Praticare per ingentilirsi (Prima parte)

http://pomodorozen.files.wordpress.com/2009/03/001-6.jpg

Il duro e il tenero

Qualche tempo fa mi è capitato di incontrare un gruppo di persone che non vedevo da circa trent’anni. Ciò che mi ha colpito di più è stato l’indurimento che si notava in loro rispetto a quando erano più giovani. Questo irrigidimento si manifestava in modi diversi per ciascun individuo. In un caso era soprattutto amarezza, in un altro prevaleva l’auto-compatimento, mentre una terza persona mostrava segni evidenti di quella che la psicologia definisce rabbia cronica. L’episodio mi ha portato a riflettere sul fatto che la pratica della meditazione va in direzione opposta, nella direzione di una progressiva apertura, elasticità e ingentilimento.

Non voglio dire che se uno non pratica, inevitabilmente finirà per indurirsi col passare degli anni. Posso pensare a individui che, senza alcuna pratica, col tempo si sono ammorbiditi. Tuttavia, mi pare che la tendenza a indurirsi sia piuttosto frequente. Forse è parte del samsara, ma se non ci prendiamo cura di noi stessi percorrendo una via spirituale, facendo qualche tipo di lavoro interiore, è molto probabile che nel corso degli anni dovremo fare i conti con questo indurimento.

Se pensiamo a tutti gli elementi che costituiscono la pratica, vediamo che essi sono fatti per renderci più morbidi, più gentili, più duttili. La metta, la gentilezza amorevole è una pratica di intenerimento; l’equanimità, la consapevolezza, la compassione e la saggezza possono aprirci e scioglierci fino all’impensabile. E tutto ciò è il contrario del processo di indurimento.

La relazione con lo spiacevole

Un’area cruciale ove convogliare la nostra energia di praticanti è la relazione con lo spiacevole. Tale relazione, attraverso la pratica, deve cambiare in modo radicale. La base più importante perché ciò accada è, ovviamente, sviluppare interesse a lavorare con i fatti spiacevoli delle nostre vite. Senza un simile interesse, senza un simile combustibile, non potremo lavorare con lo spiacevole. Al contrario, continueremo a evitarlo con cura e quindi ad aumentare la sofferenza.

Un maestro di Vedanta lo ha detto splendidamente:

Apprezzate tutto, sole e pioggia, salute e malattia. Questo è un approccio rivoluzionario al lato doloroso della vita. Non dite più: "È terribile". Dite piuttosto: "È molto interessante". Cancellate proprio dal vostro vocabolario l’espressione "è terribile", e dite piuttosto: "È interessante e molto prezioso, perché mi farà progredire e mi aiuterà a portare la mia esistenza alla pienezza della vita umana". E questo svilupperà naturalmente saggezza .

Egli continua spiegando che un momento fondamentale nella sua vita fu quando disse a se stesso:

Ho passato quarant’anni della mia vita nel buio, perché non capivo questo punto. E ora, presto, che una situazione difficile possa presentarsi, per farmi mettere immediatamente in pratica quel che ho capito, prima che me lo dimentichi .

Naturalmente l’interesse non riguarda la sofferenza o la spiacevolezza, ma piuttosto il lavorare con la sofferenza e con lo spiacevole. Interesse, gentilezza, rispetto, tenerezza: appartengono tutti alla stessa famiglia.

I nostri itinerari educativi per lo più non contemplano alcun addestramento per fare questo tipo di lavoro, il che è una delle ragioni per cui il sangha, la comunità dei praticanti, è tanto importante. Altrimenti ci ritroviamo del tutto isolati in un’impresa così essenziale.

Supponiamo di essere preoccupati. Possiamo osservare gentilmente la preoccupazione? Possiamo essere rispettosamente attenti a una preoccupazione? Stiamo parlando di uno di quei sentimenti dei quali vogliamo solo sbarazzarci e nei confronti dei quali proviamo soprattutto avversione. Inoltre abbiamo la tendenza a identificarci con essi. Ed è impossibile contemplare qualcosa in cui siamo totalmente identificati. Si tratta del classico rapporto sbagliato con lo spiacevole. Attraverso la pratica, tuttavia, possiamo vederlo meglio. E più lo vediamo, più sviluppiamo interesse a lavorarci, fino al punto in cui ci accorgiamo che, in realtà, non c’è alternativa. Quale sarebbe infatti l’alternativa? Soffrire! Anzi, soffrire di più. Allora, rendendoci conto di tutto ciò, la motivazione e l’interesse aumentano e questa è la nostra fortuna, il nostro buon karma. Senza un simile interesse, infatti, non è possibile affrontare le afflizioni mentali (o kilesa), data la loro potenza. Abbiamo perciò bisogno della forza dell’interesse che, come si è detto, appartiene alla stessa famiglia della tenerezza e del rispetto.

Risvegliare la consapevolezza e mantenerla

Nella tradizione meditativa della vipassana si considerano due momenti nell’applicazione dell’attenzione: vitakka e vicara. Vitakka significa connettere, collegare la consapevolezza con l’oggetto, per esempio con il respiro. E vicara significa mantenere la consapevolezza sul respiro. Nel primo momento c’è il connettere, e poi c’è il mantenere: connettere, mantenere, connettere, mantenere. Ora la stessa cosa avviene quando lavoriamo con le situazioni spiacevoli. Primo, dobbiamo risvegliarci a osservare tali situazioni con interesse e gentilezza. Secondo, dobbiamo imparare a rimanere svegli, rimanere rispettosi, rimanere interessati. A volte diciamo: "Oh sì, ero consapevole. Quando è successo questo fatto, sì, avevo la presenza mentale". Ma ciò che vogliamo dire veramente è che abbiamo avuto un lampo di consapevolezza. Benissimo. Molto meglio di niente; enormemente meglio di niente. Ma era solo un lampo, solo la connessione, non era il mantenere. Era solo vitakka, ma non vicara.

Perciò, risvegliandoci e imparando pazientemente, un anno dopo l’altro, a rimanere svegli, a rimanere interessati, a rimanere gentili, a rimanere morbidi, a rimanere teneri, cominceremo a riuscire, tra alti e bassi. In fondo questo è il modo in cui impariamo le cose, compresa la meditazione. Se ci pensiamo, vediamo che quello che succede è: consapevolezza, accettazione, più consapevolezza. Ossia diventiamo più consapevoli della sofferenza che è implicita nell’avere una relazione sbagliata con lo spiacevole, sofferenza prodotta dall’identificazione. Avendo maggiore consapevolezza, diventiamo più propensi all’accettazione dello spiacevole, perché abbiamo visto quanto è doloroso indurirsi e resistere.

Spontaneamente, quindi, dalla comprensione nasce l’accettazione o il lasciar andare. E dall’accettazione a sua volta nasce la capacità di maggiore consapevolezza in una situazione difficile. È come un circolo virtuoso. L’essere stati in una posizione di accettazione ci rende più motivati a risvegliare la nostra consapevolezza, perché accettazione e consapevolezza sono due dimensioni molto vicine.

Nel processo di irrigidimento succede l’opposto. Dalla mancanza di consapevolezza di tutta la sofferenza che creiamo derivano paura e non accettazione, il che riduce ulteriormente la consapevolezza. Si tratta di effetti ‘a palla di neve’ in due direzioni opposte. Una porta a più condizionamento, l’altra porta al decondizionamento.

Fonte:http://digilander.libero.it/Ameco/sati981/corrado.htm

Nessun commento: