Tecniche Viaggio Astrale:Tecnica del Distacco

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La prima cosa da fare , per avere una O.o.B.E. (Out of Body Experience) volontariamente , é credere che esiste la possibilità di uscire dal proprio corpo. Se ci sono dei dubbi è più difficile lasciarsi andare, perché uscire dal corpo non è altro che farsi trascinare da delle determinate sensazioni.
Il momento migliore è quando dormiamo perché riceviamo pochissime sensazioni dal corpo e la mente è meno caricata dai problemi della vita quotidiana. Anche il fatto di dover usare rigorosamente una tecnica può risultare inefficace perché mantiene troppo impegnata la mente, quello che voglio dire è che le cose devo susseguirsi spontaneamente.
A grandi linee ci sono due obbiettivi da raggiungere il primo è quello di non ricevere più informazioni dal corpo , in pratica annullare del tutto o quasi completamente la funzionalità dei cinque sensi (questa è la parte più semplice basta addormentarsi). Il secondo obbiettivo è sentire la sensazione
giusta. Ma come si fa a sentire la sensazione giusta? Cos'è la sensazione giusta?.
Quando ci addormentiamo si formano dei pensieri nella mente, all'inizio sono quello che abbiamo fatto durante la giornata ,quello che dobbiamo fare domani ,esperienze passate, in poche parole sono pensieri che hanno ancora una certa razionalità , se gli lasciamo scorrere e se non ci obblighiamo di pensare a delle determinate cose incominceranno a formularsi più velocemente e non seguiranno più un filo logico, saranno pensieri sconnessi che si intrecciano tra loro e a questo punto la mente è libera fa quello che vuole , voglio dire che stiamo iniziando a sognare. Adesso dobbiamo prendere coscienza e accorgerci di stare sognando ,se questo riuscirà bene ci sentiremo un po’ strani.Se ascoltiamo un brano musicale con delle cuffie ad un certo punto riusciamo a capire che il suono proviene dall'esterno , ma sta anche dentro la nostra mente.Basta concentrarsi poco per sentire che lamusica è dentro la nostra testa i suoni si formano nel nostro cervello, è li che esiste il suono! La stessa sensazione si ha quando ci si accorge di stare sognando, sentiamo il nostro essere i nostri pensieri non quello che ci sta attorno, è questa la sensazione giusta che intendevo prima. A questo punto per chi non ha mai avuto una O.o.B.E. dovrebbe sobbalzare sul letto e svegliarsi,chi invece ci è entrato involontariamente o è riuscito a prendere coscienza se si ferma ed espande le sue sensazioni sentirà le vibrazioni e a quel punto deve uscire dal suo corpo come se si stesse alzando dal letto col suo corpo materiale.

