Il 19 novembre del 1703, a Parigi, viene annunciata la morte di quello che sarebbe divenuto il più celebre fra i detenuti della Bastiglia. Sto parlando del “prisonnier au masque de fer”, il prigioniero dalla maschera di ferro. Un uomo di cui non si conosceva né il motivo di detenzione, né il vero nome, benché venne poi sepolto come Philippe Marchiali…
I fatti storici: «il 4 settembre 1687, durante il regno di Luigi XIV, una gazzetta manoscritta, informava i suoi lettori che un ufficiale, M. de Saint-Mars, aveva condotto “per ordine del re”, un prigioniero di stato al forte dell’isola di Sainte-Marguerite, in Provenza. “Nessuno sa chi sia; è vietato dire il suo nome e vi é l'ordine di ucciderlo se l’avesse pronunciato; costui era chiuso in una portantina e portava una maschera d’acciaio sul viso, e tutto quel che abbiamo potuto sapere da Saint-Mars è che questo prigioniero era da molti anni a Pignerol, e che la gente lo credeva morto mentre non lo era”.
Dopodiché, il 29 settembre 1698, un’altra gazzetta annunciava che “M. de Saint-Mars, che era governatore delle isole di Saint-Honorat e di Sainte-Marguerite, è arrivato qui da qualche giorno per prendere possesso del governo della Bastiglia, di cui è stato incaricato da Sua Maestà”.
Il 3 ottobre, la stessa gazzetta aggiungeva che “M. de Saint-Mars ha preso possesso del governo della Bastiglia, dove ha fatto mettere un prigioniero che aveva con sé, e ne ha lasciato un altro a Pierre-en-Cise, passando a Lyon”» (da wikipedia.fr, TdA).
Gli storici sostengono che in realtà la maschera di ferro fosse utilizzata soltanto durante le trasferte del prigioniero, per evidenti motivi igienici e sanitari. In alcuni resoconti dell’epoca si parla addirittura di una maschera di tessuto nero… che la leggenda popolare avrebbe ingigantito, fino a renderla d’acciaio.
Sempre nella realtà storica, l’uomo dalla maschera di ferro fu probabilmente un nobile, detenuto per motivi ignoti, e forse tenuto prigioniero invece che giustiziato poiché caro alla famiglia reale. Le ipotesi e le identità proposte sono molte.
Certo è che da questi pochi elementi storici, la letteratura (a partire dal Settecento) e il cinema (ai giorni nostri) hanno tratto lo spunto per una mole impressionante di opere, spesso di grande valore artistico e culturale. Almeno nove romanzi, due drammi teatrali e non meno di cinque pellicole cinematografiche sono stati dedicati o si sono ispirati, negli ultimi tre secoli, alla vicenda del misterioso prigioniero.
Ma le opere forse più significative in assoluto, almeno per quel che riguarda l’importanza della loro paternità, sono il romanzo “Le Vicomte de Bragelonne” (1848-1850), di Alexandre Dumas, e la piece incompiuta “Les Jumeaux” (scritta nel 1839 ma pubblicata postuma soltanto nel 1933), di Victor Hugo. Senza dimenticare la splendida pellicola “The Man in the Iron Mask” (1998), lungometraggio firmato Randall Wallace.
In queste opere, l’ignoto prigioniero diventa nientemeno che il fratello gemello di Luigi XIV (Re Sole), e per meglio dire il legittimo erede al trono, vittima di un piano politico che mirava a far incoronare il fratello. In certe versioni del racconto (quelle che fra l'altro hanno riscosso maggiore successo), è addirittura il fratello prigioniero che, una volta ripristinato in trono, passerà alla storia come Re Sole.
Ora, quel che vorrei evidenziare e portare alla vostra attenzione in questa sede, è come in queste opere (ed in particolare, a mio modo di vedere, ne “Les Jumeaux”), il fatto storico sia stato trasfigurato, come spesso è accaduto in passato, in racconto simbolico o “fiaba esoterica”.
Hugo e Dumas, forse i maggiori scrittori della loro epoca, non erano certo estranei a conoscenze di tipo ermetico. Lo dimostra, ad esempio, il libro “Il Conte di Montecristo, favola alchemica e massonica vendetta”, di C. Miccinelli e C. Animato, o le allusioni di Hugo alle conoscenze criptiche celate nella Cattedrale di Notre-Dame de Paris.
