a tutto ciò che subentra, anche temporaneamente nel campo di coscienza. Un'osservazione sincera conduce immancabilmente a creare una distanza tra l'osservatore e la cosa osservata. Tuttavia se persisti tale distanza si annulla. Verrà il momento in cui non ci sarà differenza tra colui che osserva e un'eventuale oggetto. Un altro punto importante è non fissarti rigidamente su di un solo oggetto, ma lasciare che la mente sia spontanea. Nessuna costrizione, un po' più di fiducia ed il meglio prevarrà comunque. E se la mente intende svolazzare di continuo, ben venga. Prima o poi si stancherà e convergerà su qualcosa, oppure persino direttamente su se stessa.

Il mio modo di osservare non è una tecnica, mi sembra quasi un'arte. La mia qualità di osservazione non è più come agli esordi. Personalmente ne ho ricavato innanzitutto una certa calma, ... E' il massimo cui aspiravo. Quando sento parlare di risveglio e illuminazione sono perplesso e li intendo in senso lato, cioè come descrizioni simboliche di sensazioni poco esprimibili, affatto rappresentabili, ...

Riflessioni

La meditazione, intesa come metodo, non è una panacea universale adatta a qualunque tipo d'individuo. Io l'ho trovata soddisfacente perché mi ha permesso di raggiungere un buon equilibrio senza sforzi e autoimposizioni eccessive. Ho cercato il discernimento prestando maggiore attenzione e tentando di diventare, nei limiti del possibile, più consapevole. Ho provato a capire ... Ma dapprincipio non è stato affatto bello. Infatti mi sono reso conto ben presto della terribile ipocrisia imperante, dei condizionamenti continui per rimaner sottomessi agli innumerevoli interessi precostituiti.

La meditazione mi sembra una possibile risposta globale alla pseudo-spiritualità plurisecolare e violenta che ha imperversato per millenni. I frutti che ho riscontrato nel mio intimo sono stati, innanzitutto, pacificazione interiore, rispetto e compassione per gli esseri viventi, maggiore tolleranza, amorevolezza, propositi costruttivi e tendenza all'operosità concreta.

Quindi, se da una parte ho smesso di credere alle favole, dall'altra ho scoperto che la vita stessa è una favola ben degna d'esser vissuta al meglio delle proprie possibilità. Ho scoperto che il vero valore sono le risorse interiori e non le prediche melliflue di chi, in effetti, ti vuol possedere per abbindolarti dichiarando, invece, di volerti salvare. Ho scoperto che non abbiamo nessun peccato originale, ma che l'origine di tutti i peccati consiste nella menzogna.

Epilogo

Comincia a rammentare che non sei tu a dover meditare, ma dovresti attendere che la meditazione accada. In genere facciamo il possibile per predisporci affinché un certo evento si verifichi, ma il seguito dovrà venir da sé. Se avrai la giusta pazienza .... quindi non è questione di tecnica, ma di saper attendere con diligenza qualcosa che potrebbe non succedere mai ... è un rischio, potresti perdere il tuo tempo, gettarlo alle ortiche ... non sarebbe meglio una salutare passeggiata tra il fatidico smog di qualche insalubre italico contrado?

nick.salius

Fonte:http://www.meditare.it/meditazione/presenti_al_presente.htm

Aforismi di Sebastiano B. Brocchi

sulla via dei Filosofi Ermetici (VI parte)


Gli uomini lavano i loro panni
sapendo che, con il tempo,
questi perdono il loro profumo
e la bellezza dei loro colori;
e quando lavarli non basta,
ne comprano di nuovi.
Non vale forse lo stesso
per le idee, i pensieri e le opinioni?
Non necessita, la nostra mente,
di essere lavata e sciacquata
di tanto in tanto,
dai suoi vecchi concetti?
E quando lavare non basta,
non è forse il momento
di acquisire una mente nuova?



Mangeresti l’impasto del pane,
prima ch’esso sia cotto al forno?
Chiameresti pane quell’impasto,
prima che il calore del fuoco
l’abbia trasformato?
Perché, dunque, giudichi l’uomo
quand’egli è ancora crudo?
Per ognuno viene il tempo
del perfetto compimento.



Lega, l’amore,
persone di sessi diversi o uguali,
di età diverse o uguali,
dai caratteri simili o dissimili,
unite da parentela o straniere,
e nasce
per una persona, un animale, un albero,
un fiore, una pietra, un luogo, un cielo,
un’immagine, un colore,
una melodia, una voce o un silenzio.
Di che ti meravigli?
Cosa credi che tenga unito
ogni atomo di questo universo?



Come un uomo il quale, entrato in un teatro
a metà della rappresentazione,
lo lasciasse, dopo appena pochi istanti,
convinto di essersi fatto un’idea sufficiente
dello spettacolo;
così è l’uomo che giudica le opere di Dio.



Dice l’Alchimista
che ha ottenuto il suo elisir:
“Pensavo di trovare il segreto
per vivere in eterno;
invece ho trovato il segreto
dell’eternità che vive in me!”.



Ciò che vuoi ti preme avere,
ciò che non vuoi ti è indifferente.
Ricorda, però,
ciò che vuoi, di volerlo hai scelto tu,
se non l’ottieni, non prendertela con altri!



Non fare della tua fantasia
un mezzo per evadere dalla realtà.
Sarà la realtà, allora,
ad insegnare alla tua fantasia!



Matematico, dell’universo puoi contare tutto,
ma non la fantasia e l’amore.
Numeri sono i colori, e la tela, e il pennello,
ma ti manca di conoscere l’artista, e il suo estro,
poiché da solo, il quadro non si dipinge!

Aforismi di Sebastiano B. Brocchi

sulla via dei Filosofi Ermetici (V parte)



Anche la fantasia necessita un lavoro
di progressiva affinazione.
Quando essa trae origine dall’io,
le sue mete riguardano l’accrescimento del sé,
i suoi prodotti riguardano la sfera personale,
e presto si trasformano nel dramma
dell’impotenza di trasformare l’immaginazione
in realtà.
Quando la fantasia, al contrario, nasce dall’alto,
la sua meta è la creatività pura,
il suo prodotto è l’arte,
e presto si trasforma nella capacità di arricchire
la realtà con immaginazione.



A tutti noi è dato il senso critico
come il martello al carpentiere.
Usato con delicatezza, costruisce.
Usato senza delicatezza, distrugge.
I chiodi, sono i giudizi che diamo.