Fonte:http://www.viaggioastrale.it/

Tecniche Viaggio Astrale: Onda Azzurra

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Una delle tecniche più semplici ed efficaci e' quella di immaginare un'onda azzurra che ci pervade a macchia d'olio dai piedi alla testa. Ma andiamo con ordine, prima di tutto bisogna scegliere il luogo adatto, in genere la propria stanza da letto, considerata per la maggiore il luogo più tranquillo della casa poi accertarsi di non essere disturbati durante l'esercizio; un minimo rumore o preoccupazione, specie le prime volte può mandare a monte tutto il lavoro svolto sino a quel momento. Una volta scelto il luogo e prese le precauzioni accurate bisogna attenuare la luce dell'ambiente, possibilmente oscurare del tutto la stanza, per chi e' infastidito dal buio non c'e' problema i risultati ci saranno comunque forse con un po' di pazienza in piu' rispetto al buio completo. Sdraiarsi quindi sul letto se il luogo prescelto fosse la propria camera, o su un tappeto o altro di simile nel caso di altre stanze, la posizione deve essere supina, cioè completamente distesi a pancia in su con le braccia e le gambe leggermente divaricate; accertarsi di essere ben comodi e di avere la colonna vertebrale completamente diritta, evitare cuscini troppo alti. A questo punto comincia la tecnica vera e propria: chiudere gli occhi e cercare di svuotare la mente dai pensieri, se non ci riuscite perché qualche pensiero prepotentemente vi distrae, non preoccupatevi, lasciatelo scorrere, e passate oltre, lui svanirà nel nulla, sfumandosi nel vuoto che state creando........ Cominciate a respirare senza fretta, inspirare, trattenere ed espirare, dapprima normalmente, poi sempre più ampiamente e facendo una breve pausa tra una fase e l'altra sino ad arrivare al livello di vostro agio visualizzare il vostro corpo sdraiato, immaginatelo il più completo possibile, adesso soffermate lo sguardo sul vostro piede destro, entrate nei particolari, sulle dita e poi sul pollice e sull'unghia.... da qui inizierete a notare una macchia (un punto, una linea, un alone) di colore azzurro che comincia ad espandersi sia al di fuori del dito che al di dentro, trapassando i peli la pelle le ossa i tessuti sanguigni; seguitela visivamente mentre pervade il dito pollice passando poi alle altre dita, una ad una, poi al piede e su per la caviglia, il tutto molto lentamente e continuando a respirare profondamente.... Il blu continua a salire e a penetrarvi, passando alla coscia e arrivando al linguine. Ora fate lo stesso procedimento per la gamba sinistra mantenendo sempre viva l'immagine della gamba destra ormai tutta blu, sino a congiungere le due parti nel bacino inferiore.... Notare che man mano che l' onda blu tocca le parti del corpo che visualizzate esse si rilassano dolcemente. Procedete con la visualizzazione del blu che sale dal bacino verso il torace, inglobando stomaco ombellico, costole, reni, vene, pelle e così via salendo su sino al collo, da qui passate al braccio destro, come per le gambe partire dal dito per espandersi alla mano, al polso, all'avambraccio, al braccio, alla spalla per congiungersi al collo, questo anche per il braccio sinistro. Ogni parte man mano si rilassa, tenete sempre in mente che il vostro corpo adesso e' blu nelle parti coperte dall'onda.... Dal collo passate al mento alla bocca, alle gengive ai denti, alla nuca, al cervello ai capelli, su sino a completare nella parte più alta della testa..... Adesso ammirate il vostro corpo che e' diventato blu, lasciate andare il respiro, lasciatelo fluire liberamente, man mano si attenuerà da solo, non fateci più caso, rimanete vuoti contemplando il vostro senso di rilassamento; quando vi sentirete pronti cominciate ad immaginare che le parti del corpo si distaccano lievemente, da quelle reali, cioè immaginate un doppio del vostro corpo che prende forma dal distaccamento di quello vero, tipo un lieve alone col profilo del vostro corpo nella parte anteriore, lasciatevi andare, non pensate, non esiste più nulla non esiste il respiro, non esistono le forme, non esistono stimoli.... tutto e' immobile, in una stasi perpetua... quell'alone appena distinto dal corpo siete voi, leggeri e soffici che lentamente vi sollevate verso il soffitto, impercettibilmente voi siete svegli e galleggiate sopra il vostro corpo..... Adesso provate a guardarvi attorno, la luce vi pervade, la trasparenza del vostro corpo azzurro e' sorprendente, provate a guardarvi le mani, provate a muovervi, basta pensare di muoversi e ciò avviene... Se e' la prima volta che vi siete sdoppiati non restate fuori a lungo, il vostro corpo fisico non e' ancora abituato ad avervi fuori coscientemente e potrebbe stancarsi troppo, quindi rientrate, basta pensarlo, o addirittura non ne avrete neanche il tempo, vi ritroverete a contatto con il corpo senza neanche accorgervene... le prime volte e' molto difficile rimanere fuori, l'attrazione del corpo e' molto forte!! Per destarsi dalla fase di torpore cominciate a riprendere il respiro, dolcemente, per aumentarne il ritmo lentamente, immaginate nel frattempo un vento rosso, caldo che dalla vostra testa soffia verso i piedi, sfumando l'azzurro che man mano scompare, appena vi sentirete pronti cominciate a muovere le dita dei piedi, poi delle mani, poi i piedi, le mani e così via, sino a prendere piena coscienza del vostro corpo, infine stiracchiatevi come fareste la mattina così da riattivare nel modo migliore le funzioni del corpo.

Fonte:Viaggioastrale.it

Viaggio Astrale

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Il viaggio astrale è la possibilità di uscire dal proprio corpo. Questa possibilità per quanto sembri incredile avviene al contrario molto più spesso di quanto noi crediamo. Il processo di uscita può avvenire in modo spontaneo o in modo voluto. Lo scopo della nostra ricerca è riuscire a provocare un viaggio astrale a nostra volontà. Facciamo un passo indietro: mai sentito parlare di persone che dopo aver avuto un incidente o durante un'operazione in ospedale, raccontano di aver assistito ai fatti accaduti da un punto di osservazione diverso da quello posto nel loro corpo fisico? Queste persone generalmente raccontano di aver assistito all'arrivo dei soccorsi o allo svolgimento della loro operazione galleggiando sospese a mezz'aria. Tecnicamente le loro uscite dal corpo vengono definite come "esperienze di "premorte", alcune persone hanno in quei momenti anche esperienze visive di loro cari scomparsi, tunnel di luce, sensazioni di immensa pace o amore etc. Lo scopo di questo sito è di ricreare in modo volontario una situazione parallela alle esperienze di premorte ma con sfumature esplorative nettamente diverse da taluni eventi.

Un viaggio astrale cosciente ed indotto ha nella maggior parte dei casi lo scopo di trovare un contatto con la nostra parte spirituale o più semplicemente di provare e sperimentare stati non fisici e possibilità illimitate nonché sperimentare le proprietà tipiche di un trapassato, come volare, passare attraverso le cose, spostarsi a grandi distanze senza un movimento effettivo etc. Le possibilità in un viaggio astrale però sono ben maggiori di quelle sopra descritte e la logica descrittiva di questa pagina perde senso e diventa riduttiva se vista con la fisicità del nostro cervello. Sensazioni come immensa libertà, realizzazione di concetti inpensabili in termini umani, possibilità di plasmare l'ambiente non sono facilmente riproducibili in questo testo. Ma come possiamo uscire dal corpo evitando situazioni drastiche come incidenti o operazioni? Il primo passo è semplicemente essere diventati consapevoli che questa possibilità esiste ad esempio avendo letto questo stesso articolo. In aggiunta, almeno inizialmente, possiamo passare attraverso le numerose tecniche di respirazione, meditazione, addormentamento controllato, stimolazione visiva, uditiva e chi più ne ha più ne metta, ma sappiate che una volta raggiunto l'obbiettivo forse vi accorgerete che il viaggio astrale era proprio ad un istante da voi e non ve ne eravate mai accorti. Molte critiche additano il viaggio astrale come un sogno autoindotto o illusione mentale.

Per chi veramente ha sperimentato questa meravigliosa esperienza tali critiche appaiono ridicole e riduttive in quanto un viaggio astrale cosciente risulta più concreto e reale della stessa vita fisica, tanto da indurre una vol a rientrati nel corpo e destati dal sonno ad una sorta di confusione perché un attimo prima eravamo totalmente svegli. Il contorno di dettagli, sfumature, percezioni, emozioni eccetera legati ai tentativi di uscire dal corpo sono molteplici e spesso moltissime domande sorgono a chi per le prime volte si affaccia a questo "nuovo" mondo.

Fonte:http://www.viaggioastrale.it/VA.php

6 passi per essere presenti a se stessi

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La consapevolezza si esercita con piccoli gesti e piccole attenzioni che sviluppano apertura nei confronti del mondo e allargano gli orizzonti percettivi di ciò che siamo e ciò che vogliamo diventare.

Prima di cambiare il mondo dobbiamo saper cambiare noi stessi. E quando abbiamo cambiato noi stessi abbiamo già cominciato a cambiare il mondo.

Cambiare non vuol dire diventare altro da ciò che siamo, ma vuol dire lasciare da parte ciò che crediamo di essere o ciò che gli altri vogliono che noi siamo, per entrare invece più in contatto con la nostra natura autentica con ciò che vogliamo, che sentiamo, che crediamo e con ciò che possiamo effettivamente diventare se solo diamo fiducia e sostegno alle nostre potenzialità sopite.

Questo processo si innesca imparando a diventare presenti a noi stessi, creandosi spazi e tempi di silenzio interiore da cui lasciar emergere nuovi colpi d'occhio sulla realtà, nuove risposte e, soprattutto, nuove domande.

Potremo così cominciare a indirizzare la nostra vita verso attività che abbiano un senso per noi, rimettendo in gioco – come dice il sociologo Domenico De Masi – gli equilibri che la nostra vita ci costringe a rendere definitivi, aprendoci all'innovazione, al rinnovamento, al cambiamento, all'apprendimento e alla crescita.

  • Cosa ci piace veramente?
    Sappiamo rispondere a questa domanda? Conosciamo le nostre più profonde esigenze e sappiamo scegliere ciò che è meglio per noi senza farci condizionare dall'abitudine o dalle convenzioni nelle nostre scelte? Non è mai troppo tardi per imparare, basta iniziare a porsi la domanda e porsi in ascolto, per cogliere le risposte.


  • Tempo per sé
    Spesso troviamo un senso alla nostra vita semplicemente affannandoci per gli altri e disperdendoci in mille attività. Ma finiamo col dimenticare noi stessi, e non potremo mai essere veramente utili agli altri se non avremo prima imparato a fare i conti con noi stessi. Prendiamo tempo, quindi, e dedichiamocelo, per una volta.


