3/7 testa e coda

Quello che sta succedendo al nostro corpo materiale ha bisogno di essere ben identificato…
Si, va bene alzarsi la mattina, fare esercizi di yoga, i 5 riti tibetani o avere come maestri il cane o il gatto (il mio primo insegnante fu un rottweiler)
Certo, lo faccio da due settimane e adesso non sono più stanco.
Va bene che non mi trascino più di ginocchia alla colazione, e che questa non si presenta più con “latte di mucca”, bocconcini confezionati chissà dove e da chi in un sacchetto colorato con foto di campagna, lo zucchero non ha il sopravento sul mio cervello affogandolo nella glassa, ma…
Tagliando la testa e la coda di alcuni comportamenti usuali a qualcuno prepariamo il nostro corpo ad accettare il cambiamento in atto con più consapevolezza!!

Testa:
tagliare la sigaretta se esiste.
Si la prima, da ex conosco che esiste una prima sigaretta nella giornata del tabagista, e quindi quella lo ZAC taglio… e dopo il taglio dare almeno un’ora e mezzo prima di ricadere nell’incantesimo.
Se il tubicino pieno di tabacco e eccipienti saporiti non esiste meglio cosi si può procedere sempre che esista, con il caffè… ok faccio colazione con il the, almeno un caffè, si, proprio quello, stesso concetto della sigaretta, lo si molla e se proprio serve lo si assume dopo.

Coda:
siamo quasi al giro di boa.
Per la testa nessun problema, cosa vuoi che sia, tutti ci riescono se hanno un po’ di personalità!
Ma per assicurarsi un riposo “del giusto” il ZAC si presenta alla sera…, alla coda.
Eliminare qualsiasi alimento che presenti attività neuronali (carne e pesce) e accompagnare senza una goccia di alcool.
Alla sera… carne pesce e alcool… ZAC!!
Per sette giorni ancora… stiamo per arrivare alla discesaaaaaa!!

La pratica del ricordo di sé


NOTA DELL'AMMINISTRATORE DI VERITAS:Questo esercizio ha come scopo quello di iniziare a "osservarci" attentamente e "ricordarci" chi siamo...la vera trasmutazione interiore parte da qui.Ecco perchè ho attivato su questo post i COMMENTI in modo che possiate discutere e fare osservazioni sull'esperienze personali riguardo questa tecnica.L'esercizio verrà inserito come link a destra del blog per accedervi più facilmente.Nei commenti sono accettate qualsiasi osservazioni,sensazioni,consigli e "risultati inaspettati" al quale questa tecnica può portare.(Verranno cancellati commenti superflui,offensivi o che semplicemente non hanno a che fare con l'oggetto di studio).Grazie.

ESERCIZIO:Si tratta di ricordarsi di sé più a lungo che si può durante lo svolgimento di un'azione prolungata nel tempo. Un esercizio classico è il ricordo di sé mentre
-- laviamo i piatti;
ma le varianti possono essere molte:
-- spazziamo il pavimento,
-- scendiamo le scale,
-- ci laviamo i denti,
-- ci facciamo la barba,
-- ci depiliamo,
-- mangiamo un panino,
-- facciamo la doccia,
oppure nel tragitto fra l’automobile parcheggiata e il posto di lavoro, o fra casa nostra e la fermata dell’autobus... Ogni attività che abbia una durata non eccessiva può essere utilizzata come esercizio.
Si tratta di fermare il lavorìo della mente, il "dialogo interno" della mente, tutte le volte che ci ricordiamo, e sforzarci poi di rimanere presenti più a lungo possibile prima di ricadere nell'identificazione con i pensieri e le immagini mentali. Dobbiamo concentrarci su quello che stiamo facendo rimanendo coscienti di noi, senza vagare con il pensiero. Non dobbiamo lasciare che il corpo fisico esegua il lavoro da solo meccanicamente, dobbiamo accompagnare la sua attività con la nostra presenza qui-e-ora. Il corpo fisico sa lavare benissimo i piatti anche se intanto la mente pensa all'ultimo film che ha visto, ma lo scopo dell'esercizio è che TUTTO L'ESSERE lavi i piatti, non solo un corpo; dobbiamo rimanere pienamente coscienti di ciò che facciamo come se il corpo senza il nostro aiuto cosciente non potesse farlo. Mentre il corpo lava i piatti la mente deve essere lì con lui, e non vagare per associazioni di pensiero come è abituata a fare.
Per esempio, ricordiamoci di noi mentre ci spogliamo e ci svegliamo. Che sia la mattina prima di andare al lavoro, la sera quando torniamo, poco prima di andare a letto nell'indossare il piagiama, quando ci troviamo nello spogliatoio della palestra o della piscina... dobbiamo restare "presenti a noi stessi" metnre ci infiliamo o ci togliamo i vestiti, cioè completamente presenti a quello che stiamo facendo, senza farci distrarre da altri pensieri o da persone che richiamano la nostra attenzione. All'inzio può essere utile ripetersi: "Mi sto infilando i pantaloni... e sono presente... mi sto ricordando di me... non sono distratto da altro...".
Negli istanti in cui riusciamo a essere presenti sappiamo già che a breve ripiomberemo nel sonno. Ogni momento di presenza è una conquista. Mentre laviamo i piatti o ci spogliamo a tratti siamo presenti e a tratti ci identifichiamo con il contenuto della mente sognando a occhi aperti, immaginando situazioni e dialoghi assortiti... ma per ora siamo schiavi e non possiamo evitarlo, non abbiamo sufficiente Volontà per evitarlo, possiamo solo sforzarci di "tornare in noi" appena ce ne ricordiamo e prolungare questo stato di presenza finché ci è possibile. Noteremo presto che questi esercizi sono quindi un continuo andare e venire da uno stato di presenza a uno di assenza. Una continua lotta per rimanere desti. E la lotta contro la meccanicità è ciò che ci serve per provocare la « cottura alchemica » delle sostanze che vanno a formare i nostri "corpi sottili".
Nei primi tempi sarebbe bene non mischiare i differenti esercizi: è meglio concentrarsi per un’intera settimana su un unico esercizio e poi cambiare. Sette giorni è il periodo ideale. Dopo sette settimane si conclude un ciclo e se ne può cominciare uno successivo, mantenendo gli stessi esercizi oppure sostituendone qualcuno.

L'attenzione divisa. Praticando gli esercizi ci si accorge che il ricordo di sé implica il verificarsi di un particolare fenomeno detto « attenzione divisa », cioè la capacità di prestare attenzione a ciò che si sta facendo e contemporaneamente a se stessi. L'attenzione prende così due direzioni: una verso l'esterno e una verso l'interno. Nel corso della vita normale invece l'attenzione è monodirezionale, cioè la coscienza è interamente persa nell'evento esterno. Se una persona ci sta parlando noi siamo concentrati su di lei, la nostra coscienza è interamente PERSA in lei, annullata nell'avvenimento esterno. Quando ci si sforza di rimanere presenti ci si accorge che è possibile parlare con una persona prestando attenzione a quanto dice, e contemporaneamente ricordarsi di sé, cioè essere presenti a se stessi. Si può cioè tenere una parte dell'attenzione sempre rivolta verso l'interno.
Questo sforzo fa sì che dentro di noi si strutturi il corpo dell'anima - e che la nostra coscienza divenga perciò immortale - e che il nostro centro di consapevolezza si sposti in esso. Accade che noi diveniamo progressivamente l'entità che osserva l’apparato psicofisico al lavoro, e non si identifica più interamente con esso, non si annulla più in esso. Questa entità è la coscienza extracerebrale, ciò che in oriente viene definito « il testimone », l'osservatore imparziale. Il nostro disidentificarci dalla macchina biologica, il rimanere presenti come osservatori mentre il corpo e la mente fanno qualcosa, fa sì che creiamo nuovi "corpi sottili" da abitare e simultaneamente ci identifichiamo con essi, cioè spostiamo la nostra coscienza in essi. I due processi vanno di pari passo.

Se mentre camminiamo per strada ci proponiamo fermamente di rimanere « svegli » fino all’incrocio successivo, ma dopo qualche minuto sorprendiamo la nostra mente a fantasticare sopra gli argomenti più svariati, allora ancora una volta ci siamo ‘dimenticati di noi’... ci siamo ‘addormentati’.
Non abbiamo il controllo della nostra mente! Non abbiamo il controllo delle nostre emozioni! Non viviamo la vita che scegliamo noi, ma solo quella della nostra macchina biologica.
A questo punto l’assenza di libero arbitrio diviene per noi un fatto indubitabile. Non dobbiamo affidarci alle teorie di qualche filosofo per decidere se l’uomo possiede oppure no una libera Volontà. Lo possiamo sperimentare sulla nostra pelle!
Ma fino a quando non vengono attuate nella pratica, queste rimangono solo parole prive di utilità!
Questo sito non è un ricettacolo di teorie esoteriche, ma un costante richiamo a lavorare su di sé!

Questa seconda categoria di esercizi è molto differente dalla precedente: non si tratta infatti di ricordarsi di sé per un periodo prolungato (mentre laviamo i piatti o mentre camminiamo per strada), bensì di ricordarsi di sé in corrispondenza di azioni distribuite lungo la giornata, e che possono anche giungere all'improvviso (non possiamo infatti sapere quando squillerà il telefono o quando qualcuno ci rivolgerà la parola).
Una mattina ci alziamo e prendiamo una decisione risoluta: "Oggi, mentre sono in ufficio, voglio ricordarmi di me tutte le volte che giro la maniglia di una porta per aprirla". Questo significa che ogni volta in cui stiamo aprendo una porta dobbiamo essere presenti e pensare: "Ecco, sono presente, sono cosciente di stare aprendo questa porta".
Tornati a casa, oppure alla sera prima di andare a dormire, analizziamo la giornata e verifichiamo quante volte siamo riusciti a ricordarci di noi aprendo una porta. Se aprendo una porta non ci siamo mai fermati a pensare: "Ecco, ora ci sono, sono presente, sto aprendo la porta", allora non ci siamo mai ricordati di noi. Abbiamo aperto le porte nell'inconsapevolezza più totale, cioè nello stesso stato di sonno in cui abbiamo compiuto tutte le altre azioni nel corso della giornata.
Aprire le porte con consapevolezza rappresenta un esercizio efficace perché ci si costringe a restare presenti in un momento in cui è difficile esserlo, in quanto stiamo passando da un ambiente a un altro. Questo è solo un esempio e le varianti adottabili sono molteplici. Possiamo fare sforzi per ricordarci di noi tutte le volte che:
-- apriamo la portiera di un'auto per salire o scendere,
-- saliamo o scendiamo da un autobus,
-- ci alziamo da una sedia o ci sediamo,
-- squilla un telefono (sia nostro che di altri),
-- portiamo il bicchiere alla bocca per bere qualcosa,
-- azioniamo la freccia alla guida dell'auto,
...e così via.
Anche per questa pratica vale la regola dei sette giorni e delle sette settimane. I due diversi generi di esercizi possono essere alternati di settimana in settimana, in modo che dopo quattordici settimane abbiamo completato un ciclo di sette esercizi diversi per ognuno dei due tipi. Le varianti possiamo anche inventarle noi: scegliamo una qualunque azione e ci imponiamo di ricordarci di noi tutte le volte che la svolgiamo, tenendo conto del fatto che l'esercizio serve solo fino a quando ci costringe a compiere uno sforzo; quando ci abituiamo perde la sua efficacia e si deve passare a un altro.

All'inizio probabilmente non ci ricorderemo mai, o addirittura non ci ricorderemo nemmeno di analizzare la giornata alla sera per verificare se qualche volta siamo stati presenti durante il giorno. Ma se tutte le mattine per giorni e giorni ci riproponiamo di farlo, la situazione presto migliorerà. E' importante ribadire che un uomo risvegliato vive permanentemente in quello stato di ricordo di sé che noi fatichiamo a riprodurre solo per qualche istante nella nostra giornata, mentre stiamo mangiando o nel momento in cui squilla un telefono. Essere svegli significa, tra le altre cose, anche questo: ricordarsi continuamente di essere presenti.
Non facciamo esercizi per ottenere risultati, i risultati non contano nulla, il risveglio non è altro che un costante TENDERE VERSO il risveglio, pertanto il nostro obiettivo è restare sempre in uno stato di sforzo verso il risveglio, e non raggiungere il traguardo di ricordarci di noi, né un qualunque altro traguardo. La trasmutazione alchemica si produce a causa dello sforzo, non del risultato. Il lavoro alchemico è un salto nel vuoto, è l'accettazione della propria eternità. Ma a questo stadio è difficile comprendere tale affermazione.

Fonte:Officina Alkemica

Pollice verde

L’ ayahuasca è una pianta con proprietà allucinogene originaria del sud America. Illegale in gran parte del resto del mondo, nei paesi amazzonici è invece considerata parte integrante della cultura india e addirittura protetta dalle leggi sulla libertà di religione individuale. Chiamata anche la pianta dei morti o pianta delle anime viene consumata attraverso degli infusi preparati da Sciamani in cerimonie religiose in cui i partecipanti effettuano un “viaggio spirituale”, entrano infatti in quello che viene chiamato uno “stato alterato di coscienza” in cui non è raro avere allucinazioni di vario genere ed entrare in “contatto” con esseri spirituali o comunque appartenenti ad una dimensione diversa dalla nostra.

La ragione per la quale questa pianta provoca tali visioni è abbastanza nota: contiene infatti un’ alta concentrazione di dimetiltriptamina (più comunemente DMT) e cioè la più potente sostanza psicoattiva oggi conosciuta. La DMT ha una struttura chimica del tutto simile alla psilocibina (un composto alcaloide allucinogeno estraibile da alcuni funghi del genere Psilocybe e Stropharia) e al più potente neurotrasmettitore del cervello umano: la serotonina. La serotonina, insieme ad altre sostanze ‘particolari’ (norepinefrina, istamina e melatonina) che contribuiscono attraverso dei processi biochimici alla trasformazione della serotonina in triptamina, precursore chimico della DMT sono isolate nella ghiandola pineale, nel sangue, nei tessuti cerebrali e nel fluido cerebrospinale in cui è immerso il cervello quindi già presenti (anche se in quantità minima) nel nostro corpo. La ghiandola pineale viene spesso associata al cosiddetto “terzo occhio”, al chakra della corona, ambiente della consapevolezza interiore e sede fisica della coscienza, in connessione diretta con il Divino.

Gli enzimi che consentono la trasformazione della serotonina sono regolati dalla luce solare attraverso la retina, la secrezione di melatonina quindi è principalmente notturna ed ha il suo apice durante la fase di sonno REM. A quanto trovato in rete sembrerebbe che una pratica comune (in teoria) per massimizzare l’effetto naturale di stimolazione della ghiandola al buio sia quello di rimanere per 3 giorni in un ambiente privo di illuminazione (dark room) ma fin’ ora non ho trovato riferimenti di esperienze in prima persona.

La pineale può essere stimolata anche attraverso stati di profonda meditazione. La pratica orientale più famosa in occidente è sicuramente quella del Kundalini yoga (yoga della consapevolezza). La Kundalini è una potentissima forma di energia avvolta a spirale, come un serpente alla base della spina dorsale a livello sottile, ed è considerata come la forza più poderosa della vita. Lo scopo del kundalini yoga è quello di risvegliare questa incredibile forma di energia farla risalire lungo tutta la spina dorsale, purificando ed espandendo al suo transitare i 7 chakra fino a quello della corona, posto al di sopra del cranio. A questo punto l’ Illuminazione, la connessione con l’ universo, con Dio e con tutto il creato è completata.





A cavallo degli anni 90 lo psichiatra Rick Strassman comincia a sperimentare la DMT sull’uomo, con lo scopo di scoprire se questa sostanza potesse avere eventuali effetti terapeutici. Tutti i soggetti (volontari) a cui è stata iniettata per via intramuscolare (0,2 mg per kilo) la DMT hanno riferito di incredibili incontri con esseri soprannaturali, non fisici. Leggendo le diverse testimonianze dei pazienti salta subito all’occhio che tutti i racconti, i “posti visitati” e gli esseri incontrati sono tutti molto simili tra loro escludendo quindi una reazione della DMT col singolo subconscio di ogni paziente ma come se fossero stati messi in condizione di poter “vedere” un universo comune a tutti gli uomini. Lo stesso Hancock nel suo libro “Supernatural” (“Sciamani” in Italia) afferma di aver fumato DMT e raccontando la propria esperienza, di aver incontrato delle intelligenze che hanno lasciato in lui una qualche forma di conoscenza che però non riesce a decifrare per via del limitato potere dei 5 sensi:

“In quel momento, e per forse un minuto o due in tempo reale, fui introdotto – nella misura limitata in cui ero in grado di afferrarlo – a un vero e proprio oltremondo, organizzato in maniera completamente differente dal nostro, dove le leggi di fisica non trovano applicazione, dove ci sono più di tre dimensioni, e dove è stato riposto un numero impressionante di informazioni.”

“Tuttavia ero uscito dall’ esperienza con la singolare sensazione che fossero state trasferite su di me enormi quantità di dati. E’ una cosa strana a dirsi, ma tutti questi nuovi dati rimasero profondamente inseriti nella mia coscienza per molto tempo dopo – esattamente come ci potremmo rendere conto della presenza di un grosso file nuovo improvvisamente scaricato sull’ hardisk del nostro computer. E proprio come è possibile scaricare un file ma è impossibile aprirlo a meno che non sia montato il software adatto.”

  • - Graham Hancock “Sciamani”.

Nello stesso libro l’ autore fa un parallelo molto interessante tra le esperienze derivate dall’assunzione di ayahuasca, racconti di miti di iniziazioni sciamaniche e anche le testimonianze di persone vittime di abduction analizzate da John Mack, professore di psichiatria ad Harvard e un pool di altri ricercatori. Incredibilmente in una linea temporale di migliaia di anni (dai miti di iniziazione sciamaniche alle più recenti abduction) i racconti e le testimonianze raccolte sono tutti simili e molti portano anche gli stessi medesimi particolari. Inutile a dirlo, i dati raccolti da professor Strassman descritti nel suo libro “DMT: The Spirit Molecule” sono quasi identici a quelli delle persone che riferivano di essere state rapite dagli alieni.

Altro paragone che facciamo noi, è quello con le testimonianze raccolte nel libro di William Buhlman nel libro “Come uscire fuori dal corpo”. Il viaggio astrale, volontario o meno (OBE, Out of Body Experience e NDE, Near Death Experience, rispettivamente: esperienze fuori dal corpo e esperienze vicine alla morte) viene descritto nello stesso modo dei consumatori di ayahuasca, un sogno consapevole, incredibilmente vivido che porta alla riscoperta della propria spiritualità attraverso un universo diverso dal nostro, invisibile ai nostri occhi ma che nel profondo di noi stessi sappiamo esistere.

La capacità intrinseca del nostro cervello di sintonizzarsi su diversi canali viene quindi tramandata a noi da religioni quali lo sciamanesimo e il buddismo, la scienza può spiegarci quali reazioni chimiche avvengono nel nostro organismo per portarci… dove? In una semplice allucinazione? In un’ altra dimensione? Cos’è quindi la coscienza? Cosa cè al di là dei cinque sensi? Cosa cè che noi non vediamo?

TU CREI LA TUA REALTA'?