Il senso critico è come la fune
per l’equilibrista.
Se ci si affretta,
o ci si mette troppa enfasi,
è facilissimo perdere l’equilibrio.



Criticare gli altri è giusto,
criticare noi stessi è necessario.
Tuttavia, per criticare è necessario
saper apprezzare. Ma quanti,
tra coloro che criticano,
sanno anche apprezzare?



Saper apprezzare,
e con ciò intendo non soltanto
apprezzare ciò che tutti apprezzano,
ma anche e soprattutto,
quelle cose che pochi o nessuno
sanno apprezzare;
è ciò che rende fertile
il cuore e l’anima di un uomo.



L’incapacità di apprezzare,
da sola,
può portare la più completa
aridità e desolazione
nell’animo di una persona.



La capacità di apprezzare,
di cogliere il valore di una cosa
dall’apparenza misera e insignificante,
è un tesoro sepolto molto in profondità
tra le capacità dell’animo umano.
Bisogna scavare molto e con impegno,
per trovarla e imparare a praticarla.



Che grande cosa
riuscire a criticare apprezzando!
Significa: gioire dell’aver colto
il valore imprescindibile di una cosa,
la sua preziosa unicità,
e, ciononostante,
intuire come potrebbe essere
ulteriormente migliorata!



L’uomo critica o apprezza
tutto ciò che percepisce attraverso i sensi.
Un’opera d’arte, un profumo, uno spettacolo,
un piatto, un discorso, ma soprattutto le altre persone.
Questa è soltanto una lunga strada per prepararci
a guardare ciò che abbiamo dentro e non passa
attraverso i nostri sensi.
Quando inizieremo a giudicare noi stessi,
criticandoci e apprezzandoci,
come fossimo un’opera d’arte, un profumo, uno spettacolo,
un piatto, un discorso, o un’altra persona,
destineremo molti meno giudizi
a quel che accade all’esterno…



Così come un genitore non può essere
né troppo severo né troppo permissivo
nei confronti dei suoi figli,
così attraverso critica e apprezzamento di sé,
ogni uomo dovrà poco a poco,
diventare genitore e figlio di sé stesso.

Aforismi di Sebastiano B. Brocchi

sulla via dei Filosofi Ermetici (IV parte)



La vostra vita è simile a un frutto.
La sua polpa va gustata,
nutrirà voi.
Il suo nocciolo va seminato,
nutrirà il mondo.



Cos’è la fantasia, se non Dio
che pone nelle nostre mani
lo scettro del suo potere infinito?
La fantasia, ci permette di immaginare
cose alle quali persino Dio non ha pensato
al momento di creare questo mondo.
O forse, di scoprire quei progetti
che nella creazione non hanno avuto posto.



Dove mettere tutto ciò che nello spazio
non poteva stare,
se non nella mente dell’uomo?



Un apprendista Alchimista andò dal suo maestro
e gli disse: “Maestro, pur sforzandomi, non riesco
a trovare un senso logico negli scritti della nostra Arte!”.
E l’altro a lui: “Nemmeno io!”.



I libri d’Alchimia, certo, si prendono gioco dell’apprendista.
Saprà, lui, prendersi gioco di loro?
Quanti seri Alchimisti non si sono mai accorti
che la loro Scienza, nelle immagini, sorride!



Davvero credi che una Scienza,
fatta di draghi, angeli, cavalieri e fanciulle,
e re che muoiono e risorgono,
e piombo che diventa oro,
e unicorni che combattono leoni,
e salamandre che vivono nel fuoco,
si rivolga alla tua ragione,
più che alla tua fantasia?



Fuori dalla Logica, due sono i sentieri:
uno porta alla Follia, l’altro alla Saggezza.
Difficile riconoscere l’uno dall’altro.



Felice colui che fa del paradosso la sua logica,
della matematica un’opinione,
del dubbio una certezza,
e la certezza mette in dubbio.



Quale grande prova di sapienza,
mettere in dubbio la propria sapienza.
Vedere l’antitesi di ogni tesi.
L’asserzione e la negazione.
Il vero nel falso e il falso nel vero,
il giusto nello sbagliato e lo sbagliato nel giusto,
l’essere nel non-essere e il non-essere nell’essere;
capire la vacuità degli uni e degli altri,
ammirarne la danza, il gioco, l’inconsistenza!



L’ateismo è quella religione che ha per fede
la credenza nell’inesistenza di Dio.
La religione è quella forma di ateismo
che fa del proprio Dio l’inesistenza degli altri Dei.

L'eretico ed il Santo

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b9/Giotto-Liberation_of_the_Eretico-2.jpg/250px-Giotto-Liberation_of_the_Eretico-2.jpg

Con la primavera già inoltrata, in montagna, un Santo ed un eretico si sedettero all'ombra di un bel mandorlo in fiore, l'uno di fronte all'altro.
L'eretico poggiando a terra il suo bastone, iniziò a parlare.
"Dammi cinque buone ragioni per spiegarmi che Dio esiste ed io te ne darò altre cinque per dimostrarti il contrario."

Il Santo lo fissò dritto negli occhi, e dopo una breve riflessione parlò.

"Io credo. Credo in Dio perchè Egli si manifesta ogni attimo. Non ho bisogno di libri da leggere, io so che Egli esiste.
Il dono della vita demandato agli uomini per il suo trasmettersi con la creazione dei figli è la prima ragione perchè io creda.
La natura che nasce e rinasce ogni momento, il sole con la sua energia immutabile ed infinita,e la notte che dà sollievo, le stelle luminose e lontanissime mi danno la misura di ciò che non si può misurare.
L'infinito, come il tempo, che mai smetterà di essere senza aver mai avuto inizio perchè esistito da sempre. Manda indietro un orologio.. mai smetterà di battere. Esso mi da la misura del Dio nella sua eternità, da sempre esistito e che sempre esisterà, come il tempo.
Non ti sembrano queste ragioni abbastanza per credere in lui?"

L'eretico alzò lo sguardo da terra e lo volse al cielo verso l'estate che spingeva le nubi.

"Il tempo per l'uomo ha una misura esatta, da quando nasce a quando muore. Non si pone il problema dell'eterno poichè lui sa soltanto che un giorno prossimo non esisterà più. Non sa se e dove e quando andrà perchè è un essere finito e come tale ha a cuore solo la vita.
Dove può stare un Dio misericordioso se la vita non risparmia nessuna sofferenza all'uomo?
Chi è questo Dio delle disgrazie, che dispensa povertà e fame, che regala a piene mani la sorte avversa ed il dolore.
I terremoti, le malattie, la fatica ed il sacrificio con nessuna ricompensa concreta se non la certezza di dover morire.
La felicità è fugace e le gioie effimere si spengono in un attimo.
L'immensa tristezza del distacco dalle persone amate, l'inutilità di ogni sforzo, la vanità debole che inganna gli occhi per colmare il vuoto interiore.
E questo è Dio? Non lo credo perchè non può esistere se non nei tuoi pensieri e solo per la tua paura dell'ignoto che ci attende."