  • Osare
    E' nell'oltrepassare i propri limiti che ci sentiamo ancora più vivi e che sperimentiamo in pratica la nostra capacità di modificare la realtà con il nostro contributo. Non facciamoci limitare da idee preconcette di noi stessi, non rassegniamoci a dipendere dalle nostre paure e dalle nostre incertezze. Andiamo oltre, è possibile!


  • Essere curiosi
    Il mondo è piccolo quando non alziamo gli occhi dal nostro giornale o dalle pratiche che dobbiamo sbrigare. Diventa immenso quando ci permettiamo di guardarci attorno, di cogliere ogni occasione per imparare qualcosa di nuovo per scambiare esperienze e informazioni con chi ci sta vicino e chi ci sta lontano, scoprendo così cose che, da soli, non avremmo mai conosciuto.


  • Ritrovare la passione
    Non è nel distacco ma nell'amore per la vita che si esprime il più alto grado dell'umanità. La capacità di provare forti emozioni nasce dall'interno, non dipende da un oggetto piuttosto che da un altro, nasce dalla disponibilità a lasciarsi trascinare dal vento della vita, senza perdersi, ma giocandoci insieme, come potrebbe fare un abile
    velista.


  • Coltivare la meraviglia
    Anche la capacità di divertirsi e di vivere appieno il presente non nasce dall'esterno ma da una disponibilità interna. Il mondo è sempre nuovo, giorno dopo giorno, momento dopo momento. Aprendo la mente ed educandola a cogliere l'unicità di ogni istante, trasformiamo il nostro tempo in un'avventura senza fine.

Fonte:http://blog.libero.it/SoleAdOriente/7707300.html

Cos'è la luce nera? Elémire Zolla ripercorre millenni di profonde ricerche sul mistero della Luce

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La domanda è fra le più sconvolgenti, perché a volerla portare fino in fondo, si deve giungere a trovare il nucleo della luce in uno splendore nero, anteriore al fulgore solare. Una torsione che molte menti non vorranno mai compiere. Tanto che sulla luce le idee sono quasi sempre confuse e contraddittorie. Esaminiamo ciò che sulla luce si è pensato in Israele. La Genesi fa operare un Dio che all'inizio, per prima cosa crea la luce di contro alla tenebra e la trova buona.

Compare così la prima coppia di opposti che lottando suscitano la realtà, ma essi sono anteriori alla luce che noi vediamo, poiché il sole sarà creato soltanto al quarto giorno del Genesi. Dunque la luce primordiale è anteriore a quella visibile, la tenebra primordiale anteriore a quella che ci aggredisce e circonda la notte. La coppia lucetenebre sarebbe, alla luce della Qabbalah tarda di Sfat, il primo segno che Dio ha cominciato a ritrarsi su se stesso, lasciando uno spazio libero teso tra luce e buio.

La Qabbalah dirà che l'azione emanativa di Dio nel mondo si può anche denotare come un'azione restrittiva che apre il mondo all'essere lungo due linee distinte, una di luce, che ìrraggia via via sapienza, misericordia, vittoria, un'altra opposta, di luce soverchiante, acciecante, che sembra nera, fatta via via di conoscenza, violenza, gloria. A questo punto per il pio l'opposizione fra tenebra e luce diventa apparente.

La meditazione cabbalistica si concentrò sul fuoco che arde un legno e distinse nella vampa la parte inferiore, la radice nera che sta aggrappata al legname e lo divora per poi espandersi in un bagliore rosso, il colore dei crepuscoli accesi, e infine affinarsi dal giallo al bianco, quando scompare, diventa invisibile, ma bruciante. Su questo spettacolo meraviglioso i cabbalisti hanno meditato nel secoli. Nella pratica ebraica c'è una grande festa della luce che cade al Natale dei popoli circostanti in Europa, il genetliaco del sole che fu poi attribuito al Cristo.

Gli Ebrei la chiamano festa della dedicazione, e non si concentrano sulle linfe che ora salgono nei tronchi degli alberi, ma sul fatto che quando Mosè dedicò l'altare a Dio vi scese dai cieli una luce che deflagrò. Per celebrarla si accendono candelabri o lampade e sotto la loro luce nulla di profano si deve compiere. Radicalmente diversa fu la concezione della luce fra i cristiani. Davvero non si vede come possa conciliarsi il dettato del Vangelo di Giovanni col Genesi.