Tu crei la tua realtà”. Questa breve e rivoluzionaria frase, attribuita al fisico quantistico Fred Alan Wolf, negli anni settanta, fu bandiera di ogni sorta di culto e metodo new age per tutto il ventennio seguente. Poi, dato il ritardo delle mestruazioni acquariane, i new agers, ritiratisi sempre più nel movimento next age, smisero di esultare quando si trovarono di fronte al terrore di una gravidanza inattesa, che prontamente avvenne: l’11 settembre 2001. Eccovela la nuova era: la solita miseria umana.
Ma se l’uomo crea la sua vita, perché questa fa schifo?
Dalla caduta delle torri gemelle in poi, guarda caso - come mi diverto spesso a sottolineare, perfino i maestri di rei-ki scrivono sui volantini: “noi non abbiamo niente a che vedere col new age”. Alla “nuova era“, era di armonia, benessere pace e amore… non ci crede più nessuno. E così sia. Tuttavia, buttare il bambino con l’acqua sporca è qualcosa che mi dà sempre i brividi…
“Tu crei la tua realtà”
Sì, ma fino a che punto?
Se bevi cinque litri di birra in una sera è chiaro che crei la tua realtà di ubriaco.
Se mangi più calorie di quelle che consumi è chiaro che crei la tua realtà fisica sovrappeso.
Poi?
La psicologia? OK, se l’atteggiamento è positivo verso la vita attiri situazioni più positive, così dicono, tuttavia la stessa psicologia umanista insegna che non si può neanche reprimere tutto, ma è opportuno esprimersi, sfogarsi, fare catarsi, esprimere la propria negatività.
E allora? Che confusione…
Bene iniziamo da qui, dalla confusione. Nella confusione (chi scrive è un’autorità a livello mondiale sull’argomento), dopo un’iniziale paralisi, si è soliti ricercare immediatamente indizi e dettagli presumibilmente attendibili che giustifichino lo stato in cui ci si trova. Ci si aggrappa a ciò e spesso questo porta a conclusioni affrettate.
Ecco che, accettando incondizionatamente la confusione e tributandole un certo rispetto, un professionista della confusione non solo riesce a darle forma, modellandola con le sue conclusioni affrettate, ma le porta così all’estremo da generare ulteriore confusione e nuove paralisi, in cui ricercare nuovi indizi e creare nuove forme, così da ottenere una confusione esponenziale. Cosmica.
Bene, se il professionista della confusione sopravvive a probabili aggressioni del partner, licenziamenti o ad altre catastrofi, il risultato sarà una paralisi totale, mistica, un’assenza di qualsiasi punto di riferimento, uno stato non ordinario dell’essere in cui soggetto e oggetto scompaiono.
Non a caso i koan zen, gli shock gurdjieffiani e certe pratiche inebrianti tantriche usano la confusione sensoriale, emotiva e mentale per raggiungere questo stato (è una via pericolosa, niente da ridire in proposito; ma “ciò che conta costa sempre un po’ di più” diceva il poeta).
Bene, che ce ne facciamo di essere giunti a ciò?
E’ da qui, e solo da qui, che si comprende ciò che prima sembrava un semplice aforisma: “Tu crei la tua realtà”.
Ma tu chi? Chi crea che cosa? E se due persone creano due realtà diverse e interagiscono?
Calma… anzi… karma
Innanzitutto bisognerebbe deipnotizzarsi dall’idea di essere un (1) io.
Chi ha familiarità con qualche testo che tratta di esoterismo o anche di studi religiosi comparati avrà sicuramente presente l’immagine di un quadrato sul cui lato superiore è appoggiata la base di un triangolo. Il quadrato rappresenta i primi quattro livelli di coscienza dell’essere: fisico, emotivo, mentale (inteso come somma di automatismi) e Mentale (nel senso alto del termine). Il triangolo rappresenta invece i tre stati più sottili o spirituali dell’essere: il quinto, sesto e settimo chakra, nella tradizione hindù, o se preferite lo spirito, lo spirituale… la coscienza. Non perdiamoci nelle parole, prendiamo solo nota di due aspetti fondamentali dell’essere, così rappresentato: uno più legato alle contingenze, alla materia e quindi, per forza di cose, identificato col corpo e in ultima analisi egocentrico; ed uno che, a seconda della vostra cultura o sensibilità, potete chiamare come volete: Se, vero Sé, Divino, Essenza, Atman, Coscienza pura… ecc..
Un personaggio molto dolce, e a quanto si dice molto saggio (Ramana Maharshi), invitava i suoi discepoli a porsi questa domanda: “Chi sei tu?”. Negli anni a seguire un certo Charles Berner creò da questa domanda dei veri e propri seminari, detti “intensivi di illuminazione“, che i sannyasin di Osho ribatezzarono “satori“. Durante questi gruppi le persone passano giorni interi a farsi questa semplice domanda e a rispondersi quasi ininterrottamente. Inutile aggiungere che si tratta di una sorta di koan e che, come tutti i koan, lascia alla fine confusi, spiazzati e quindi in uno stato in cui “Il quadrato”, ovvero “il piccolo io”, si perde o, se si preferisce, si espande nel “triangolo”… insomma la frammentazione del sé viene cancellata. Non c’è bisogno di frequentare un intensivo di illuminazione, per quanto, ben inteso, io lo consiglio a chi non ne abbia fatto esperienza, per raggiungere questo stato; basta vivere fino in fondo la propria quotidianità e la propria “idiozia”, senza limiti di tempo, accettando tutto quello che può accadere, compreso il fatto che è inaccettabile, compresi i pianti, le disperazioni, le coliche, la persona amata che prende l’immagine che hai di te e la butta nella spazzatura… tutto!
In questa confusione e nella sua paralisi ecco che ti si rivela il gran segreto:
IL TUO ESSERE FRAMMENTATO STA CERCANDO L’INTEGRITA’ (a prescindere da quanto il tuo “quadrato” ritiene di essere integro) e per raggiungerla crea esperienze che potrebbero essere non proprio in testa alla classifica dei tuoi desideri egoici.
Ecco la risposta all’originale e sagace cretino che a Fred Alan Wolf chiederebbe: “Se ognuno crea la sua realtà, perché non tutti sono miliardari?“.
Approfondiamo questo postulato degli esseri frammentati: il corpo vuole una cosa, ma le emozioni desidererebbero altro, mentre i pensieri si sono formati su altri bisogni ancora (cfr. “La carrozza di Gurdjieff” in Fabrizio Ponzetta “La lotta dei maghi”, ebook 2007) e tuttavia pretendiamo di agire coerentemente come fossimo UNO. Mi sembra ovvio che il potere creativo è una lotta intestina.
Un esempio meno generico: la mente è formata su status symbol o valori comunemente accettati, come la ricchezza o il benessere economico, e li insegue. Tuttavia le emozioni di un individuo possono essere modellate su schemi che rifiutano il denaro (l’eroe romantico che non ha successo, le idee ereditate da una famiglia che a stento aveva di che nutrirsi, il disprezzo religioso o ideologico per il denaro) e tutto questo mentre il corpo brama solo di scaricare la sua sessualità, eco di un antico istinto di riproduzione. In tutto ciò, io non vedo una persona che crea la propria realtà: vedo tre somari legati insieme che vanno in tre direzioni opposte.
Se per qualche si voglia ragione colui che è deputato a guidare i tre somari si sveglia (e il risveglio potrebbe essere dettato dalla confusione della situazione), ecco che si risveglia “Il triangolo”. A questo punto non si è più vittime. Non è più colpa del sistema, degli altri o del partner, perché col “triangolo” (scusate, ma mi piace chiamarlo così, per non infognarmi nelle parole abusate in tal senso) si riscopre la magia, il potere creativo, l’essere responsabili della propria vita.
Così il problema non è tanto com’è possibile che io possa creare la mia vita, ma piuttosto: “Come è possibile che non mi sia accorto finora di essere il creatore responsabile della mia vita? Che quegli atteggiamenti, quell’indulgere in determinate emozioni e in quei pensieri non hanno fatto altro che creare quelle situazioni che hanno dato vita a quei fatti di cui la vita che vivo in questo momento è conseguenza?”.
Lascio ai lettori di Re Nudo il piacere di documentarsi sui vari esperimenti condotti in ambiti anche scientifici a riguardo di come atteggiamenti o altre risorse in loro potere possano influenzare la realtà.
Il più bello, il più poetico che qui vorrei ricordare è quello del dottor Masaru Emoto, scienziato e ricercatore giapponese, che ha messo a punto una tecnica per esaminare al microscopio e fotografare i cristalli che si formano durante il congelamento di diversi tipi d’acqua. Emoto ha differenziato le acque esponendole a parole scritte, musica di Mozart, discorsi di Hitler, scritte di minacce o d’amore. Ha fotografato i diversi tipi di acque così “trattate”, registrando risultati sorprendenti: i cristalli mutano radicalmente di struttura a seconda dei messaggi a cui sono esposti. Ad esempio constatava forme armoniose per la parola amore e per la musica di Mozart; strutture caotiche nelle acque sottoposte ad insulti e minacce. Il pensiero, l’atteggiamento cosciente ha mutato le forme dell’acqua… il nostro corpo dalla nascita alla vecchiaia è composto d’acqua per il 60-90%…
Ora, fino a dove può arrivare l’affermazione che TU CREI LA TUA REALTÀ?
Fino a dove vuoi, credo!

Di Fabrizio Ponzetta [http://www.fabrizioponzetta.it]

Fonte: l’articolo è uscito sull’ultimo numero della rivista Re Nudo http://www.renudo.it

Fonte:LAMENTEMENTE.COM

2/7 scurdammoce o passato

Qualcosa inizia a muoversi…
Almeno la colonna vertebrale ringrazia…
Una colonna flessibile priva di calcificazioni sedentarie ed alimentari ci rende sinuosi!!

Con la prima settimana di risveglio si prosegue…
La gioia apparirà più chiara… il cuore batte e si ossigena si ripulisce… quando passa trà i due ventricoli si purifica… diamogli tutto l’ossigeno che necessita…,
accarezziamo il gatto o il cane che sono i nostri maestri del risveglio… alcuni sono così bravi da far rabbrividire uno yogi… stirano anche la lingua!!

Dopo con la fronte perlata si passa a far colazione…

“scurdammoce o passato”

The…senza zucchero, frutta…, torta fatta in casa… il net è pieno di ricette deliziose e salutari… mettiamo in pratica le nostre doti di alta pasticceria o chiediamo alla moglie, alla vicina ad un amica … alla mamma di prepararcene una!!

E vaiiiiiii
Risveglio e colazione…
Ancora sette giorni!!

Alimentazione e crescita spirituale

Questo blog si è interessato per lungo tempo di alimentazione naturale e di nutrizione consapevole. Credo fermamente che la nutrizione possa essere il punto di partenza per accrescere la nostra spiritualità e aiutare l’essere ad evolvere nel cammino di consapevolezza. Molti considerano il cibo come necessario alle funzioni vitali del corpo, altri pur conoscendo a grandi linee la sua importanza, utilizzano il cibo per appagare desideri ed istinti repressi. Infine ci sono i cultori della buona cucina, che ignorano totalmente i principi nutritivi, prediligendo gusto e associazioni enogastronomiche. Quando mi capita di parlare di nutrizione, spesso mi trovo di fronte persone poco comprensive nei miei riguardi, le mie idee vengono di continuo discriminate. In genere vengo criticato per il mio regime alimentare, non sulla base di prove scientifiche o teorie ragionate, più che altro su leggende metropolitane o su classiche battute da bar.

Quello che ho sperimentato nel corso degli anni, è la perfetta armonia che il cibo e lo spirito possono raggiungere in un cammino evolutivo. Consigliando alle persone più aperte al dialogo dei piccoli cambiamenti nel loro regime alimentare, ho potuto verificare un cambiamento anche in modi e comportamenti. Generalmente si ritrova una maggiore tranquillità e una maggiore centratura. Il cibo diviene il veicolo per ritrovare il contatto con il corpo, spesso considerato esclusivamente come un insieme di cellule ed apparati.

La nutrizione consapevole può essere l’inizio per un cambiamento in positivo nelle persone, la scintilla che innesca una serie di processi mentali, capaci di riportare l’uomo a contatto con la sua parte più sottile. Per molti è impensabile credere di poter cambiare o guarire semplicemente cambiando il rapporto con il cibo, perché profondamente condizionati da una società che ha fatto del cibo e dei farmaci, le armi per distruggere la salute dell’uomo. Possiamo ritrovare la nostra armonia inseguendo uno stile di vita più salubre e consapevole, favorendo la nascita di sentimenti di rispetto verso ogni forma vivente, aiutando la Natura a ripristinare il contatto spirituale che la lega all’ambiente.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di fare un passo indietro, un passo verso l’evoluzione interiore, rinunciando a quello che invece consideriamo evoluzione “esteriore”. Gli allevamenti e le colture intensive, lo sfruttamento delle materie prime e il depauperamento della terra, non può essere più considerato progresso, ma solo un errore che l’uomo moderno non dovrebbe più commettere, per ritrovare la giusta collocazione all’interno del Creato.

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Il Faraone: archetipo dell'Uomo Reale


Il faraone : l’uomo, il re, il Dio. La figura centrale dell’antico Egitto, cardine dei Due Regni, apice della società umana e ponte fra l’umano e il divino ; rappresenta anche, grazie ai suoi numerosi attributi simbolici, la massima realizzazione dell’essere umano, quella dell’Iniziazione. Il faraone é, in altre parole, l’archetipo vivente dell’Iniziato, ovvero dell’Uomo Reale (nel duplice significato di Regale, poiché ha rivelato appieno la sua nobiltà interiore, e Vero, Autentico).

Negli attributi del faraone ritroviamo un condensato dell’Arte Regia egizia. Per chi sa vedere oltre il velo delle apparenze, gli oggetti e i capi d’abbigliamento che costituiscono il corredo del re delle Due Terre sono un vero e proprio crogiuolo di Scienza Sacra…

Innanzitutto diciamo, in armonia con gli insegnamenti della Frammassoneria, che il compito dell’Iniziato è edificare sé stesso come Dimora del Dio interiore. Da qui è tratto il nome egizio del faraone: “per-aâ”, che significa letteralmente“La Grande Casa”.
Altri titoli del sovrano egizio (altrettanto significativi dal punto di vista simbolico) erano: “Potente”, “Potente Perfetto” e “Signore Governante”, oltre a nomi divini come “Horus” od “Horus d’Oro”.

Come il faraone, il quale era sovrano dei Due Regni (Alto e Basso Egitto), così anche l’Iniziato alla Grande Arte è chiamato a prendere consapevolezza dell’Alto e del Basso, i Due Regni in senso assoluto: materia e spirito, apparenza ed essenza, luce ed ombra…
E come il faraone doveva porre equilibrio fra i due regni di cui egli stesso era il massimo punto d’unione, così l’Alchimista cerca costantemente l’unificazione ed unità dell’Alto e del Basso, dello Yin e dello Yang, del Sole e della Luna, come insegna la “Tabula Smaragdina”.

E come l’Alchimista deve operare con l’Alambicco e il Forno Athanor (riguardo al significato interiore di questi termini rimando al mio libro “Riflessioni sulla Grande Opera”), così il faraone indossa due corone: una bianca, che richiama la forma del Matraccio ermetico, e l’altra rossa (come il Fuoco Segreto dell’Athanor). E come l’Ampolla è posta sul Forno, così la corona bianca (corona dell’Alto Egitto) è inserita in quella rossa (corona del Basso Egitto).

Il lungo scettro uas impugnato dal faraone rappresenta le energie “animali” dell’uomo, che l’Iniziato ha trasceso e perciò domina (impugnandole simbolicamente con la mano destra, mano simbolo dell’Intelletto che vince gli istinti primordiali).
Il flagello nekhekh, era una metafora della forza e la determinazione con la quale il faraone avrebbe protetto la sua terra e il suo popolo; per cui, esotericamente parlando, la Forza dell’Iniziato (XI Arcano Maggiore dei Tarocchi), ovvero l’energia suprema e la suprema saldezza interiore che deriva dalla comprensione della Causa delle cose.
Il pastorale heka indicava infine che il faraone era il pastore del popolo egizio: così l’Iniziato che abbia compiuto la propria Opera può diventare una guida e un conforto per gli altri esseri umani.

Spesso il faraone impugna la croce Ankh, simbolo della vita: con questa immagine si indica che il vero Iniziato, l’ermetico Artista che abbia penetrato i misteri, “tiene in pugno” il segreto della Vita Eterna, poiché reduce da una Morte filosofica…

Tecniche meditative basate sulla consapevolezza

(PARTE SECONDA)

Ansia
Quando siamo preda di un attacco di ansia…per esempio prima di un esame, di un colloquio di lavoro, o di una prova sportiva, o in tutti quei casi in cui si attende un esito, una risposta ecc., ebbene in tutti questi casi, la meditazione più appropriata è quella del "controllo" del respiro, dove per controllo si intende un sintonizzarsi su di esso, un osservarlo, un seguirlo con attenzione, per renderlo più lento e profondo. Perché quando c’è ansia, il respiro diventa più veloce e superficiale e questo non fa altro che produrre continuamente ansia; diventa un vero e proprio circolo vizioso.
Per facilitare questa meditazione possiamo mettere una o tutte e due le mani sulla pancia, perché è proprio lì che il respiro deve arrivare per portare rilassamento e quindi benessere. Quando c’è ansia il respiro rimane a livello toracico, invece.
Le posizioni più efficaci per questa pratica sono quella seduta e quella sdraiata, ove è possibile.

Tristezza
Quando in noi sorge la tristezza, la malinconia, quello che facciamo normalmente è di vivere lo stato d’animo in senso negativo, di autocommiserarsi, e questo non fa che peggiorare la situazione. Allora quello che bisognerebbe fare in questi casi è cercare di “entrare” nella tristezza, conoscerla, viverla, invece di evitarla o continuare a ripetersi 'sono triste'. Se noi rifiutiamo la tristezza, essa prende più forma, più consistenza, ed uscirne diventa più problematico. Invece bisogna scivolare in essa, “assaporarla”, anche se questo temine vi sembrerà cattivo; ma solo se io non la rifiuto e non la evito, la tristezza sarà meno opprimente. Entrare nella tristezza è un’esperienza unica, che cambierà radicalmente il modo di affrontare tante situazioni "negative".

Dolore fisico
Quando abbiamo un dolore fisico la reazione immediata è quella di contrastarlo e molte volte di autocompatirsi. Questo non fa che sommare al dolore fisico il disagio psicologico, e il dolore "aumenta". In questi casi, la meditazione più appropriata è quella dell’essere testimoni del dolore attraverso “l’osservazione”. Questo essere testimoni spezza l’identificazione col dolore, riconducendo il dolore stesso a quello che dovrebbe essere: disagio fisico. Quando siamo identificati col dolore, sommiamo ad esso il disagio psicologico, la sofferenza psicologica. La disidentificazione da esso spezza quel legame. Quindi non rifiutare il dolore, non autocompatirsi, ma osservazione del dolore, quasi a creare una distanza tra noi e il dolore stesso.

Caldo eccessivo
Ci sono situazioni più o meno durature in cui nostro malgrado dobbiamo convivere col caldo eccessivo. Questa fonte di stress può essere attenuata ricorrendo a tecniche meditative. La più adatta, secondo me, è quella di non rifiutare il disagio con le sue conseguenze: la pelle sudata, i vestiti che si appiccicano addosso, il calore che invade tutto il nostro corpo, ecc., e di non ripetersi 'madonna che caldo che fa' o frasi simili. Tutto questo non fa che aumentare il senso di sofferenza derivante dal caldo. Anche in questo caso l’accettazione fa sì che non ci sia sovrapposizione tra disagio fisico e disagio psicologico. Insomma è sempre la nostra mente ad amplificare le situazioni “negative”. Per agevolare quest’accettazione diventa efficace il 'ricordo di sé’, ossia percepire la propria presenza, esistenza; in pratica bisogna spostare il focus dal disagio alla percezione della nostra presenza. E noi possiamo percepire la nostra presenza solo quando la mente è ferma, quando non ci sono pensieri. Paradossale vero? Qualcuno disse 'Io penso, dunque sono'. Invece noi potremmo dire 'Io non penso, quindi esisto'.