I due riposarono, a lungo, ed in silenzio.
L'albero aveva già perso tutte le foglie ed i suoi fiori. Era già autunno.
Il vecchio si alzò con fatica e scese la montagna avvolgendo il suo mantello scuro intorno al collo.
Sotto al mandorlo spoglio, rimase un vecchio specchio incrinato, appoggiato al tronco, in mezzo ad un letto di foglie già rosse.
L'inverno stava arrivando.

(Marcus Harhael)

Inserisci linkFonte:http://www.meditare.info/blog/spiritualita/l-eretico-ed-il-santo

La Meditazione Vipassana (di S. N. Goenka)



Tutti noi cerchiamo pace e armonia, perché questo è ciò che manca alla nostra vita. Di tanto in tanto tutti noi sperimentiamo agitazione, irritazione, disarmonia. E quando soffriamo per queste miserie, non le limitiamo a noi stessi; spesso le distribuiamo anche agli altri. L'infelicità pervade l'atmosfera attorno a chi è miserabile e anche tutti quelli che vengono in contatto con questa persona ne vengono afflitti. Certamente questo non è un modo pratico di vivere.

Dovremmo vivere in pace con noi stessi e con gli altri. Dopotutto l'essere umano è un essere sociale; deve far parte della società e avere a che fare con gli altri. Ma come possiamo vivere in pace? Come possiamo rimanere in armonia dentro noi e mantenere attorno a noi pace e armonia in modo che anche gli altri possano vivere in modo pacifico e armonioso?

Per poter essere sollevati dalla nostra miseria, dobbiamo conoscerne la ragione di base, la causa della sofferenza. Se esaminiamo il problema, ci appare chiaro che quando iniziamo a generare nella mente una qualche negatività o impurità, siamo destinati a divenire infelici. Negatività e impurità nella mente non possono coesistere con pace e armonia.

Come iniziamo a generare negatività? Ancora, investigando, la cosa diviene chiara. Diventiamo tesi e infelici quando troviamo qualcuno che si comporta in un modo che non ci piace, o quando scopriamo che sta succedendo qualcosa che non è di nostro gradimento. Succedono cose indesiderate e cominciamo a creare tensione dentro di noi. Non accade ciò che desideriamo, sulla nostra strada sorgono degli ostacoli, e di nuovo generiamo tensione in noi stessi; creiamo dei nodi dentro di noi. E nel corso della vita continuano ad accadere cose indesiderate, ciò che vogliamo potrà avverarsi oppure no, e questo processo di reazione, di creare nodi - nodi gordiani - fa sì che l’intera nostra struttura mentale e fisica divenga così tesa, così piena di negatività che la vita diventa miserabile.

Ora, un modo per risolvere il problema è di organizzare le cose in modo che nulla di indesiderato avvenga mai e che tutto vada esattamente così come lo vogliamo. Dovremmo sviluppare il potere di far sì che le cose indesiderate non accadano e invece accada solo ciò che desideriamo, oppure qualcun altro che venga in nostro aiuto dovrebbe avere questo potere. Ma ciò non è possibile. Non esiste nessuno al mondo i cui desideri vengano sempre esauditi, a cui tutto accada secondo i propri voleri, senza mai nulla di indesiderato. Continueranno a verificarsi fatti e situazioni contrari ai nostri desideri e ai nostri voleri. Così sorge la domanda: come possiamo non reagire ciecamente di fronte a queste cose indesiderate? Come possiamo non creare tensioni e rimanere in pace e in armonia?

In India ed in altri paesi persone sagge e sante del passato hanno studiato questo problema, il problema della sofferenza umana, e hanno trovato una soluzione: se qualcosa di indesiderato accade e si inizia a reagire generando collera, paura o qualsiasi negatività, allora, appena è possibile, si deve spostare la propria attenzione su qualcos'altro. Per esempio ci si alza, si prende un bicchiere d'acqua, si beve; la collera non potrà moltiplicarsi e comincerà a placarsi. Oppure ci si mette a contare: uno, due, tre, quattro; oppure si comincia a ripetere una parola, o una frase, o un mantra, magari il nome di una divinità o di una persona santa a cui si è devoti - e così la mente si svia e, fino ad un certo punto, ci si libera dalla negatività, dalla rabbia.

Questa soluzione è stata utile; ha funzionato e funziona ancora. Così facendo, la mente si sente libera dall'agitazione. Tuttavia questa soluzione funziona solo a livello conscio. In effetti, sviando l'attenzione, si spinge la negatività nel profondo dell'inconscio e a quel livello le stesse impurità continuano a prodursi e a moltiplicarsi. Alla superficie c'è uno strato di pace ed armonia, ma nel profondo della mente giace un vulcano addormentato di negatività rimossa che prima o poi esploderà con una violenta eruzione.

Altri esploratori della verità interiore si sono spinti più lontano nella loro ricerca: sperimentando all'interno di se stessi la realtà della mente e della materia, compresero che sviare l'attenzione è solo un modo di sfuggire al problema. La fuga non è una soluzione: occorre affrontare il problema. Ogni volta che della negatività sorge nella mente, semplicemente osservatela, affrontatela. Non appena ci si mette a osservare un’impurità mentale, essa inizia a perdere forza. Gradualmente si affievolisce e viene sradicata.

Una buona soluzione che evita entrambi gli estremi: soppressione e libera manifestazione. Il mantenere la negatività nell'inconscio non la sradicherà; d’altra parte, permettendole di manifestarsi nell'azione fisica o verbale, si creeranno soltanto nuovi problemi. Invece, se si osserva semplicemente, l’impurità svanisce e la negatività viene estirpata. Siamo liberi dell’impurità.

Sembra magnifico, ma è veramente realistico? Non è facile fronteggiare le proprie impurità. Quando la collera sorge, essa ci travolge così rapidamente che neppure ce ne accorgiamo. Poi, sopraffatti dalla rabbia, commettiamo azioni fisiche o verbali che sono dannose per noi e per gli altri. E più tardi, quando la collera è passata, ci lamentiamo e ci pentiamo, chiedendo scusa a questa o quella persona, oppure a Dio: “Ho sbagliato, ti prego, perdonami”. Ma la volta seguente, in una situazione simile, reagiamo di nuovo allo stesso modo. Tutto questo pentirsi non ci aiuta per niente.