Per l'Ebreo Dio come potenza creatrice pose i cieli e la terra informe, una distesa di acque tenebrose su cui aleggiava lo spirito divino, quindi separò luce da tenebra, giorno da notte. Il Dio di San Giovanni è consustanziale alla "parola", grazie alla quale tutto fu fatto all'inizio e "in" essa era la vita che fu luce agli uomini e che le tenebre mai hanno ricevuto. I teorici cristiani ne ricaveranno che Dio fosse trino, composto di un Figlio e di uno Spirito oltre che di se medesimo quale Padre. La luce gli è intrinseca, non è dunque creata.

Fra l'ebraismo ed il cristianesimo c'è un contrasto violento, il Dio di Israele crea la luce primordiale, anteriore al Sole, il Dio trino dei cristiani ha in sé la luce come suo carattere essenziale. Alla fine del lungo esercizio di conciliazione fra San Giovanni e Genesi la meditazione cristiana culmina nel Paradiso perduto di John Milton. Il poema incomincia descrivendo l'inferno dove sono precipitati gli angeli ribelli, un carcere orrendo, una vasta fornace le cui fiamme tuttavia non spandono luce, ma diffondono una "oscurità visibile".

Che significa l'ossimoro? Forse qualcosa di simile all'oscurità in cui si orientano i pipistrelli vaganti con i loro radar nella notte? E' un'oscurità angosciata, la visione non vi si accende, le fronde non ne traggono la loro verzura. Dopo i due primi canti, il terzo invece si apre con un'esclamazione di festa, un'esplosione di luce: Hail holy light: Salve sacra luce! La luce primordiale è sacra, primogenita, direbbe un seguace del Genesi ebraico, ma un cristiano tenderebbe invece a vederla come un raggio coeterno dell'Ewrno, poiché Dio è luce.

Milton non osa decidere, la luce primordiale per lui è of heavenfirst-born, primogenita del cielo, come aveva detto Roberto Grossatesta nel Medioevo: la prima forma corporea, ma potrebbe anche essere of th'Eternal co-eternal beam, raggio coeterno dell'Eterno, come si può già leggere nella Sapienza, dove Dio è chiamato luce eterna. Dopo aver proposto le due tesi contraddittorie, Milton fa una domanda curiosa, May I express the unbIamed? Posso esprimere ciò che non è incolpato?

E' un modo di domandarsi se possa esprimere Dio e il primo atto creativo. O è anche un modo di suggerire che soltanto l'incolpato si può esprimere? Continua il canto disteso sulla luce: " Dio è luce e fin dall'eternità ha sempre dimorato nella luce inaccessibile, effusione brillante di brillante essenza increata. 0 si preferisce sentir parlare di una corrente eterea la cui sorgiva è indescrivibile? Prima del sole, prima dei cieli tu luce fosti e alla voce di Dio avvolgesti come di un mantello il mondo delle acque scure e profonde che sorse, strappata al vuoto infinito e informe". Credo sia lecito e giusto affermare che la melodia maestosa di Milton copre una confusione, sommerge nella sua piena lirica il contrasto insanabile del Genesi e del Vangelo giovanneo.

All'inizio delle riflessioni cristiane apparve un testo sublime, la Teologia mistica dello Pseudo Dionigi l'Aeropagita e fu assunta tra i documenti fondamentali, da essa presero l'avvio le innumerevoli meditazioni mistiche sulla luce nei secoli. Parte da Dio come Trinità, cui si rivolge però col rigore di un metafisico ebreo, dicendo: "Tu sei aldilà dell'essere, del divino, del bene". Ci costringe così in apertura ad un regresso aldiqua di questi concetti sui quali siamo fondati; sbarazzati dei quali, dobbiamo dire di trovarci dinanzi al nulla. Se siamo in grado di reggere a queste spoliazioni, ci troveremo in una caligine lucente, in un silenzio parlante.

Lo Pseudo Dionigi dà per attinta questa condizione iniziatica e aggiunge: "Quanto più fitta è la tenebra, tanto più risplende e altamente irraggia; quanto più è impalpabile e invisibile, tanto più inonda di mirabili splendori le menti senza sguardo per le cose sensibili". Si propone qui un'idea di Dio come caligine raggiante, posta aldisopra dell'essere, né anima, né spirito, né parola, né pensiero. Ma portandoci a questo livello, lo Pseudo Dionigì non sta forse tradendo il testo giovanneo? Se Dio non è parola, se non è luce, che rapporto avrà mai con quel Dio consustanziato di parola e di luce?