Claustrofobia
Per chi si trova a dover convivere con questo disturbo, la meditazione che consiglio è quella di sintonizzarsi sui sensi. Perché quando noi siamo sintonizzati su di essi, la mente è ferma, senza pensieri, e solo in questo stato la mente non conosce paura. Allora cosa fare in caso di claustrofobia? Bisogna guardare, ascoltare, odorare, toccare con consapevolezza. Normalmente tutto ciò viene fatto col filtro della mente che ci allontana, ci isola dall’esperienza del toccare, ascoltare, ecc. Allora bisogna essere presenti a tutto ciò che accade intorno a noi con tutti i nostri sensi; "noi" dobbiamo scomparire in un certo senso, e devono rimanere solo i nostri sensi, e questo è uno dei modi per non far agire la mente, sempre lei, paradiso se la governiamo, e inferno se ce ne facciamo governare.

Paura
Ogni volta che abbiamo paura, di qualunque genere essa sia, la sua origine è sempre nella mente, perché la nostra consapevolezza non conosce paura; semmai ne è l’osservatore. Ma se noi siamo identificati con la nostra mente, non la possiamo osservare, e quindi tanto meno possiamo osservare i suoi contenuti, i suoi pensieri. Quando siamo in preda alla paura, al panico, è molto facile perdere il controllo della situazione e diventarne così, una vittima. Per diventare padroni della situazione che ha generato lo stato di paura, diviene molto utile osservarla, questa paura, che consiste nell’osservare i pensieri associati alla paura. Nel momento in cui i pensieri vengono osservati, questi si dissolvono, e con essi la tensione e la paura che li accompagnava. Quindi la cosa da fare è diventare consapevoli dei pensieri, perché l’essere semplicemente consapevoli, li fa svanire e di conseguenza svanisce la paura.

Rabbia
La rabbia è uno di quegli stati d’animo con il quale l’uomo moderno si ritrova a convivere molto spesso, e sia che egli lo esprima sia che lo reprima, i danni psico-fisici immediati sono evidenti. E a lungo andare questa situazione può manifestarsi sotto altre vesti: un classico esempio è la gastrite, ma anche mal di testa, contratture muscolari, ecc.
Cosa dobbiamo fare in caso di rabbia? Bisogna diventare consapevoli di sé stessi. Perché le emozioni negative hanno il sopravvento quando noi siamo inconsapevoli, quando siamo assenti; o ci siamo noi o c’è la rabbia, e viceversa. Praticamente deve avvenire un cambio di Geshtalt, di prospettiva.
Molti di voi avranno visto il disegno di un test psicologico che raffigura contemporaneamente il profilo di una vecchia e il corpo nudo di una donna. Essi appaiono nello stesso disegno, ma se osserviamo l’uno non possiamo osservare l’altro e viceversa. Possiamo metterne a fuoco uno alla volta. E così succede con le emozioni negative: o mettiamo a fuoco noi, o mettiamo a fuoco l’emozione. Passare dall’emozione alla consapevolezza della nostra presenza, della nostra esistenza, farà evaporare l’emozione stessa, come l’acqua in ebollizione. L’acqua non deve fare alcuno sforzo per evaporare; basta che la portiate a cento gradi ed essa evaporerà. Allo stesso modo, basta divenire consapevoli di sé stessi, e la rabbia, l’invidia, la gelosia e tutte quelle emozioni che non fanno altro che complicare la nostra vita, si scioglieranno come neve al sole.

Rumori molesti e insonnia
Se dovesse capitare, magari quando siamo in vacanza, oppure quando per lavoro alloggiamo in albergo o comunque in un ambiente diverso dall’usuale, di dover soffrire di insonnia a causa di rumori a cui non siamo abituati, il rimedio più efficace è quello di mettersi all’ascolto del rumore molesto. Ancora una volta vale la pena sottolineare che ogni qual volta c’è rifiuto da parte nostra (in questo caso del rumore), oppure il desiderio che una cosa accada (in questo caso l'addormentarsi), il rifiuto da una parte e il desiderio dall’altra ostacolano l’accadere del sonno. Perché il sonno è una di quelle cose in cui il nostro agire è di ostacolo. Il sonno può solo accadere, e perché possa accadere non dobbiamo ostacolarlo. Allora, quando ci sono rumori che non permettono di addormentarci, non dobbiamo pensare a voler dormire, ma dobbiamo metterci all’ascolto del rumore. Come se stessimo ascoltando della musica. Solo in questo modo il sonno non tarderà ad arrivare nonostante il rumore.

Chiacchiericcio mentale
La maggior parte dello stress che accumuliamo durante il giorno è dovuto al super lavoro che fa la nostra mente. Praticamente è come se nella testa avessimo una radio accesa 24 ore su 24…èh sì, perché non riposa neanche quando dormiamo. Se avessimo una radio, tutto sommato sarebbe meglio, perché così potremmo spegnerla, ogni tanto. E invece ci troviamo nella situazione che la nostra mente non ha un interruttore on/off.
In verità, quest’interruttore c’è, ma non lo conosciamo, non sappiamo dov’è; questo interruttore si chiama Consapevolezza. La consapevolezza è il pulsante che spegne la mente, perché se io sono consapevole, la mente si arresta, rimane senza pensieri. Come possiamo arrestare il chiacchiericcio mentale che certi giorni in particolare sembra dominarci completamente e che ci sottrae tante energie psico-fisiche?
E’ semplice: diventiamo consapevoli di quello che stiamo facendo. Qualsiasi cosa stiamo facendo, lavare i piatti, cucinare, fare la doccia, mangiare, pulire il pavimento, ecc., se lo facciamo con consapevolezza, se siamo mentalmente nel qui-e-ora, nel momento presente, la mente non ha scampo, non ha più potere su di noi; in due parole, si arresta. E noi possiamo riprendere fiato.

Iperattività
Uno dei mali dell’uomo contemporaneo è quello di svolgere le attività a velocità sempre più elevate. Quante volte ci ripetiamo o diciamo agli altri 'vado di corsa!', oppure 'mi devo sbrigare!'; nella maggior parte dei casi non ne possiamo fare a meno, però capita molte volte che il nostro agire è vertiginoso anche quando non ce ne sarebbe bisogno, perché le abitudini sono dure a morire. E è l’inconsapevolezza che rende tutto abitudinario. E la conseguenza delle abitudini è la noia e l’insoddisfazione che le accompagna.
Quando ci ritroviamo ad eseguire delle attività, "correndo", è bene svolgerle in maniera meditativa, che vuol dire essere consapevoli di quella attività. Cioè, se mentre svolgo un’attività, la mente è altrove, questa disunione tra mente e corpo ci porta a svolgerla più velocemente; parliamo di quelle cose che facciamo ogni giorno e che proprio per questo le svolgiamo in automatico. Questo non accade quando facciamo una cosa per la prima volta.
Ogni volta che facciamo una cosa nuova, senza saperlo siamo in meditazione, cioè in unione mente-corpo. Successivamente diventiamo "esperti" e allora la mente può permettersi di assentarsi, perché ci pensa l’abitudine, l’automatismo a svolgere quell’attività. E’ classico questo, del guidare.
Le prime volte la nostra mente è con noi perché per essere più efficienti ed attenti dobbiamo unire le "forze" fisiche a quelle mentali...l'unione fa la forza, è il caso di dire.
Una volta che il corpo ha imparato, però, la mente può andarsene per i fatti suoi, e allora ci ritroviamo a fare chilometri e chilometri di strada senza essere coscienti di come li abbiamo fatti, a meno che non intervenga un fatto improvviso che desti la nostra attenzione, la nostra consapevolezza. Tornando alle attività in generale, diventare consapevoli di quell’attività , significa svolgerla alla giusta velocità, che si traduce in un abbassamento del livello di stress, perché tutto viene riportato a una dimensione più consona allle esigenze del nostro corpo.

Malattia
Quando ci ammaliamo o quando ci ritorna un disturbo di cui soffriamo in certi periodi dell’anno, la prima reazione è quella di rifiutare psicologicamente l’evento e quella di "accelerare" mentalmente la guarigione. Tutto questo non fa che ritardare la guarigione e renderci anche più nervosi.
Il corpo e la mente non sono due entità separate; agendo sulla mente possiamo influenzare il corpo e agendo sul corpo possiamo influenzare la mente. Se per esempio beviamo dell’alcool questo avrà anche effetti sulla mente e quando pensiamo a una situazione, per esempio quella erotica, questo si traduce in effetti sul corpo. Quindi potremmo definirci un corpomente. Potremmo dire che il corpo è la parte materiale della mente e la mente è la parte spirituale del corpo.
Tornando al nostro tentativo di accelerare la guarigione e contemporaneamente di rifiutarla, si mette in atto una reazione al nostro agire. Sì, perchè ogni azione provoca una reazione opposta, poiché la natura tende sempre all’equilibrio. Se non c’è azione da parte nostra, se non c’è volontà, allora tutto scorre per il verso giusto.
Quindi bisogna capire due cose: che la malattia non va vista come nemica, ma oserei dire come amica, perché è il segnale di disagio che il nostro corpo ci sta mandando, e con quest’ottica la malattia diviene allo stesso tempo anche la cura. Metà della guarigione si ha accettando la malattia. Nello stesso tempo non si deve desiderare la guarigione immediata, perché a sua volta questo desiderio ne rallenterà il processo.
Il corpo si sta difendendo dalla nostra mente che lo vorrebbe subito in carreggiata, perché, 'come faccio con il lavoro?', 'ma ho la gara domenica prossima!', 'e io che avevo programmato un bel fine settimana!', e così via. E è arrivata quella stupida malattia ad intralciare il nostro percorso.
Forse non è arrivata a caso…basta guardarsi un po’ alle spalle e sicuramente riusciamo a mettere ogni tassello al proprio posto. A questo punto mi sembra palese, quale sia la meditazione più adatta in questi casi: l’accettazione della malattia, dell’infezione, del disturbo, la cui conseguenza sarà quella di non accelerare il processo di guarigione. E senza che nemmeno ve ne accorgerete vi ritrovate guariti nei tempi giusti.

Per discutere quanto letto nell'articolo vi rimando al forum
"Meditazione come pronto soccorso"

A cura di cincin

Fonte:Cosenascoste.com

La consapevolezza


Conoscere noi stessi significa conoscere il nostro rapporto con il mondo - non solo con il mondo delle idee e delle persone, ma anche con la natura, con le cose che possediamo. In breve, la nostra vita - essendo la vita il rapporto con il tutto. Naturalmente, la comprensione di tale rapporto non richiede alcuna specializzazione, bensì la consapevolezza che la vita va affrontata come un tutto unico. Ma come sviluppare questa consapevolezza? Ecco il nostro problema. Come si può avere questa consapevolezza - se posso utilizzare questo termine senza dargli il senso di specializzazione? Come si può essere capaci di affrontare la vita come un tutto unico, il che significa non solo avere un rapporto personale con il prossimo, ma anche con la natura, con le cose che si posseggono, con le idee, e con le cose che la mente fabbrica, come l’illusione, il desiderio e così via? Come si fa a essere consapevoli dell’intero processo del rapporto? Certamente la nostra vita è fatta di questo, non è così? Non esiste vita senza rapporti; e comprendere i rapporti non significa isolarsi. Al contrario, richiede un pieno riconoscimento o consapevolezza del processo complessivo del rapporto.

Come si può essere consapevoli? In che modo siamo consapevoli delle cose? In che modo siamo consapevoli del nostro rapporto con una certa persona? In che modo siamo consapevoli degli alberi o del verso degli uccelli? O delle nostre reazioni quando leggiamo un giornale? Siamo consapevoli delle risposte superficiali della mente così come di quelle profonde?

In che modo siamo consapevoli di qualunque cosa? Innanzitutto, siamo consapevoli di una risposta a uno stimolo, non è così? Questo è evidente: vedo qualcosa di bello, e c’è una reazione - sensazione, contatto, identificazione e desiderio. Questo è il processo abituale. Possiamo osservare ciò che effettivamente accade senza aver studiato alcun libro.

Attraverso l’identificazione si provano piacere e dolore. E il nostro esser “capaci” consiste nella ricerca del piacere e nell’evitare il dolore, non è così? Se qualcosa vi interessa, se vi procura piacere, immediatamente c’è “capacità”, c’è una consapevolezza di quel fatto; e se invece è spiacevole, si sviluppa la “capacità” di evitarlo. Fin tanto che ricorriamo alla “capacità” per comprendere noi stessi, credo che siamo destinati a fallire, perché la comprensione di noi stessi non dipende dalle nostre capacità. Non è una tecnica che si possa sviluppare, coltivare e accrescere col tempo, affinandola continuamente. Certo, questa consapevolezza di sé può essere saggiata nell’azione del rapporto; può essere valutata in base al modo in cui parliamo e da come ci comportiamo. Ma provate a guardare voi stessi senza identificazioni, senza paragoni, senza condanne; limitatevi a guardare, e vedrete accadere una cosa straordinaria. Non solo metterete fine a un’attività che è inconscia (poiché la maggior parte delle nostre attività sono inconsce), non solo farete cessare questo, ma sarete consapevoli delle motivazioni di tale azione, senza bisogno di indagare, senza scavare in essa.

Quando siete consapevoli, l’intero processo del vostro pensiero e azione vi è chiaro; ma ciò può accadere soltanto quando non c’è condanna. Se condanno una cosa, non la comprendo, e questo è un modo di evitare qualunque tipo di comprensione. Penso che la maggior parte di noi lo faccia di proposito: ci affrettiamo a condannare e pensiamo di aver capito. Se, anziché condannare, consideriamo le cose e ne siamo consapevoli, allora il contenuto, il significato di quell’azione comincia a chiarirsi. Sperimentatelo e vedrete da voi. Basta essere consapevoli - senza alcun senso di giustificazione - il che potrebbe sembrare piuttosto negativo, ma non è negativo. Al contrario, ha la qualità della passività, che è azione diretta; e se lo sperimentate, ve ne accorgerete.

Dopo tutto, se si vuole comprendere qualcosa, bisogna essere in uno stato d’animo passivo, non è vero? Non ci si può pensare continuamente, specularci sopra, o analizzarlo senza sosta. Bisogna essere abbastanza sensibili da accoglierne il contenuto. E’ come essere una lastra fotografica sensibile. Se voglio capirvi, devo essere passivamente consapevole; e allora voi comincerete a raccontarmi tutta la vostra storia. Certamente non è questione di capacità, o di specializzazione. In quel processo cominciamo a comprendere noi stessi - non solo gli strati superficiali della nostra coscienza, ma quelli più profondi, il che è molto più importante; poiché lì si celano tutte le nostre motivazioni e intenzioni, le nostre segrete, confuse richieste, angosce, paure, bramosie. Esternamente possiamo averle tutte sotto controllo, ma dentro di noi ribollono. Fin quando non saranno state interamente comprese attraverso la consapevolezza, non potrà esserci libertà, né felicità, né intelligenza.

E’ forse l’intelligenza una questione di specializzazione? L’intelligenza è in effetti la consapevolezza totale del nostro processo. Ma tale intelligenza va dunque coltivata attraverso una qualunque forma di specializzazione? E’ proprio questo che sta accadendo, non è così? Il sacerdote, il medico, l’ingegnere, l’industriale, l’uomo d’affari, il professore - ormai siamo abituati a ragionare in termini di specializzazione.

Per realizzare la forma più elevata di intelligenza - che è la verità, che è Dio, che non può essere descritta - crediamo di doverci specializzare. Studiamo, brancoliamo, cerchiamo; e, con la mentalità dello specialista o prendendo a modello lo specialista, studiamo noi stessi allo scopo di sviluppare una capacità che ci aiuti a sbrogliare i nostri conflitti, le nostre miserie.

Ammesso che siamo consapevoli, il problema è capire se i conflitti e le disgrazie e le sofferenze della vita quotidiana possano essere risolti da altri; e se non è così, come possiamo noi affrontarli? Comprendere un problema richiede ovviamente una certa intelligenza, e tale intelligenza non può scaturire dalla specializzazione, né essere coltivata attraverso questa. Essa si realizza solo quando siamo passivamente consapevoli dell’intero processo della nostra coscienza, il che significa essere consapevoli di noi stessi senza alternative, senza scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Quando siete passivamente consapevoli, vi accorgete che da quella passività - che non è indolenza, non è sonno, ma al contrario, estrema vigilanza - il problema appare in una luce alquanto diversa; ciò significa che non c’è più identificazione con il problema e, di conseguenza, non c’è più giudizio, per cui il problema comincia a rivelare il proprio contenuto. Se riusciamo a far questo costantemente, ininterrottamente, allora ogni problema può essere risolto in profondità, non superficialmente.

E’ questa la difficoltà, perché la maggior parte di noi è incapace di essere passivamente consapevole, di lasciare che il problema ci racconti la storia senza filtrarla attraverso le nostre interpretazioni. Non sappiamo guardare ai problemi con occhio imparziale. Non ne siamo capaci, purtroppo, perché vogliamo ricavare un risultato dal problema, vogliamo una risposta, puntiamo a un fine; oppure cerchiamo di tradurre il problema in termini di piacere o dolore; o ancora, abbiamo una risposta già bella e pronta circa il modo di affrontare il problema. Dunque ci accostiamo ai problemi, che sono sempre nuovi, con i vecchi schemi di comportamento. Il nuovo rappresenta sempre una sfida, ma la nostra risposta è sempre il vecchio; e la nostra difficoltà consiste nel reagire alla sfida adeguatamente, ossia complessivamente. Il problema è sempre un problema di rapporto - con le cose, con le persone o con le idee; non esiste alcun altro problema; e per affrontare il problema del rapporto, con le sue esigenze che variano costantemente, per affrontarlo in maniera giusta, adeguata, bisogna avere una consapevolezza passiva. Questa passività non è questione di determinazione, di volontà, di disciplina; il primo passo consiste nell’essere consapevoli che non siamo passivi. La consapevolezza di volere una certa risposta a un determinato problema - è certamente quello il primo passo: conoscere noi stessi in rapporto al problema e sapere come affrontarlo. Allora, mentre cominciamo a conoscere noi stessi in rapporto al problema - come reagiamo, quali sono i nostri vari pregiudizi, esigenze, ambizioni, nell’affrontare il problema - questa consapevolezza rivelerà il processo del nostro pensiero, della nostra natura interiore; e in quello c’è una liberazione.

Certo, è importante essere consapevoli senza alternative, poiché la scelta produce conflitto. Colui che sceglie è confuso, perciò si trova a dover scegliere; se non fosse confuso, non ci sarebbe scelta. Soltanto colui che è confuso sceglie ciò che farà o che non farà. L’individuo lucido e semplice non sceglie; ciò che è, è. L’azione fondata su un’idea è ovviamente l’azione legata alla scelta, ma tale azione non è liberatoria; al contrario, crea solo ulteriori resistenze, nuovi conflitti, come è insito nella natura del pensiero condizionato.

Dunque la cosa importante è essere consapevoli attimo per attimo, senza accumulare l’esperienza che la consapevolezza comporta; nel momento in cui si accumula, infatti, si è consapevoli solo attraverso quell’accumulazione, quello schema, quell’esperienza La consapevolezza è allora condizionata dall’accumulazione e, dunque, non c’è più osservazione, ma soltanto traduzione. Laddove c’è traduzione, c’è scelta, e la scelta crea conflitto; e nel conflitto non può esservi comprensione.

La vita è una questione di rapporto; e per comprendere quel rapporto, che non è statico, è necessaria una consapevolezza che sia flessibile, una consapevolezza che sia al tempo stesso vigile e passiva, non aggressivamente attiva. Come ho già detto, tale consapevolezza passiva non si realizza attraverso questa o quella forma di disciplina o di esercizio. Si tratta semplicemente di essere consapevoli, attimo per attimo, del nostro pensare e sentire, e questo non soltanto quando siamo svegli; vedremo infatti, addentrandoci in tale stato, che cominciamo a sognare, cominciamo a vomitare simboli di ogni tipo, che percepiamo come sogni.

In tal modo apriamo la porta del nascosto, che diventa conosciuto; ma per trovare l’ignoto, dobbiamo oltrepassare quella porta - certo, è proprio quella la nostra difficoltà.. La realtà non è qualcosa di conoscibile attraverso la mente, poiché la mente è il risultato del conosciuto, del passato; perciò la mente deve comprendere se stessa e il proprio funzionamento, la propria verità, e solo allora l’ignoto potrà essere.

Di Jiddu Krishnamurti

Fonte:Lamentemente.com

Ricordare

La nostra nascita segna inevitabilmente l’inizio di una nuova vita terrena. Chi crede nell’anima, può facilmente comprendere come la nostra esistenza sia solo il risultato di molte prove ed esperienze vissute in tempi passati.Il nostro cervello è strutturato in modo perfetto, ha facoltà strabilianti che ci consentono di compiere veri e propri miracoli. La mente è una conseguenza di queste facoltà, la capacità di essere superiori ad ogni altro essere vivente, di essere il ponte fra cielo e terra. La nostra anima, il nostro Se, sono incarnati nel nostro corpo fisico e portano avanti un percorso che dura da molto tempo. In genere ricordiamo avvenimenti della nostra vita molto significativi, spesso un’immagine ci porta indietro nel tempo, è lo spunto per ricostruire un’emozione, trasforma le nostre percezioni rivivendo per alcuni attimi la stessa esperienza.

Difficile ricordare i nostri primissimi anni di vita, il nostro essere è ancora alle prese con la sua formazione animica, ancora siamo a metà fra due mondi sensibili differenti. Guardando un bambino piccolo, si percepisce lo sguardo trasognato di chi ancora non è presente totalmente alla vita terrena, nei suoi occhi si percepisce ancora quella beatitudine che sembra non essere di questo mondo. Osservandolo in silenzio, sembra si muova con logiche a noi estranee, sembra sorridere a qualcuno che non è presente fra noi, sembra vedere e sentire qualcosa che noi nemmeno percepiamo. Col trascorrere degli anni anche il bambino perde questa facoltà per privilegiare il pensiero razionale, la scuola insegna che la ragione è l’unica arma vincente per vivere e guadagnare da vivere. Si perde a poco a poco la facoltà di ricordare, ricordare chi siamo e cosa abbiamo rappresentato in vite precedenti. Diventiamo precisi calcolatori, attori su un palcoscenico studiato e costruito per la materia, dove non c’è spazio per altro, dove è difficile essere se stessi, perché questo significa estraniarsi dalla massa, significa non conformarsi a nessuno, significa essere soli e sfiduciati.

Tuttavia da quella solitudine può nascere una nuova flebile luce che illumina il nostro cuore, una fiamma che a poco a poco comincia ad ardere nel profondo, rendendo visibile le nostre azioni senza bisogno di parlare o spiegare. Una vita improntata al sentire, percepire e ricordare la nostra funzione di esseri pensanti, le nostre capacità percettive superiori, che la società vuole insabbiare per mantenerci in schiavitù. Questo ricongiungersi con la nostra essenza da un senso molto più ampio al concetto di vita, spiega la nostra funzione terrena e il motivo per cui siamo qui ora.

Difficile compiere questo percorso, poiché la materia domina ogni sfera sociale e ne siamo vittime e complici ogni giorno. Ma in questa dualità, se il Bene e il male possono essere visti con gli occhi dell’osservatore, senza dover necessariamente entrare all’interno, ci si rende conto che sono la manifestazione naturale di qualcosa che esiste ed è sempre esistito. Esiste per farci comprendere che dobbiamo guardare oltre, accettare queste manifestazioni, perché necessarie a far comprendere e a far evolvere l’uomo, a rendere consapevole l’umanità che l’obiettivo è l’Unità, nella quale in dualismo scompare, nella quale siamo Bene assoluto, senza condizioni, senza opposti e senza compromessi.

Guardami negli occhi.

L'occhio di Horus riportato sul dollaro americano

Quando nasce un bambino, l'iride, o la parte colorata dell'occhio è usualmente al centro delle due palpebre oculari. L'iride, tocca in equal modo la palpebra superiore e quella inferiore, in questo modo, la Sclera (il bianco dell'occhio) è visibile solo alla destra ed alla sinistra dell'iride. Tale aspetto oculare, indica sistema nervoso salutare e ben bilanciato.

Quando una persona muore, l'iride si muove verso la palpebra superiore, e sparisce parzialmente sotto di essa (come nel disegno sopra). Nella Medicina Orientale, un occhio con tali sintomi viene chiamato Sanpaku, ciò vuol dire che al di sotto dell'iride si vedono "tre livelli di bianco".. [continua]

bandolo della matassa 1/7

da qualche parte si dovrà pure iniziare...
iniziamo ad aprire gli occhi al mattino...
guardiamo le bestie, gli animali che ancora qualcuno mangia o che ha a casa per compagnia.
bene... vedete bene cosa fanno al mattino???

si stirano... fanno esercizi di stretching... !!

ma sono scemi?? no no!
e io?? mi trascino alla colazione in stato comatoso?? basta!!

signori una volta nella vita possiamo provare a cambiare... da qui si può prendere quel bandolo e vedere dove ci porta.
una prova di coraggio!

per sette giorni... si per sette giorni.
siamo abituati a sentir parlare del sette... note, giorni settimana, colli, peccati, e via dicendo...!!
quindi applichiamo a noi quello che fanno loro.
sono saggi.
ogni mattina per sette giorni ci si alza e si eseguono una serie di esercizi di stretching e respirazione.
una prova... daiii... qualcosa cambierà di sicuro!!
suggerirei i cinque riti tibetani, ma se qualcuno vuole sperimentare con se stesso nessun problema, anche con la propria compagna o compagno... guardate i cani e i gatti cosa fanno.
per sette mattine, l'unica cosa che dovremo cambiare nella giornata è questa, alzarsi e fare la personale sessione di risveglio!!

senza mollare per sette giorni...

VAIIIIIII
se ci son problemi ci sentiamo qui!!

poi alla prossima settimana si procede nella direzione...

Tecniche meditative basate sulla consapevolezza

INTRODUZIONE

La consapevolezza può essere definita in mille modi e nonostante ciò non si saprà mai cos’è se non la si sperimenta.
Una definizione di consapevolezza è attenta osservazione, e infatti le mie tecniche di meditazione sono basata sulla osservazione; ma non osservazione tramite gli organi della vista, gli occhi, ma osservazione tramite l’occhio interiore, per così dire, e allora la chiamerò “osservazione” per distinguerla da quella propriamente ottica.
Ma osservazione di cosa?
Osservazione del corpo, della mente e delle emozioni.
L’osservazione del corpo è la più facile perché il corpo è a tutti noi evidente grazie alla sua fisicità; quella della mente (ossia dei pensieri) è un po’ più difficile, dal momento che i pensieri non li vediamo; e quella delle emozioni è più difficile ancora, poichè quando si è preda delle emozioni si perde il controllo su di sé.
Ma a cosa serve “osservare” il corpo, la mente e le emozioni?
Serve ad avere controllo su di essi, appunto; ma un tipo di controllo che non è repressione, però, perché reprimere vuol dire sopprimere, spingere verso il basso, coprire; mentre l’osservazione tutto fa, tranne che sopprimere e coprire.
L’osservazione, al contrario, fa evaporare, svanire, scomparire ciò che si osserva e quando una cosa evapora non lascia traccia.
Quando facciamo bollire l’acqua essa evapora e non lascia traccia di se; se invece, la volessimo asciugare con un panno, essa non è più sulla superficie ma l’avremo trasferita sul panno; sempre acqua è.
Con l’ebollizione l’acqua non c’è più e si è trasformata in vapore e non la vediamo più.
Ecco, l’osservazione agisce come l’ebollizione agisce sull’acqua: fa evaporare l’oggetto di osservazione.
Ma questo vuol dire che se io osservo il mio corpo esso scompare?
Nò, non scompare ma scompare tutto ciò che associato di negativo ad esso: la sofferenza.
E allora le mie tecniche meditative hanno lo scopo di far evaporare la sofferenza (psicologica) che subiamo quando il nostro corpo soffre; a quel punto rimane solo il dolore (del corpo) ma non la sofferenza (dell’anima) e possiamo vivere in maniera meno negativa quel dolore.
E cosa succede se osservo i miei pensieri e le mie emozioni?
Succede una cosa bella e strana allo stesso tempo: pensieri ed emozioni scompaiono.
E allora quando è utile applicare tecniche meditative basate sulla consapevolezza?
E’ utile in tutti quei momenti in cui siamo schiacciati dai pensieri negativi e siamo in balia delle emozioni negative e quando abbiamo problemi fisici, come dicevo sopra.