La difficoltà è che non siamo consapevoli di quando ha inizio una negatività. Incomincia in profondità, nella mente inconscia, e quando raggiunge il livello conscio ha acquistato una forza tale che ci travolge e non riusciamo a osservarla.

Supponiamo che io assuma un segretario privato che mi avverta quando la collera ha inizio: "Attento, sta iniziando la collera!" Ma dato che non posso sapere quando la collera può incominciare, dovrei disporre di tre segretari privati per tre diversi turni di lavoro, 24 ore su 24! Ma diciamo che me lo possa permettere. Ora la collera ha inizio, e immediatamente il segretario mi avvisa: “Attenzione, sta iniziando la collera!” La prima cosa che farei sarebbe di rimproverarlo: "Sciocco, pensi di essere pagato per insegnare a me?" Sarei così sconvolto dalla collera che nessun consiglio mi potrebbe aiutare.

Ma mettiamo che invece prevalga il buon senso e che non lo rimproveri; anzi, che gli dica: "Tante grazie, ora devo sedermi ed osservare la mia rabbia". Ma è possibile? Non appena chiudo gli occhi e cerco di osservarla, nella mia mente si presenta immediatamente l'oggetto della mia rabbia - la persona o la situazione che le ha dato inizio. Ma allora non sto osservando la rabbia stessa. Sto solo osservando lo stimolo esterno di quell’emozione. Questo non farà che moltiplicare la collera, il che non è certo una soluzione. È molto difficile osservare una negatività astratta, un'emozione astratta, separata dall'oggetto esterno che l'ha provocata.

Ma una persona che è giunta alla verità ultima ha trovato una vera soluzione. Scoprì che, quando nella mente sorge un’impurità, simultaneamente a livello fisico iniziano a succedere due cose. Una è che il respiro perde il suo ritmo normale. Ogni volta che nella mente appare una negatività, si inizia a respirare più forte. Ciò è facile da osservare. A un livello più sottile, cominciano delle reazioni biochimiche all'interno del corpo, delle sensazioni. Ogni impurità genererà sensazioni di questo o quel tipo in una qualche parte del corpo.

Ecco allora una soluzione pratica. Una persona normale non riesce ad osservare le impurità astratte della mente: paura, collera o passione astratte. Ma con un allenamento e una pratica adeguati, diventa molto semplice osservare il respiro e le sensazioni nel corpo, che sono entrambe collegate direttamente con le impurità mentali.

La respirazione e le sensazioni aiuteranno in due modi. In primo luogo faranno da segretari privati. Non appena sorge un’impurità nella mente, il respiro perde la sua normalità e avverte: "Attenzione, c'è qualcosa che non va!" E non possiamo rimproverare il respiro, dobbiamo accettare l'avvertimento. Così anche le sensazioni ci avvertiranno che c'è qualcosa che non funziona. Allora, così avvertiti, iniziamo a osservare il respiro, iniziamo a osservare le sensazioni. E ben presto scopriamo che la negatività svanisce.

Questo fenomeno mentale-fisico è come una medaglia a due facce. Da una parte ci sono tutti i pensieri e le emozioni che sorgono nella mente, dall'altra il respiro e le sensazioni nel corpo. Ogni pensiero o emozione, ogni impurità mentale che sorge, si manifesta nel respiro e nella sensazione di quel momento. Così, osservando il respiro o le sensazioni, stiamo di fatto osservando le impurità mentali. Anziché sfuggire al problema, affrontiamo la realtà così come è. Scopriremo che le impurità perdono la loro forza e non riescono più a travolgerci come in passato. Se perseveriamo, alla fine esse scompaiono completamente e cominciamo a vivere una vita pacifica e felice, una via progressivamente libera dalle negatività.

In questo modo la tecnica di auto-osservazione ci mostra la realtà nei suoi due aspetti: esterno e interno. Fino ad ora abbiamo sempre guardato all'esterno, lasciandoci sfuggire la verità interiore. Abbiamo sempre cercato fuori di noi la causa della nostra infelicità; abbiamo sempre incolpato e cercato di cambiare la realtà esterna. Ignorando la realtà interiore non abbiamo mai compreso che la causa della sofferenza giace dentro di noi, nelle nostre cieche reazioni alle sensazioni piacevoli e spiacevoli.

Ora, con la pratica, riusciamo a vedere l'altra faccia della medaglia. Diventiamo consapevoli del respiro e di ciò che accade dentro di noi. Che si tratti di respiro o di sensazione, impariamo a osservare semplicemente, senza perdere l’equilibrio mentale. Smettiamo di reagire, smettiamo di moltiplicare la nostra miseria. Invece, lasciamo che le impurità si manifestino e poi svaniscano.

Più si pratica questa tecnica e più rapidamente le negatività si dissolveranno. Gradualmente la mente si libera dalle impurità, e diviene pura. Una mente pura è sempre piena di amore, amore disinteressato per gli altri, piena di compassione per le debolezze e le sofferenze degli altri; gioiosa dei loro successi e della loro felicità; piena di equanimità in ogni situazione.

Quando si arriva a questo stadio, tutto l'andamento della propria vita cambia. Diventa impossibile fare - verbalmente o fisicamente - qualcosa che disturbi la pace e l'armonia degli altri. Anzi, la mente equilibrata non solo diventa piena di pace, ma anche l’atmosfera circostante diverrà colma di pace e armonia, e questo inizierà a influenzare anche gli altri, e ad aiutarli.

Imparando a rimanere equilibrati di fronte a qualsiasi esperienza interiore, si sviluppa il distacco anche da tutto ciò che si incontra nelle situazioni esterne. Questo distacco non è però fuga o indifferenza riguardo ai problemi del mondo. Coloro che praticano regolarmente Vipassana diventano più sensibili alle sofferenze degli altri e fa del suo meglio per alleviarle - non con l’agitazione, ma con una mente piena di amore, compassione ed equanimità. Imparano la santa indifferenza: come essere pienamente impegnati, pienamente coinvolti nell’aiutare gli altri, mantenendo allo stesso tempo una mente equilibrata. Così, mentre si lavora per la pace e la gioia degli altri, si rimane felici e in pace.