In realtà il Dio dello Pseudo Dionigi sfugge alle parole, alle nozioni, non è tenebra e non è luce, semmai è tenebra lucente, luce nera. Lo Pseudo Dionigi conclude: "Precisiamo infine quest'ultima cosa, né affermazione né negazione sono degne di Lui. Che anzi, sia che si possa affermare, sia che si possa negare, noi nulla affermiamo o neghiamo di Lui". Come dirà verso la fine della Scolastica Nicola di Autrecourt, ' Dio è" e ' Dio non è" esprimono lo stesso significabile, alterando soltanto i significanti ('è', "non é"). Quale assurdo, a questa altezza metafisica, parlare della luce di Dio!

Eppure perfino della luce nera ben pochi mistici nei secoli osarono mai parlare. Fu interessante nella Cristianità la sopravvivenza di una nozione di luce ereditata dall'esoterismo antico: la luce sarebbe il quinto elemento dopo terra, aria, acqua, fuoco e avrebbe un carattere seminale, procreativo e compaginante, servirebbe a connettere l' anima al corpo. Questa luce che è seme, etere, forza connettiva sarebbe sepolta nella materia, da cui l'alchimia si sforza di estrarla.



Roberto Grossatesta ne approfondì il concetto: la luce illuminante è un punto inesteso, ma emana e forma una sfera, per poi ritornare nella sua inestensione, le cose del mondo sono materia che partecipa a questa prima forma esemplare in vario modo e gradatamente. Dalla sapienza antica giungeva la dottrina platonica, che faceva precedere la luce visibile da quella intelligibile, che i neoplatonici facevano coincidere con l'uno. Da questo promana la luce solare, come lume da lume. Il mondo antico insegnava dunque a orecchie non sempre aperte che anteriore alla luce che illumina il mondo esiste una luce mentale, nera.

Ma per intendere il pensiero occidentale sulla luce occorre andare dietro al pensiero greco, esplorare i detti dei libri sacri iranici, impostati sull'idea che da un re sacro emani una luce abbagliante che fa tutt'uno col suo destino glorioso, con la sua qualità di vincitore, una luce che fa trionfare, come la futura Nìke greca, dominare, come il futuro Michele cristiano, fa vedere tutto ciò che nel mondo accade. Non è la luce che scende dal sole o dalla luna, questa emana direttamente dal cuore del sovrano e gli circonda la testa, si chiama xvar nah parola legata a hvar, sole. Ritroviamo la stessa radice indoeuropea suel nel sanscrito, nella parola svar, e nell'India troviamo la spiegazione più accurata della luce e della sua genesi.

Esiste una luce visibile, che irraggia il giorno, ma esiste una luce più fina, che proviene dalla mente stessa e delinea le figure dei sogni notturni. Questa è la luce più intrinseca all'uomo, anteriore all'esterna. Se la realtà visibile è un'illusione, un sogno, la sua luce sarà meno reale di quella dei sogni veri e propri. La Brihadaranyaka Upanishad (IV 111) spiega che l'intelletto emana l'essenza della luce come puro fulgore jyotih e in essa sta l'essere, atman. A distanza di millenni queste riflessioni ci appaiono ancor più evidenti: sappiamo che onde (un'esigua frazione dello spettro elettromagnetico) lambiscono il cervello, che le trasforma in immagini.

Fuor della mente esistono soltanto queste onde minime che registriamo sulla retina, ma la luce proviene da noi. Sicché la luce che traccia le figure del sogno è anteriore ontologicamente alla luce che delinea la realtà della veglia. La luminescenza del sogno è la prima forma della luce. Al sommo si deve porre l'intelletto puro o lume nero, che si esprime proiettando il lume dei sogni prima e poi la luce diurna esteriore. La Kena Upanishad dice che l'essere creatore, brahamn è un lampo, un batter di palpebre.

Nella Brihadaranyaka Upanishad il re discorre con un sapiente ed estrae nel più semplice dei modi la dottrina della luce. "Qual è la luce che muove l'uomo?", domanda, e il saggio risponde prima il sole, e quando esso manchi, la luna e quando anch'essa manchi, un fuoco acceso. Ma senza nessuno di questi lumi esterni e visibili, da che cosa sarà mosso l'uomo? Da un discorso che gli dia luce. E quando non ci sia nemmeno un discorso? l'uomo si reggerà nel buio e nel silenzio, mercè il suo semplice essere, che è la luce coinvolta nei soffi che lo reggono, emananti dal cuore dove la luce cova nascosta (IV, 3, 1-7).