I fatti storici: «il 4 settembre 1687, durante il regno di Luigi XIV, una gazzetta manoscritta, informava i suoi lettori che un ufficiale, M. de Saint-Mars, aveva condotto “per ordine del re”, un prigioniero di stato al forte dell’isola di Sainte-Marguerite, in Provenza. “Nessuno sa chi sia; è vietato dire il suo nome e vi é l'ordine di ucciderlo se l’avesse pronunciato; costui era chiuso in una portantina e portava una maschera d’acciaio sul viso, e tutto quel che abbiamo potuto sapere da Saint-Mars è che questo prigioniero era da molti anni a Pignerol, e che la gente lo credeva morto mentre non lo era”.
Dopodiché, il 29 settembre 1698, un’altra gazzetta annunciava che “M. de Saint-Mars, che era governatore delle isole di Saint-Honorat e di Sainte-Marguerite, è arrivato qui da qualche giorno per prendere possesso del governo della Bastiglia, di cui è stato incaricato da Sua Maestà”.
Il 3 ottobre, la stessa gazzetta aggiungeva che “M. de Saint-Mars ha preso possesso del governo della Bastiglia, dove ha fatto mettere un prigioniero che aveva con sé, e ne ha lasciato un altro a Pierre-en-Cise, passando a Lyon”» (da wikipedia.fr, TdA).
Gli storici sostengono che in realtà la maschera di ferro fosse utilizzata soltanto durante le trasferte del prigioniero, per evidenti motivi igienici e sanitari. In alcuni resoconti dell’epoca si parla addirittura di una maschera di tessuto nero… che la leggenda popolare avrebbe ingigantito, fino a renderla d’acciaio.
Sempre nella realtà storica, l’uomo dalla maschera di ferro fu probabilmente un nobile, detenuto per motivi ignoti, e forse tenuto prigioniero invece che giustiziato poiché caro alla famiglia reale. Le ipotesi e le identità proposte sono molte.
Certo è che da questi pochi elementi storici, la letteratura (a partire dal Settecento) e il cinema (ai giorni nostri) hanno tratto lo spunto per una mole impressionante di opere, spesso di grande valore artistico e culturale. Almeno nove romanzi, due drammi teatrali e non meno di cinque pellicole cinematografiche sono stati dedicati o si sono ispirati, negli ultimi tre secoli, alla vicenda del misterioso prigioniero.
Ma le opere forse più significative in assoluto, almeno per quel che riguarda l’importanza della loro paternità, sono il romanzo “Le Vicomte de Bragelonne” (1848-1850), di Alexandre Dumas, e la piece incompiuta “Les Jumeaux” (scritta nel 1839 ma pubblicata postuma soltanto nel 1933), di Victor Hugo. Senza dimenticare la splendida pellicola “The Man in the Iron Mask” (1998), lungometraggio firmato Randall Wallace.
In queste opere, l’ignoto prigioniero diventa nientemeno che il fratello gemello di Luigi XIV (Re Sole), e per meglio dire il legittimo erede al trono, vittima di un piano politico che mirava a far incoronare il fratello. In certe versioni del racconto (quelle che fra l'altro hanno riscosso maggiore successo), è addirittura il fratello prigioniero che, una volta ripristinato in trono, passerà alla storia come Re Sole.
Ora, quel che vorrei evidenziare e portare alla vostra attenzione in questa sede, è come in queste opere (ed in particolare, a mio modo di vedere, ne “Les Jumeaux”), il fatto storico sia stato trasfigurato, come spesso è accaduto in passato, in racconto simbolico o “fiaba esoterica”.
Hugo e Dumas, forse i maggiori scrittori della loro epoca, non erano certo estranei a conoscenze di tipo ermetico. Lo dimostra, ad esempio, il libro “Il Conte di Montecristo, favola alchemica e massonica vendetta”, di C. Miccinelli e C. Animato, o le allusioni di Hugo alle conoscenze criptiche celate nella Cattedrale di Notre-Dame de Paris.
Se entrambi i romanzieri erano a conoscenza di verità e dottrine esoteriche, tuttavia, come dicevo, è in particolare Hugo a portare il simbolismo dell’homme au masque de fer ad un livello più elevato, proprio in ragione della maggiore trasfigurazione che ne dà rispetto all’evento storico. Infatti, mentre in Dumas i toni del racconto rimangono legati al mondo aristocratico, e la prigionia del gemello di Luigi appare piuttosto come un elegante “isolamento”; in Hugo il prigioniero è detenuto in condizioni quasi disumane, vivendo nella desolazione e nell’oscurità di un carcere idealizzato tanto da renderlo l’archetipo stesso della captivitas. Questo è solo uno dei tanti esempi, ma per una visione più ampia e approfondita delle differenze che separano i due racconti, rimando all’ottima analisi di Julie Anselmini, “Le Masque de Fer, de Hugo à Dumas”.