“Osservare” il corpo, la mente e le emozioni vuol dire curare corpo, mente e cuore senza alcun effetto collaterale, e anzi, beneficiando di un benessere fisico, psichico e spirituale non indifferente.
Ma non dovete credere alle mie parole, ovviamente, ed è sufficiente attuare la tecnica dell’osservazione o consapevolezza per rendersene subito conto: senza motivo ci sentiamo in pace con noi stessi e di conseguenza col mondo intero.
E’ probabile che non ci si accorga subito di questo stato di pace, ma se si persevera nella pratica lo si percepirà sempre più, e a quel punto la ricerca della consapevolezza diventa una priorità.

A chi sono rivolte le mie tecniche di meditazione? Sono rivolte a tutti coloro i quali ne fossero incuriositi.

Articolo a cura di cincin
Fonte:COSENASCOSTE.COM

Il ricordo di se’


Introduzione al ricordo di sé

Entriamo nel vivo dei processi alchemici atti a trasmutare l’uomo in qualcosa di splendidamente superiore. Affrontiamo quindi per la prima volta anche il concetto di « risveglio » dell’essere umano.
Il primo passo verso l’acquisizione della liberazione e dell’immortalità consiste in un accurato lavoro di « risveglio »; l’individuo deve cioè rendersi pienamente conto che allo stato attuale sta dormendo.
Quando ci destiamo al mattino in realtà non ci svegliamo, ma passiamo da uno stato di sogno a un altro: è il sonno verticale; un sonno, cioè, che permette la posizione verticale, il movimento, il parlare, lo studiare... purtuttavia è ancora ben lungi dall'essere un reale stato di veglia. Si tratta di una condizione di perpetuo rintronamento nella quale non si pensa, ma si è pensati, non si provano emozioni, ma si è da esse trascinati, non si gestisce il proprio corpo, ma si subisce la sua fisiologia.
Se vogliamo lavorare per evadere dalla prigione è imperativo innanzitutto che sappiamo di essere all'interno di una prigione. Il più grande ostacolo al risveglio è che l'uomo pensa di essere già cosciente e pienamente libero! Per avere la certezza di essere in uno stato di prigionia è necessario vederlo con i propri occhi e, magari, rimanerne scioccati. L'ideale sarebbe riuscire a SENTIRE EMOTIVAMENTE l'addormentamento. Questo fornisce l'energia occorrente per iniziare a lavorare su di sé.
I seguenti esercizi si basano sul « ricordo di sé ». Lo sforzo di ricordarci di noi stessi nell'arco della giornata ci permette di vedere come siamo fatti e in quale stato viviamo tutti i giorni; serve a farci comprendere che durante il giorno "dormiamo" e di conseguenza non siamo mai coscienti di noi. Viviamo dentro un’allucinazione; non vediamo la realtà e non possediamo alcun potere occulto in grado di modificarla semplicemente perché dormiamo. Il "ricordo di noi stessi" ci permette di evitare di lasciar scorrere nell'inconsapevolezza la nostra esistenza quotidiana, portando alla luce anche le zone più nascoste di noi.

Cosa è il « ricordo di sé »? Non lo si può spiegare a parole: lo si capisce facendo gli esercizi. Come vedremo più avanti, si tratta di essere presenti qui-e-ora almeno in corrispondenza di determinate occasioni che vengono stabilite a priori. Un uomo risvegliato è un uomo che si ricorda di sé sempre, è un uomo che è sempre presente qui-e-ora per ventiquattro ore al giorno... anche nel sonno. Il ricordo di sé è infatti un livello di coscienza superiore che si può raggiungere solo sforzandosi di ricordarsi di sé!

L'errore principale della filosofia e della psicologia moderna risiede nell'aver ignorato un quarto stato di coscienza oltre i tre già noti all'uomo ordinario. Gli stati di norma conosciuti sono: sonno verticale (quello ritenuto a torto il normale stato di veglia dell'uomo), sonno profondo, sogno. Nessuna psicologia e nessuna filosofia sono proponibili se non si considera la possibilità nell'uomo di un quarto stato: lo stato di ricordo di sé, che è poi il reale stato di veglia.
Il ricordo di sé - è il 'terribile segreto' dell'Ars Regia che tutti gli alchimisti si sono preoccupati di tenere occulto nei loro scritti: è il « regime », l'« agente universale », il « fuoco lento » a cui la materia deve essere sottoposta per ottenere una trasformazione.
Premettiamo che l'effettivo stato di ricordo di sé è uno stato EMOTIVO SUPERIORE, non un fenomeno intellettuale. Quando nel corso della presente trattazione ci riferiremo al ricordo di sé, ci staremo in realtà riferendo ai nostri tentativi di ricordarci di noi, cioè all'unico stato attualmente possibile per il neofita: uno stato ancora principalmente mentale, in cui ci si sforza di essere presenti per ricordarsi di sé. Con l'espressione « ricordo di sé » intendiamo quindi riferirci allo sforzo di ottenere questo stato, e non allo stato stesso. Attraverso gli sforzi ripetuti sarà però possibile attivare il 'centro emotivo superiore' ( il Cuore ) e quindi entrare nel reale ricordo di sé... e questo è il nostro scopo.
Attraverso lo sforzo di ricordarci di noi tocchiamo con mano la totale assenza di Volontà che ci contraddistingue... ma non dobbiamo abbatterci a causa dei pessimi risultati. Il nostro lavoro consiste nello sforzarci ogni giorno di riuscire, non nell'ottenere un risultato, il risultato non interessa minimamente i nostri scopi.

Il ricordo di sé è il fenomeno più importante della Magia, dell'Alchimia e dell’esoterismo in genere. Compreso questo, l’uomo possiede la chiave per farsi progressivamente strada in altri stati di coscienza e acquisire nuovi poteri. Il ricordo di sé costruisce il « corpo astrale », o « corpo lunare », che permette la sopravvivenza dopo la morte, e anche il « corpo di gloria », cioè l'anima dell'individuo, che permette l'immmortalità assoluta. Sono due livelli iniziatici successivi. L'unico modo che abbiamo per capire cosa è il ricordo di sé è fare degli esercizi; esso non può essere compreso attraverso una spiegazione intellettuale come un qualunque altro concetto. Si può conoscere la meccanicità solo cercando di contrastarla: se noi siamo nati in catene, se siamo nati in una prigione, fino a quando non proviamo a uscire e ci accorgiamo che è difficilissimo, non abbiamo alcuno strumento per capire di essere nati dentro un carcere. Fino a quando stiamo zitti e buoni dentro la nostra prigione tutto fila liscio, solo quando tentiamo di superare il muro perimetrale, e non ci riusciamo, comprendiamo che non siamo liberi e non lo siamo mai stati.
Attraverso il persistente sforzo teso al ricordo di sé si produce una trasmutazione alchemica che consente di costruire i "corpi sottili" e di trasferire in essi la nostra coscienza. Tali corpi sopravvivono alla morte del nostro corpo fisico. Stiamo quindi parlando di sopravvivenza alla morte e successivamente di « immortalità assoluta ».
Il nostro obiettivo consiste nel lavorare alla fabbricazione dei "corpi sottili", e al trasferimento della coscienza dalla mente al Cuore, dove risiede il nostro vero Sé. Ciò si ottiene grazie ai ripetuti sforzi tesi verso il ricordo di sé, il controllo dell'immaginazione negativa, la trasmutazione delle emozioni negative in emozioni superiori (le emozioni del Cuore) e il lavoro con l'energia sessuale.
Tuttavia è bene sottolineare che praticando tali metodi non ci stiamo limitando ad agire soltanto per il « corpo di gloria », poiché stiamo anche lavorando alla fissazione dei corpi "inferiori": l'« astrale » (o emotivo) e il « mentale », che nell'uomo ordinario non sono interamente sviluppati. Del « corpo mentale » si parla poco e anche io non mi soffermerò sulla costruzione di tale corpo, ma è bene si sappia che esiste questo passaggio intermedio fra il corpo astrale e il corpo dell'anima. La fissazione completa di tali corpi consente di ottenere poteri sovranormali.

(Parte Prima)

Fonte:Officina Alchemica

Nuovo inizio




Salve a tutti mi chiamo Fabio Sebastio e sono l'amministratore di questo blog "VERITAS".A dir la verità questo è più di un blog,è un progetto che ho iniziato che ha come finalità la CRESCITA,l'aumento della nostra consapevolezza e di conseguenza la CONOSCENZA.
Alcuni si saranno chiesti "Come mai il 15 Settembre alle 11.32"? Ora vi spiego:il 15 settembre è il giorno in cui la Luna raggiunge la sua pienezza(Luna piena) e l'orario in cui questo avviene in Italia è alle ore 11.32(per verificare osservate l'immagine digitale della Luna in real-time sul Menu a destra).Perchè la Luna Piena?Perchè rappresenta la piena Luce che illuminerà questo Blog e che segnerà l'inizio di un nuovo progetto (Progetto Veritas) volto a risvegliare la coscienza dormiente(o quasi) di ognuno di noi per ritrovare ciò che abbiamo dimenticato di ESSERE.
Il cammino è lungo e molto impegnativo perchè riguarda noi stessi e quando qualcosa riguarda noi stessi è sempre difficile trovare le risposte.Ma è proprio questo che ci spinge a volere di più e porci sempre più domande affinchè trovino la loro controparte...la RISPOSTA.E' questo il meccanismo tecnico della conoscenza,non esistono risposte senza domande viceversa non esistono domande senza risposte...Allora vi invito a percorrere insieme a me questo cammino per ritrovare quella UNITA' interiore che ci permetterà di evolverci e di ritrovarci.
VERITAS proporrà esercizi,riflessioni e consigli affinchè ognuno di noi possa ritrovare quel che ha perso o quello che ha dimenticato di avere...
BENVENUTI A VERITAS!


Fabio Sebastio (Veritas2012 amministratore Veritas)