Una luce nera. Ancor prima di queste dimostrazioni filosofiche c'era stata la verità vedica, espressa in forme mitiche, ma profonde e ancor oggi vive nei riti quotidiani dei fedeli indù. Giorno e notte erano vedicamente due aspetti del cosmo, che si unificavano nell'Androgino o Torovacca, l'Intermedio che fu emanato dalla voce divina. Il cosmo è retto da una colonna che si esprime col nome di Aum e nella forma della luce come occhio e fuoco uniti. Nome e forma sono due principi che reggono ogni realtà. Meditando sul nome Aum si comprenderà dunque il significato della luce.

I trattati di meditazione insegneranno questo esercizio: ci si concentri sul proprio cuore immaginandolo come un loto inclinato. Si opererà su questa forma, sollevandola, e quindi guardandole dentro. Dovrà emergere dal suo cuore la luce. Si vedrà al centro la lettera A, il disco solare, la veglia; approfondendo la lettera U, il disco lunare, il sogno; approfondendo ancora la lettera M, il sonno senza sogni. Ma chi medita a fondo procede aldilà di questa triade, fino a quella che si è chiamata una catalessi, una consapevolezza nel sonno, uno stato di liberazione e nel loto del cuore si dovrà vedere il vago mormorio, l'estinguersi della M, la luce nera.

Costante ritroviamo la scoperta di questa luce nera aldisotto dei fulgori diurni nella tradizione greca, in quella indù, ma anche nella filosofia persiana, dove nei secoli si è svolta con precisione incantevole e Henry Corbin la seppe esporre ad un Occidente ignaro e confuso. E' come se la xvar nah dei tempi zoroastriani si trasmettesse ai filosofi dell'epoca islamica: Qotboddiri Shirazi chiarnerà xvar nah la luce che dalle Intelligenze immateriali scende nell' anima mercè gli esercizi spirituali svolti con la volontà ferrea di attingere i piani soprannaturali dell'essere.

Questa luce attinta nella meditazione è un elisir, è il nimbo dei re antichi, è la folgore divina. La tradizione islamica era fondata su un raptus coranico ìntorno alla luce, alla sura XXIV: " Dio è la luce dei cieli e della terra e si rassomiglia la sua luce a una nicchia in cui è una lampada e la lampada è in un cristallo ed il cristallo è come una stella lucente e arde la lampada dell'olio di un albero benedetto né orientale, né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se nessun fuoco lo tocchi. E' luce su luce".

Al Ghazali scrisse un sublime trattatello su questo passo, interpretando la nicchìa come la sensibilità dell'uomo, la lampada come lo spirito profetico e il fuoco come lo spirito divino, mentre Dio soltanto è in se stesso luce. Quando questa luce scende nel cuore sfolgora la lampada. Il cristallo è l'immaginazione, che va purificata e corretta finchè diventi pura trasparenza immaginale degli archetipi. L' albero è lo spirito ragionante e l'olio che se ne trae è lo spirito profetico. Impregnato da Plotino, Al Gliazali afferma che la parola luce data a cosa diversa da Dìo è una pura metafora senza realtà.

Ma la prima accezione, volgare, dì luce designa ciò che è visibile e rende visibili altre cose, come sole, luna, fuochi; la seconda accezione, propria di chi abbia elevatezza, designa la facoltà visiva. Ma cè una terza accezione, la più veridica, per cui la luce è la facoltà intellettuale, che tutto vede. L' occhio merita la parola luce più della luce, l'intelletto ancor più dell'occhio (e luce è Dio!). Forse fu Sohrawardi il filosofo che ne seppe parlare con la massima precisione e poesia, specie nel Racconto dell'arcangelo imporporato.

"Dov'è la fonte di vita Egli si domanda, e risponde: - Mettiti i sandali di Elia profeta e avviati fiducioso là dove si ha piena coscìenza della tenebra. Quando di tenebra sarai tutto circondato e serrato, quando sarai confitto nella notte, avrai fatto il primo passo. Seguiranno stupefazioni e strazi, poichè da questo punto di vista la realtà si capovolge. Ma alla fine attingerai la fonte e lì scorgerai il lume. Non scappare, ma bagnati ìn quella luce, Dopo non potrai più essere colpito o insudiciato. Immergiti in quella luce e dirai: "Dinanzi a me le letture si allontanano, Presso di me i sensi si aguzzano".

Si potrebbe recitare anche un altro passo di Sohrawardi: "Eleva la salmodia della luce, Soccorri il popolo della luce, guida la luce alla luce". Infinito tema è questo della cerca nella tenebra. Lo riprese Najmí Kobrá, Egli esorta a chiudere gli occhi e a vedere così la luce. Dice: Tu vuoi vedere, ma l'oscurità della tua natura ti sta così addosso che ti impedisce la vista interiore. Se vuoi vedere la luce tenendo gli occhi serrati, comincia con l'allontanare o diminuire qualcosa nella tua natura". Occorre lottare nel farlo, salmodiando, finchè si vedrà la nube nera del male diventar rossa e infine sbianchire.