Questo è ciò che ha insegnato il Buddha, un'arte di vivere. Egli non fondò e non insegnò una religione o un “ismo”. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare riti o rituali, delle vuote e cieche formalità. Al contrario, insegnò a osservare semplicemente la natura così come è, osservando la propria realtà interiore. Per ignoranza continuiamo a reagire in modi che sono nocivi per noi e per gli altri. Ma quando la saggezza sorge - la saggezza di osservare la realtà così come è - allora si esce dall'abitudine di reagire. Quando smettiamo di reagire ciecamente, allora diveniamo capaci di agire davvero - con azioni che nascono da una mente equilibrata, una mente che vede e comprende la verità. Tali azioni non potranno essere che positive, creative, utili per noi stessi e per gli altri.

Ciò che è necessario, allora, è “conoscere se stessi”, un consiglio che è stato ripetuto dai saggi di ogni tempo. Ci si deve conoscere non solo a livello intellettuale, al livello delle idee e delle teorie, né solo a livello emozionale o devozionale, accettando ciecamente ciò che abbiamo ascoltato o letto. Questa conoscenza non è sufficiente. Si deve invece conoscere la realtà a livello effettivo. Si deve sperimentare direttamente la realtà di questo fenomeno mentale e fisico: solo questo ci aiuterà a liberarci dalle sofferenze.

Questa esperienza diretta della nostra realtà interiore, questa tecnica di auto-osservazione viene chiamata “meditazione Vipassana”. Nella lingua dell'India ai tempi del Buddha, passana significava guardare, vedere ad occhi aperti, nella maniera abituale. Ma vipassana è osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità fondamentale dell'intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così, naturalmente, le vecchie negatività saranno gradualmente eliminate. Ci liberiamo dalla miseria e sperimentiamo vera felicità.


L’apprendimento, durante un corso di meditazione Vipassana, si svolge in tre passi. In primo luogo ci si deve astenere da ogni azione fisica e verbale che disturbi la pace e l'armonia degli altri. Non si può lavorare per liberarsi dalle impurità della mente e, nel contempo, continuare a compiere atti, con il corpo e con la parola, che le moltiplichino. Quindi, un codice di moralità è il primo passo essenziale della pratica. Ci si impegna a non uccidere, a non rubare, a non avere un comportamento sessuale scorretto, a non mentire e a non usare intossicanti. Astenendosi da queste azioni, si permette alla mente di acquietarsi quanto basta per procedere ulteriormente.

Il passo successivo è quello di sviluppare la padronanza su questa nostra mente selvaggia, esercitandola a rimanere fissa su di un solo oggetto: il respiro. Si cerca di mantenere la propria attenzione sulla respirazione il più a lungo possibile. Non si tratta di un esercizio di respirazione; non si deve controllare il respiro. Si osserva la respirazione naturale così come è, mentre entra e mentre esce. In questo modo si acquieta ulteriormente la mente, così che non venga più sopraffatta da intense negatività. Nel contempo si sta concentrando la mente, la si rende acuta e penetrante, capace di lavorare più in profondità.

Questi due primi passi, condurre una vita morale e controllare la mente, sono necessari e benefici di per se stessi, ma conducono alla soppressione delle negatività se non viene compiuto il terzo passo: purificare la mente dalle impurità, mediante lo sviluppo di una percezione diretta della propria natura. Questo è Vipassana: sperimentare la propria realtà tramite l'osservazione sistematica e spassionata dentro di noi del fenomeno mente-materia, che è in continuo mutamento e che si manifesta come sensazioni. Questo è l'apice dell'insegnamento del Buddha: auto-purificazione mediante auto-osservazione.

È qualcosa che può essere praticato da chiunque. Tutti affrontano il problema della sofferenza. È una malattia universale che richiede un rimedio universale, non un rimedio settario. Quando si soffre a causa della rabbia, non si tratta di rabbia buddista, induista o cristiana: la rabbia è rabbia. E quando ci si agita a causa della collera, non è un’agitazione cristiana, induista o buddista. La malattia è universale. Anche il rimedio dev’essere universale.

Vipassana è questo rimedio. Nessuno obietterà nei confronti di un codice di vita che rispetta la pace e l'armonia degli altri. Nessuno obietterà verso lo sviluppare il controllo della mente. Nessuno può avere obiezioni verso lo sviluppare la comprensione profonda della propria natura, una comprensione che permette di liberare la mente dalle negatività. Vipassana è una via universale.

Osservare la realtà così come è, osservando la verità al proprio interno: questo è conoscersi direttamente ed esperienzialmente. E a mano a mano che si pratica, ci si libera dalla miseria delle impurità mentali. Dalla verità grossolana, esteriore, apparente, si penetra fino alla verità ultima della mente e della materia. Poi la si trascende e si sperimenta una verità che sta oltre la mente e la materia, oltre il tempo e lo spazio, oltre il campo condizionato della relatività: la verità della totale liberazione da tutte le negatività, tutte le impurità, tutte le sofferenze. Non ha importanza che nome si dia a questa verità ultima: essa è la meta finale per tutti.

Che tutti voi possiate sperimentare questa verità ultima. Possano tutti liberarsi dalle loro impurità, dalla loro miseria. Possano godere della vera pace, della vera armonia, della vera felicità.