Quel che mi interessa in questa sede è mostrare la grande rilevanza filosofica dei simboli messi in gioco da “Les Jumeaux”. A partire dai gemelli stessi.
«Infatti la riflessione sulla gemellarita' e' consustanziale alla nostra vita materiale ed immateriale, biologica e psicologica. Sui gemelli, vi e' spesso nelle famiglie un mito: uno e' assennato, l'altro ha un temperamento artistico. Non e' invece affatto un mito che noi abbiamo un simile paio di gemelli nella testa. Piu' precisamente, le due metà del nostro cervello che non costituiscono affatto un apparentemente inutile doppione ma sono- come oggi sappiamo- due veri e propri cervelli con funzioni differenti. Un po' piu' concretamente di come l'aveva inteso Goethe , il medico anatomista Wigan stabili' nel 1844 che non nel nostro petto, bensi' nella nostra testa abbiamo due anime. - Credo di poter dimostrare che, in primo luogo, ogni cerebro rappresenta di per se un organo integrale di pensiero,ed in secondo luogo che procedimenti di pensiero e riflessioni separati e diversi possono avere luogo contemporaneamente nelle due metà del cervello-. Ma tutto nell'universo e' doppio. Il mondo visibile ed invisibile;e''doppio il nostro corpo, la nostra anima. Infatti Freud inventando l'inconscio ha inventato il nostro doppio. Ed allora quello dei gemelli e' un tema cosmico un tema su cui si potrebbe fondare una metafisica cioe' una riflessione sull'essenza della realtà. Non a caso questo tema e' ripreso nelle tradizioni mitologiche dei gemelli divini : da quella egizia con Shu e Tefnet dio dell'aria e dio dell'acqua, Geb e Nut, dio della terra e dea del cielo, Iside e Neftis chiamati i due gemelli, a quella greco romana, con Apollo ed Artemide rappresentazione del sole e della luna e Castore e Polluce i Dioscuri, ed ebraica, con Caino ed Abele che secondo alcune versioni sarebbero gemelli. Cio' che ci offre pero' una immagine plastica e metaforica dell'essenza del reale e va al cuore dell' ontologia stessa del nostro essere e' la configurazione strutturale del nostro cervello con l'emisfero destro e quello sinistro ed il corpo calloso che come una misteriosa e soffice galleria li collega. L'emisfero sinistro il luogo della razionalità, dell'analisi, della logica, del particolare. Quello destro capace di cogliere l'insieme, esperto nella registrazione delle sensazioni, delle immagini, abile nello sguardo simbolico. Qual e' il senso di questa differenza, qual e' la ragione del loro collegamento e come e perche' il cervello e' la metafora della realtà? Lo ha scoperto Georg Wilhelm Friedrich Hegel che con la sua dialettica degli opposti, ( tesi, antitesi e sintesi ) si e' calato nei recessi insondabili della realtà per comprenderne le infinite contraddizioni. La tesi indica la cosa in se', la sintesi indica cio' che la cosa sarà alla fine del processo, l'antitesi esprime la fase intermedia di passaggio, caratterizzata dalla negazione. Perche' questo? Perche' la negazione e' la chiave del mutamento! Senza un momento negativo di opposizione, non potrebbe esserci alcuna trasformazione. C' e' un gemellaggio biologico, la cui dialettica e' carnale e muta, quella dei due emisferi cerebrali, ed un gemellaggio antropologico e psicologico, in cui la dialettica e' tra il mondo della coscienza ed il mondo infero, il mondo dell'Ego ed il mondo del Se'. Il mondo della scienza, quello della luce apollinea, della perfezione formale corrispondono all'emisfero sinistro; il mondo infero, della magmaticità e contraddittorietà delle sensazioni, dei notturni mondi onirici all'emisfero destro. Cosa succede quando manca dialettica fra questi mondi, cosa accade quando ciascuno di essi si lascia possedere da istanze imperialistiche tanto da voler escludere il gemello? E' di scena la patologia , il disagio, il conformismo, il delirio, la follia. Nel caso in cui c'e' dialogo riluce quella sintesi che chiamiamo creatività e genialità: soprattutto perche' in questo caso il mondo dell'emisfero destro e quello infero contengono la cifra segreta di ogni individuo, piantata all'inizio dei tempi da mani misteriose, che compare quando, con l'emisfero sinistro ed il mondo dionisiaco, quello della coscienza instaura un fitto dialogo per evocarla. Ed e' cosi' che si fronteggiano da una parte i concetti del mondo che ha tentato di forgiarci e dall'altro le smentite del nostro essere che riaffiorando in questo processo dialettico che rimodella noi per farci rimodellare il mondo» (dal comunicato stampa della mostra “I Gemelli”, tenutasi a Taranto dal 18 maggio al 20 giugno del 2008).