Alla fine sfolgora una luce verde, la luce smeraldina della conoscenza, emanante dal cuore. E' la stessa luce d'origine cordiale di cui ci parla il buddhismo himalayano, concretandola in una figura di fanciulla sfolgorante, la Tara verde, traghettatrice verso la liberazione. Un allievo di Kobrá, Najm Rázi (nato nel 1256) parlò più a lungo dei colori accesi nella vista interiore. Prima è il bianco dell'abbandono, poi il giallo della preghiera, il turchino della benevolenza, il verde dell' anima pacificata. E' forse lo stesso verde dì cui parlava come termine ultimo dell'ascesa Kobrá; ma Rázi aggiunge dopo di esso la luce glauca della certezza e la rossa dell'intelletto attivo, divino.

Infine giunge alla luce nera, alla settima tappa, la suprema, dell'amore estatico, al fondo entusiasta e urlante dell' anima. Nera è la maestà che incendia e annienta, dìce Rázi, la suprema teurgia, l'aldilà dei sei colori, della bellezza, il sublime che fa esistere, in cui pullula la fonte della vita. Lahiji nel Roseto del mistero insiste sull'annientamento di noi stessi che avviene nel nero smagliante, nella notte fonda e abbagliante, nel mezzogiorno tenebroso.

Sarà superfluo citare le notti mistiche dell'Europa secentesca, che propongono la stessa verità: dal nero assoluto sprigiona ogni luce, prima del sogno, quindi della realtà. Per raggiungere questo luogo spirituale supremo, occorre fare un viaggio pericoloso. Osò parlarne con la massima precisione Ibn 'Arabi, dicendo che per farlo si deve diventare animali: spogliarsi della ragione umana e ridursi alla percezione della fiera, soltanto a questo patto si avrà la visione degli archetipi supremi. In Ibn 'Arabi è consegnato ad una pagina delicata e sottile il messaggio ripetuto con costanza in tutte le civiltà sciamaniche.

E' un messaggio che s'intreccia a quello che ci arriva dagli sciamani Iglulik del Labrador, che, Rasmussen riferisce, si isolavano nella tenebra in attesa che la luce erompesse dal loro interno, e sapevan tramutarsi nelle varie belve della loro terra e del loro mare. E' lo stesso messaggio che ci lasciano i romitì tibetani sequestrati ìn stanze buie in attesa dì scordare la differenza tra tenebra e luce, concentrandosi sulla luce emanante dalle proprie viscere. Lo stesso messaggio infine emerge dai maestri taoisti, intenti a far fiorire il loro addome, a farlo accendere di lumi.

Così essi interpretavano il detto di Lao zi:"Riempi il ventre e svuota il cuore", Visitavano nella fantasia paradisi dove gli alberi di vita e le acque cristallline fornivano cibo e bevanda da tramutare il nero ventre in mille luci, assorbivano gli effluvi degli astri, finché il fegato produceva un ragazzo vestito dì verde, legato agli occhi; il cuore, legato al sangue, un ragazzo vestito di rosso; i polmoni ed il naso un ragazzo vestito di bianco; la milza legata a digestione ed escrezione un ragazzo vestito di giallo; la cistifellea legata al vigore dei soffi un ragazzo vestito di ogni tinta, un arlecchino; i reni infine, al fondo del corpo, un ragazzo vestito di nero. I maestri taoisti insegnavano anche ad assorbire i raggi del sole, facendoli scendere nei piedi e salire alla testa, fino a restame arrossati in volto, simili ad un astro. Facevano scendere il soffio solare del cuore, salire quello lunare dei reni e li fondevano insieme.

Abbiamo colto cenni al culto della luce nell'occidente diviso tra la tradizione ebraica e la cristiana e poi nei vari mondi, il persiano, l'ìndù, il cinese. Dovunque emergono delle verità universali, da tutti riconosciute per poco che la mente abbia meditato a fondo. La luce è un'illusione, sia l'esteriore, che ogni crepuscolo ci toglie in un bagliore rossastro, sia l'interiore che disegna le immagini del sogno e della meditazione profonda nella mente. Ma se si accetta la tenebra totale e ci si immerge in essa, si vedrà finalmente la sua luce nella fonte della vita, dice l'immaginoso Persiano. In parole diverse ripetono unanimi questa sequela gli sciamani, i sapientì ìndù e i maestri platonici.

Fonte:http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zolla/luce.htm