CHE TUTTI GLI ESSERI SIANO FELICI

Fonte:http://www.atala.dhamma.org/pub/artevita.htm

Santità e Nobiltà

All’idea che in questi giorni i media siano tutti concentrati sulla beatificazione di un Papa e sulle nozze di una coppia reale, mi verrebbe da pensare di trovarmi nel Seicento, eppure no, un’occhiata al calendario e mi rendo conto che siamo proprio nell’anno 2011 d.C. Dunque non è il tempo ad aver fatto una svolta all’indietro, siamo noi che fatichiamo a staccarci da un’epoca che, invece, dovremmo considerare conclusa. Con questo, non voglio assolutamente negare il mio rispetto alle persone di Karol Wojtyla, William Mountbatten-Windsor, o Catherine Middleton, sia ben chiaro; ma considerate in quanto persone, appunto, e non in ragione dei titoli che sono loro attribuiti. Anche se sui libri di scuola, e persino su alcune monete della valuta europea, viene ancora riportato il motto dei rivoluzionari francesi “Liberté, Egalité, Fraternité”, probabilmente esso compare come semplice citazione di un ideale che provò a imporsi nell’Età dei Lumi, e non come una trinità di valori su cui ogni stato civile dovrebbe basarsi. Sì perché oggi è facile, leggendo i giornali, o guardando la tv, dimenticare o perlomeno sottovalutare, che le idee di “Santità” e “Nobiltà”, su cui per secoli la Chiesa e lo Stato hanno costruito le loro oligarchie, siano in realtà delle inutili zavorre che ci portiamo dietro grazie a chi, in passato, ha preteso di dimostrare che tra gli uomini vi fossero sostanziali differenze di valore. Quale meraviglioso passo in avanti compiremmo, se capissimo che tra noi non vi è nessuno che sia migliore o peggiore degli altri, né dunque qualcuno che sia Santo, o Nobile, e qualcuno che non lo sia. Pensate forse che questo discorso vada contro la fede cristiana? Tutt’altro. Il fatto che io non sia Cristiano non influenza in nulla questo mio scritto, che anzi, ritengo avvicinarsi agli insegnamenti del Vangelo, molto più di quanto non faccia la condotta del Vaticano. Ricordo, infatti, a chi legge, che tra quelli che vengono tramandati come insegnamenti di Gesù, vi è una frase, emblematica, su cui si dovrebbe fondare il nostro modo di porci all’umanità nel suo insieme: “Voi siete Dei”, disse, “tutti figli dell’Altissimo” (per altro ripresa dall’Antico Testamento, cfr. Salmi 82,6). Tutti. Questa rivelazione, da sola, dovrebbe bastare a conferire ad ogni singolo essere umano la dignità e il valore di una creatura sacra, poiché fatta a immagine e somiglianza di Dio. Non servono Santi e Nobili eletti dagli uomini: ognuno di noi lo è per nascita. Credete forse che, nella storia, Papi, Santi, Re e Principi, siano stati personaggi dalle virtù spirituali superiori? No di certo. Aureole e corone, molto più spesso di quanto si possa pensare, hanno brillato sulla testa di individui dalla dubbia moralità, assassini e torturatori che ancor oggi godono dell’onore di essere ricordati, invocati o celebrati. Al contrario, milioni di uomini e donne che gli annali hanno dimenticato, genitori, lavoratori, pensatori, che con i loro buoni sentimenti, le loro fatiche e le loro scoperte, hanno mantenuto viva e fatto progredire la civiltà umana, non hanno goduto di alcun titolo, né, per questo, di alcuna devozione o pubblica ammirazione. Alla santità del cuore e alla nobiltà d’animo, nessuno ha mai costruito troni o altari, stampato immaginette o eretto monumenti nelle piazze. Ma è a quest’ultimo tipo di umana grandezza, e cioè quella degli anonimi che nessuno considera Santi, che dovremmo rivolgere la nostra gratitudine…

Lasciare andare il passato e vivere pienamente nel presente



Molte persone dicono che non possono godere del presente a causa di qualcosa che è avvenuto nel passato. Poiché una volta sono stati da feriti, non riescono ad aprirsi di nuovo all’amore. Poiché hanno subito una perdita, non riescono a vivere pienamente nel presente. Poiché tempo addietro hanno vissuto un’esperienza spiacevole, non riescono a non credere che questa possa ripetersi ancora.Poiché hanno sbagliato nel passato, continueranno a sbagliare. Poiché sono stati maltrattati, non perdoneranno ne’ dimenticheranno mai.

Vi siete mai ritrovati a dirvi frasi come queste?

Dato che il primo esame che ho fatto nella mia vita non è andato molto bene, adesso ho sempre paura degli esami.

Dato che lui/lei mi ha fatto soffrire, adesso non gli/le credo più.

Dato che la mia relazione più importante è finita male, non posso più aprirmi all’amore.

Dato che sono nato da una famiglia di umili origini non potrò mai diventare ricco.

Spesso non ci rendiamo conto – dice Louise Hay – che rimanere aggrappati al passato, non importa quando spaventoso esso sia stato, ci causa solo dolore. Spesso chi ci ha ferito non ne è nemmeno consapevole e, così, gli unici che ancora soffrono e che si lasciano condizionare da ciò che è stato, siamo solo noi stessi. Questo ci impedisce di vivere totalmente nel presente al massimo delle nostre potenzialità e di lavorare per creare quel futuro nel quale poter essere finalmente felici.

Dobbiamo partire dal presupposto che il passato è morto e sepolto, non abbiamo nessun potere di cambiarlo e, anche se continueremo a lamentarci per ciò che è stato, per come ci hanno trattato, per quello che abbiamo subito, questo certo non ci aiuterà a vivere meglio, anzi, ci condanneremo a vivere una vita all’insegna dell’infelicità, del vittimismo e della delusione.

Il solo momento sul quale abbiamo DAVVERO potere è il PRESENTE: è solo nel presente che possiamo lavorare per lasciar andare il carico emotivo che il passato (le esperienze che abbiamo vissuto, le persone che ci hanno ferito, …) ancora rappresenta.

Louise Hay suggerisce di ripensare a che cosa indossavate il primo giorno di scuola: sicuramente è stato un giorno per voi importante ma lo vedete sicuramente con distacco sentimentale, per voi ormai rappresenta solo un ricordo. Cosa succede invece quando ripensate alla vostra ultima relazione, al partner, al vostro capo, ai colleghi, ai vostri genitori? Prendetevi un po’ di tempo da soli in tranquillità e cominciate a fare un elenco di tutto quello che vi suscita risentimento, paura, delusione, insomma tutto quello che sentite “non risolto”, tutto quello che non riuscite a vedere, sentire o percepire come un SEMPLICE RICORDO.

Poi chiedetevi:

Qual è l’intento positivo che mi ha portato a rimanere attaccato a questo avvenimento, persona o sentimento del passato?

Mi piace? Mi fa stare bene?

Se la risposta è no allora chiedetevi:

Come sarebbe se continuassi a vivere facendomi condizionare dal passato?

Pensate adesso a come sarebbe la vostra vita se riusciste veramente a lasciar andare il passato e con lui tutte le esperienze che vi hanno fatto soffrire, le persone che vi hanno ferito (del resto ricordatevi che anche in quel momento stavamo facendo del loro meglio in base agli strumenti che avevano!), le emozioni e i sentimenti che avete lasciato vi continuassero a condizionare…. Come cambierebbero le cose? In meglio forse? E quindi siete davvero disposti a lasciar andare? A perdonare? Valutate le vostre reazioni. Che cosa potreste fare per lasciarle cadere? In questo senso, quanto vi impegnereste? Qual è il vostro livello di resistenza?

Spesso se non fluiamo con la vita nel momento presente, significa che ci stiamo aggrappando ad un tempo ormai trascorso. Sia che si tratti di tristezza, rabbia, paura, risentimento, delusione, colpa, … significa che stiamo vivendo una situazione di mancanza di perdono, un rifiuto a dimenticare il passato e vivere nel presente.

L’amore è sempre la risposta che conduce alla guarigione, e il sentiero verso l’amore è il perdono, l’unico in grado di sciogliere il risentimento.

“Io sono disposto/a a lasciar andare il bisogno di…. (avere rapporti difficili, attirare persone aggressive, criticarmi, criticare gli altri, sabotare la mia relazione e/o il mio partner, sentirmi inadeguato/a, ecc.)

” Io sono disposto/a a perdonare…. ( me stesso, i miei genitori, il mio partner, ecc.)

Ripetevi queste affermazioni davanti ad uno specchio per parecchie volte e notate come vi sentite. Siate pazienti e gentili con voi stessi mentre vi cimentate in questa nuova avventura: potrebbe volerci un po’ di tempo ma i risultati che otterrete vi ricompenseranno degli sforzi compiuti!

Alla vostra liberà e al vostro meraviglioso futuro!

Fonte:http://louisehayitalia.wordpress.com/2010/05/06/271/


Illuminazione - Chogyam Trungpa



Un improvviso lampo di illuminazione non ha bisogno di preparazione, non richiede un sistema educativo. È natura innata, che non dipende affatto da alcun corso di formazione. L'intero concetto di aver bisogno di una formazione è un approccio molto debole, perché implica che non possiamo avere in noi il potenziale e che, pertanto, dobbiamo renderci migliori di quel che siamo: dobbiamo cercare di competere coi maestri o con gli eroi.

Così cerchiamo di imitarli, credendo che, alla fine, con qualche cambio di marcia del processo psicologico, potremmo riuscire a diventare loro. Anche se in realtà non siamo loro, crediamo di poterlo diventare solamente imitando, facendo finta, raccontandoci costantemente che siamo ciò che non siamo.

Ma quando si verifica questo improvviso lampo di illuminazione, quest'ipocrisia non esiste. Non dovete fingere di essere qualcosa. siete qualcosa. Avete alcune tendenze già presenti in voi, in ogni caso. È solo questione di metterle in luce.

Fonte:http://www.meditare.net/drupal/illuminazione-di-chogyam-trungpa

Come ci si comporta con i rumori?



Una volta un allievo del centro Zen di Cambridge disse a Dae Soen Sa Nim: “Mentre medito – mentre pratico la meditazione – mi sento spesso disturbato dai rumori. Cosa posso fare?”DSSN disse: “Che colore ha questa coperta?”
“Blu.”
“È piacevole o fastidiosa?”
“Piacevole.”
“Chi la fa piacevole?”
L’allievo scosse le spalle.
DSSN disse: “Tu la fai così. Fastidiosa o piacevole sono fatti dal tuo pensiero. Pensi che qualcosa sia fastidioso ed allora è fastidioso. Pensi che sia piacevole ed allora è piacevole. Fastidioso non è proprio fastidioso, piacevole non è proprio piacevole. Il vero silenzio non è né piacevole né fastidioso. Se senti i rumori con la mete chiara, senza alcuna proiezione, allora non sono più rumori, allora, è solo quello che è. Piacevole e fastidioso sono opposti. L’assoluto è solo semplicemente così.”
Per qualche attimo regnò il silenzio. Quindi DSSN chiese: “Qual’è l’opposto di blu?”
L’allievo rispose: “Non lo so.”
DSSN disse: “Blu è blu, bianco è bianco. Questa è la verità.”

Seung Sahn sunim

Fonte:bodhidharma.info

Grazia Brocchi, "Preziosità coscienziale"

La prima pietra d’inciampo in cui mi imbatto, meditando un commento alla collezione “Preziosità coscienziale”, è la definizione del tipo di opere d’arte che la compongono. L’etichetta, insomma, da usare per iniziare a descrivere queste opere. Di “quadri” non si tratta. Di “statue” nemmeno. Definirli “gioielli” mi pare inappropriato; e il termine “bassorilievi” mi sembra altrettanto fuorviante, o di certo poco significativo.

Già con la collezione “Immanenza grafica” (2008), mia madre, Grazia Brocchi, presentava una forma di elaborato artistico difficilmente inquadrabile in un filone definito, che univa la fotografia, l’elaborazione digitale, il collage con diversi materiali; per il quale ho coniato il termine “digitart multimaterica”. Un’originalità espressiva che veniva confermata con i quadri della collezione “Squarciando il velo” (2009), in cui al dipinto acrilico si aggiungeva il collage tridimensionale.

Ma credo che “Preziosità cosicenziale” valichi una soglia ulteriore in questa esplorazione di nuove forme di espressione artistica. Semplificando molto, possiamo dire che si tratta di statuette di terracotta, dipinte e decorate con gemme sintetiche e mosaici, ed applicate a mo’ di bassorilievo su lastre di plexiglas, a loro volta fissate su piattaforme laccate bianche ed incorniciate da più o meno complesse lavorazioni e decorazioni in vetro colorato. Essendone autrice mia madre, ed avendo io perciò avuto la fortuna di assistere personalmente alla maggior parte delle fasi di creazione delle opere, posso affermare che il lavoro che porta alla nascita di ciascun elaborato è certosino. La minuzia necessaria, impressionante. Un lavoro del quale sicuramente ci si può rendere conto soltanto apprezzando queste opere nei dettagli, con la pazienza e la devozione che si potrebbe dedicare all’esame di un diamante raro.

Ma il problema relativo alla “definizione”, risulta secondario rispetto all’affrontare la collezione “Preziosità coscienziale” sul piano concettuale, del suo significato. L’ostacolo maggiore nell’interpretazione simbolica, è che l’opera di Grazia Brocchi si presenta sempre come carica di simboli, ma di simboli che necessitano un tipo di esegesi diversa da quella comunemente applicata. Cerco di spiegarmi meglio: nel mio lavoro di studioso di simbologia, sono abituato ad indagare “cosa vogliono dire” le immagini, qual’è il loro significato alla luce di un’interpretazione razionale. Ogni simbolo “spiega” qualcosa alla nostra mente, e il mio compito è quello di capire cosa. Tuttavia vi sono dei casi, e “Preziosità coscienziale” è uno di questi, in cui il ruolo primario del simbolo non è quello di insegnare qualcosa, bensì quello di far provare una certa emozione, un sentimento particolare. Cosa significa? Che i diversi simboli utilizzati da Grazia Brocchi nei suoi elaborati, non sono scelti tanto per la loro semantica, la loro interpretazione non passa attraverso la preparazione culturale o il ragionamento; bensì, sono scelti poiché esprimono delle sensazioni. Per capirle, non serve creare collegamenti concettuali, immaginare rimandi storici o mitologici, citazioni o linguaggi codificati; poiché il vero linguaggio di queste opere vuole comunicare alla nostra sensibilità, potremmo dire alla nostra anima.