La riflessione insita ne “Les Jumeaux” ci induce inoltre a considerare il rapporto fra i due Sé gemelli in cui è diviso il nostro spirito, ovvero l’Ego inferiore e l’Ego superiore (o Super-Io).
«Herman Hesse, nel suo libro Siddartha, paragona l'uomo ad una goccia d'acqua del mare che, in questo caso, rappresenta Dio. Ogni goccia, fintanto che resta nell'oceano, fa parte del tutto e non possiede una coscienza separata con cui affermare "Io sono un goccia e come me ne esistono altre".
Solo quando l'acqua evapora ed il vapore si condensa, appaiono le gocce separate. Ognuna di esse, volendo, può darsi un nome e proclamare "Io sono N...". Così accade per lo Spirito dell'uomo che si è separato dal Fuoco Divino diventandone una scintilla (detta Monade o Jiva) che è scesa ad abitare nel Mondo Monadico.
La Monade, fintanto che resta nel Mondo monadico, non può avere una coscienza individuale, perché in tale Mondo ogni parte condivide la coscienza universale del Tutto.
Pertanto la Monade, pur restando nel suo Mondo, scende con una parte di sé nei Mondi spirituale, intuitivo e mentale superiore. Quando arriva a ricoprirsi con la sostanza del Mondo mentale superiore, possiede finalmente un involucro abbastanza denso da consentirle di sentirsi isolata e distinta.
La Monade, così individualizzata, costituisce la parte immortale ed immateriale dell'uomo. E' il Maestro interiore di ognuno di noi, chiamato anche Ego, Sé superiore, Anima, Angelo solare, Cristo interiore.
La Filosofia esoterica insegna che vi sono due Ego:
1. L'Ego superiore, che ha una coscienza universale e tende al benessere di tutte le cose; non è toccato dall'egoismo e, pur essendo isolato, si sente parte integrante del Tutto.
2. L'Ego inferiore, generalmente chiamato "Io" o "personalità", che è tendenzialmente egoista e pesantemente influenzato dai desideri e passioni del Mondo astrale» (da Mario Rizzi, “La luce dell’Anima, lettera nr.17”).
È proprio questa distinzione a celarsi nella simbologia dei Gemelli, di cui uno, autentico erede al trono, è prigioniero nelle tenebre dell’inconscio, e l’altro, finto re, siede sul trono della coscienza. Questo scenario viene tuttavia invertito, nel racconto, con la liberazione della Maschera di ferro dal carcere e la sua sostituzione al sovrano. Sarà infatti il prigioniero liberato, e non il re illegittimo, a diventare il Re Sole. Considerando che Sole equivale ad Oro, la metafora alchemica è abbastanza palese: l’uomo “di ferro” diventa il “Re Sole”, in altre parole viene liberato dal suo aspetto grezzo e sublimato nel metallo dei Saggi. Si è compiuta una trasmutazione di tipo mistico: si é liberato l'oro dal piombo, il Re Sole dalla Maschera di Ferro...
2 commenti:
nn potevi spiegare meglio la distinzione tra l'EGO superiore(l'IO) e l'EGO inferiore.
Ora il tutto sta nel bilanciar le cose.
Fra i dati religiosi si potrebbe aggiungere la gemellarità fra Gesù e Tommaso che in ebraico mi sembra voglia dire appunto gemello.
Inoltre a livello biologico possiamo accennare alla doppia elica del Dna come altro elemento di complementarietà gemellare.
A livello alchemico inutile citare il rebis e le hieros gamos
Per quanto riguarda la complementarietà fra il Sè superiore e quello inferiore ritorna bene il mito di Castore e Polluce che secondo molte tradizioni avevano avuto una paternità differente. Polluce essendo nato da Zeus era immortale, Castore invece era figlio del mortale Tindaro.
Questo per analogia ci potrebbe forse dire anche che la parte della nostra coscienza che rimane,sopravvive alla morte e può svilupparsi sugli infiniti piani di realtà dell'Essere è prevalentemente quella creativa,intuitiva e olistica dell'emisfero destro.
Per sopravvivere invece alla sua stessa disintegrazione la coscienza dell'emisfero sinistro deve perdere la sua rigidità e accettare il fatto che all'interno del processo del divenire, le regole, le forme, il linguaggio e la logica stessa sono in continua trasformazione.
In definitiva deve comprendere che il suo ruolo non è di re creatore ma di funzionale servitore e amministratore che serve a delineare nella temporalità l'Infinita potenzialità di tutto ciò che è nascosto perchè ancora da svelare.
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