Certo, molti dei simboli utilizzati sono archetipi celebri e quasi onnipresenti: sole e luna, albero, unicorno, stella, rosa, uovo; ma l’impiego di un così vasto e “dotto” apparato simbolico risulta in realtà subordinato all’ispirazione dell’autrice, e non andrebbe letto per quello che la tradizione pretenderebbe di insegnare. I veri simboli in questo caso sono i colori, la materia, la luce; i gesti, gli sguardi e le smorfie delle diverse creature… Sono simboli che parlano al sentimento. È a causa loro se non possiamo impedirci di rimanere incantati dal mutevole rifrangersi di riflessi iridati prodotto dalle gemme, ed essere trasportati da questi paesaggi onirici, questi personaggi che sempre ci osservano con i loro occhi dai mille bagliori.

La particolare tecnica impiegata, è stata elaborata dall’autrice per ottenere un effetto cromatico insperabile con i metodi di colorazione tradizionali (tempera, olio, acquarello…), considerati dall’artista come “colori morti” in rapporto al risultato permesso dall’unione di gemme sintetiche, vetri, polveri e colle brillanti multicolori; che attraverso la luce sembrano elevare il colore alla sua essenza pura, trasfigurarlo in un distillato vivace e radioso, pulsante, quasi “vivente”.

L’aspetto finale, iridato e sgargiante, sembra evocare la vernice liquida, lo smalto fresco. Chi osserva si sente trasportato in un racconto delle “Mille e una notte”, al cospetto di tesori fiabeschi (l’aspetto favolistico, del resto, sembra volutamente evocato dall’intera collezione).

Parlando dello stile, notiamo uno stratificarsi di esperienze derivate da epoche e civiltà diverse. Troviamo contributi di matrice antica, con richiami all’arte precolombiana, aborigena, africana, thailandese e celtica; non mancano poi riferimenti alle maschere del Carnevale di Venezia e persino (lo avevamo già constatato in occasione del commento ad “Immanenza grafica”) alle vetrate gotiche; il tutto trasfigurato da un gusto contemporaneo e talvolta futuristico.

Nelle diverse opere, oltre all’inusuale unione di terracotta e gemme, notiamo la compresenza di figure umane, animali e soggetti tratti dal mondo vegetale o dal firmamento. Abbiamo così da un lato la ricerca di una consapevolezza in cui spirito e corpo non siano più disgiunti (dove la terracotta sta per la realtà fisica e le gemme per quella metafisica); e dall’altro la proposta di “ecosistemi della coscienza” in cui ogni organismo viene considerato parte di un tutto: uomo, animale, fiore o stella, ogni cosa è vista come cellula di un paradiso terrestre che è già intorno a noi e dentro di noi.

Importante il ruolo dato al femminile, che nelle composizioni sembra predominante: sia per quel che concerne il gusto d’insieme, sicuramente più vicino alla sensibilità femminile che non a quella maschile; sia per la maggioranza di soggetti femminili che si può riscontrare, soprattutto tra le figure umane. Tuttavia, il maschile non viene escluso o declassato, né si può dire che le opere veicolino messaggi “femministici”: è, invece, il lato femmineo dell’animo ad essere chiamato in causa, come sede privilegiata del sentimento creativo e affettivo, vettore dell’evoluzione personale.

Grazia Brocchi, immagina queste “tavole” come un percorso della coscienza (privo di un ordine di successione prestabilito; ma adattantesi alla progressione individuale), in cui ogni opera rappresenta un particolare sentimento (od un’associazione di sentimenti) che condurrebbe, secondo l’autrice, all’ottenimento di una rinnovata “preziosità”, o ricchezza interiore. I bassorilievi sarebbero in qualche modo la rappresentazione visiva della coscienza futura, dell’umanità di domani.

Una coscienza che Grazia Brocchi immagina fatta di semplicità, autostima, felicità, edonismo. Ma con edonismo non si intenda, qui, soltanto la ricerca del piacere sensibile immediato, bensì anelito ad un “piacere” di significato più elevato, interiore, infantile, espressione di serenità e appagamento psicofisico.

Non si tratta però della ricerca di una stereotipata “ingenuità”, né di un’esaltazione del pensiero ottimista ad oltranza; bensì forse di una raggiunta innocenza “lucida” nel confrontarsi al mondo nelle sue manifestazioni molteplici, espressione di una diversa maturità che predilige la coltivazione della felicità propria e altrui.

Questa la decodifica, se così si può dire, basata su interpretazioni espresse direttamente dall’artista:

I sentimenti concretizzati dalle singole opere potrebbero tradursi con l’affetto protettivo e materno (l’ancora); la percezione compiaciuta della propria unicità (il cigno); la capacità di apprezzare i doni (il sole); la consapevolezza che l’universo danza e ci culla nel suo moto, trasformandosi insieme a noi (la luna); la fortuna, la gioia dell’abbondanza (l’unicorno); il godimento della felicità (la paradisea); la rinascita costante, il mutamento, il rinnovamento (il pesce); l’attenzione amorevole, l’apprensione, la vigilanza (il gallo); la semplicità della mente, il pensiero infantile (il ragno); la tenerezza (la rosa); la leggerezza generata dalla stabilità (il pulcino).

In questo percorso è interessante sottolineare la visione rinnovata e antitetica di molti sentimenti rispetto al retaggio passato e ad un modus vivendi più incentrato sulla celebrazione del contegno e dell’automortificazione. La “coscienza nuova” proposta da Grazia Brocchi è fatta di esseri umani che non hanno paura di essere sereni, liberi da dogmi e scuole di pensiero, e soprattutto capaci di instaurare armonie e rapporti che vadano oltre il giudizio etico sociale. Armonie, modi di costruire il proprio esistere, basati appunto sulla coscienza del singolo. A questo vogliono alludere i tasselli di mosaico a specchio presenti in alcune tavole della collezione, come a dire che è l’individuo a dover considerare sé stesso e trarre da sé le conclusioni riguardanti il proprio agire. Non si tratta di velleità anarchica, ma della necessità di ricominciare a capire (con sé stessi) dove si è diretti nella vita.